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Spiritualità
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La devozione al Sacro Cuore, una risposta all’Amore nell’amore 

mozaika z Najświętszym Sercem Pana Jezusa i zbliżającą się siostrą wizytką

Fred de Noyelle / Godong

Fr. Jean-Thomas De Beauregard, o.p. - pubblicato il 24/06/22

Per la solennità del Sacro Cuore di Gesù, il frate domenicano Jean-Thomas de Beauregard ci introduce nella devozione al Sacro Cuore, spesso mal compresa. Rispondere all’amore mediante l’amore è quel che ci insegnano i mistici, ma anzitutto la Sacra Scrittura, attraverso i contatti diretti dell’uomo col cuore di Gesù. 

Nei suoi Dialoghi, santa Caterina da Siena riporta questa parola rivoltale da Dio: 

Ho voluto che il costato del mio Figlio unico venisse aperto per farti vedere il segreto del cuore. L’ho disposto come un asilo sempre aperto, dove potrete conoscere e gustare l’Amore ineffabile che ho, trovando e contemplando la mia Natura divina unita alla vostra natura umana. 

Questa rivelazione fatta a Caterina da Siena culmina nell’esperienza mistica dello scambio dei cuori, quando Gesù un giorno le tolse il (di lei) cuore dal petto per porvi il proprio: 

Figlia mia, le disse lo sposo celeste, ti ho tolto il tuo cuore; ora ti do il mio perché tu ne viva sempre. 

Al di là di questa esperienza eccezionale, riservata a pochissimi nella sua sbalorditiva materialità, ciascuno è chiamato a vivere dell’amore del cuore di Gesù offerto sulla Croce. Alla scuola di Caterina da Siena, la solennità del Sacro Cuore invita in realtà a meditare su di un triplice mistero: 

  • quello di Gesù, vero Dio e vero uomo; 
  • quello dell’amore divino e umano di Cristo; e 
  • quello della Trinità intera, che si effonde sugli uomini dal fianco aperto di Cristo in Croce quando consegna lo Spirito: «L’amore di Dio è stato diffuso nei nostri cuori mediante lo Spirito» (Rom 5,5). 

Vivere l’amore del cuore di Gesù 

La devozione al Sacro Cuore può sembrare un poco sentimentale, fin nel tema della riparazione che le viene associato a partire dalle apparizioni di Paray-le-Monial a Marguerite-Marie Alacoque: l’offerta delle sofferenze personali per rispondere alla terribile constatazione del fatto che «l’Amore non è amato», il Cuore di Gesù è disprezzato e trascurato. Sollecitando la sensibilità sotto tutte le sue forme, ma tralasciando altre dimensioni umane e spirituali, la devozione al Sacro Cuore può risultare respingente a molti cristiani. Ciò significherebbe però dimenticare che il cuore, nell’antropologia biblica, non designa soltanto la sede dell’affettività o della sensibilità, ma anche quella della volontà o ancora della memoria, con i precetti divini iscritti «sulla tavoletta del cuore» (Pr 7,3). In maniera contro-intuitiva per uno spirito occidentale e moderno, è anche l’intelligenza ad essere riguardata, quando la Scrittura evoca il cuore: «Dio diede loro un cuore per pensare» (Sir 17,6). Quando di Salomone si dice che aveva «un cuore tanto vasto quanto lo è la sabbia che sta sulla riva del mare» (1Re 5,9), ciò è in virtù dell’immensità del suo sapere (che si trova descritto nei versetti seguenti). Del resto è proprio questo che Salomone aveva chiesto e ottenuto da Dio all’inizio del suo regno: «un cuore che ascolta» (1Re 3,9). 

In altre parole, insomma, tutte le facoltà spirituali dell’uomo sono implicate nell’idea biblica del cuore, ed è con tutta questa ricchezza di differenti significati che bisogna approcciarsi alla devozione al Sacro Cuore di Gesù. Sant’Agostino scriveva nelle Confessioni: «Il mio cuore, lì dove sono ciò che sono». Quel che è vero dell’uomo preso in tutte le dimensioni del suo essere lo è anche di Cristo: il cuore è la persona tutta intera, nella sua verità. La devozione al Sacro Cuore è dunque un dialogo tra il tutto dell’uomo e il tutto di Cristo, fino alle intimità della Trinità. 

La vocazione umana per eccellenza 

Si tratta di rispondere all’amore divino-umano di Cristo in Croce, e di tutta la Trinità, col nostro amore reso soprannaturale dalla grazia, questo si capisce. Ma che cosa sarebbe questa risposta d’amore, se non fosse fecondata dalla luce della nostra intelligenza, sostenuta dallo sforzo della nostra volontà, ruminata nella nostra memoria? Sarebbe un amore senza oggetto, senza costanza e senza storia… insomma sarebbe cosa ben misera. E ciò risulterebbe tanto più drammatico in quanto il cuore-a-cuore con Dio è la vocazione umana per eccellenza, secondo la ben nota espressione del già ricordato Agostino: «Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te». La devozione al Sacro Cuore esige dunque che si mettano in opera tutte le nostre facoltà umane per rispondere con l’amore all’Amore. 

La Sacra Scrittura ci illumina a tal proposito. Chi o cosa, infatti, è stato più vicino al suo cuore, nella sua Pasqua? La testa di Giovanni, la lancia del legionario Longino, il dito di Tommaso. Ciascuno di questi contatti con il cuore di Gesù ci lascia un insegnamento. 

I tre contatti col cuore di Gesù durante la Passione 

Il primo contatto con il cuore di Gesù durante il mistero pasquale è la testa di Giovanni che si posa sul petto di Cristo durante la cena. C’è lì un’unione indissolubile tra l’intelligenza e l’affettività, che deborda sulla volontà poiché Giovanni ha potuto unire i battiti del proprio cuore a quelli del cuore del Salvatore. È dunque tutta la persona di Giovanni, tutte le sue facoltà, che si sono unite a tutta la persona di Gesù mediante il contatto con il suo Cuore. 

Il Vangelo di Giovanni e le sue epistole, che uniscono strettamente la luce intelligibile più sfolgorante e l’esigenza dell’amore, sono frutto di questo contatto con il cuore di Gesù. Non è un paradosso da poco, che il contatto apparentemente più esteriore (la testa di Giovanni contro il petto di Gesù è materialmente meno vicina al cuore della lancia di Longino o del dito di Tommaso) sia di fatto il più penetrante. 

Il secondo contatto col cuore di Gesù, durante il mistero pasquale, è la lancia di Longino che ha trafitto il costato di Cristo per arrivare al cuore da cui sono sgorgati sangue e acqua. Questo ci insegna che la nostra prossimità col Cuore di Gesù è anche una capacità di ferirlo. Poiché Egli si fa infinitamente prossimo a noi, Gesù si offre ai colpi di lancia dei nostri peccati. Forse fu però il medesimo soldato che lo trafisse a confessare poco dopo la sua fede: «Veramente quest’uomo era figlio di Dio!» (Mc 15,39). 

Longino è precursore della devozione al Sacro Cuore nella sua dimensione riparatrice, poiché forse non esiste riparazione più grande, alle offese contro l’amore divino, di una vera confessione di fede. Da lui si apprende inoltre che è perfino nell’atto stesso del nostro peccato e nel nostro terrificante potere di ferirlo, che Gesù offre la sua misericordia e la grazia della conversione. 

Il dito di Tommaso 

Il terzo e ultimo contatto con il cuore di Gesù, durante il mistero pasquale, è il dito di Tommaso che penetra nelle profondità delle piaghe gloriose del Cristo risorto, fino al cuore, ed è fatto capace di proclamare la sua fede: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28). La sua professione di fede va più lontano di ciò che ha sperimentato, perché lui ha visto un uomo risorto e ha confessato il proprio Dio. La sua sensibilità e la sua intelligenza sono state dunque unite e sopraelevate dalla Grazia, per produrre un atto di fede nella persona di Gesù vero Dio e vero uomo, l’unico che della Trinità è morto e risuscitato per salvarci dal peccato e dalla morte. Si comprende anche, in questa occasione, che il cuore di Gesù è capace di vincere tutte le resistenze e tutti i dubbi, anche se talvolta ci vuole tempo per questo. 

La devozione al Sacro Cuore integra dunque tutto, nell’uomo, per farne un santo secondo il cuore di Dio. Forse è stata santa Elisabetta della Trinità a produrne la sintesi migliore: 

O mio Cristo amato, crocifisso per amore, vorrei essere una sposa per il Vostro Cuore! Vorrei coprirvi di gloria, vorrei amarvi fino a morirne. Ma sento la mia impotenza e vi domando di rivestirmi di voi stesso, di identificare la mia anima con tutti i movimenti della vostra anima; di sommergermi, di invadermi, di sostituirvi a me perché la mia vita non sia che un riflesso della vostra. Venite a me come Adoratore, come Riparatore e come Salvatore. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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