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Kevin Strickland esce dopo 43 anni di carcere da innocente

KEVIN STRICKLAND

Kansas City Star | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 29/11/21

Ingiustamente accusato di triplice omicidio, entrò in carcere a 19 anni e ne esce a 62. Ora, da uomo libero, spera di poter andare sulla tomba di sua madre e vedere per la prima volta l'oceano.

E’ uscito dal carcere in sedia a rotelle, a 62 anni. Kevin Strickland era entrato nel penitenziario del Missouri all’età di 19 anni, condannato per un triplice omicidio che non ha mai commesso. E’ stato definito uno dei casi più gravi di ingiusta condanna degli Stati Uniti d’America, ed è una storia in cui ogni dettaglio brucia.

Fine di un incubo. Questa non è una soap opera

Era nella sua cella a guardare una soap opera alla TV. E ha visto passare nei titoli in sovraimpressione la notizia della sua scarcerazione. Così, Kevin Strickland ha appreso di essere un uomo libero, dopo 43 anni di prigione. Anni in cui si è sempre proclamato innocente. Una scheggia di vita reale – finalmente la libertà! – ha fatto breccia in mezzo alla trama fittizia di una soap opera. Più volte avrà pensato di essere vittima di un incubo, quest’afromericano che oggi si mostra al pubblico con un viso provato ma pacato.

Assediato dai giornalisti all’uscita del carcere ha voluto che una delle sue prime dichiarazioni fosse questa:

Ringrazio il giudice che si è preso il tempo di rivedere il mio processo. Di aver visto che non c’era alcuna prova contro di me. Apprezzo molto che si sia preso il tempo di ascoltare e capire cosa accadde nel 1978. Ero un bersaglio facile e la polizia si approfittò di me.

Prendersi il tempo. C’è un grido forte nella pacatezza di questa frase pronunciata senza un filo di aggressività. Finalmente qualcuno si è preso il tempo di ascoltare un uomo a cui è stato preso – rubato – un tempo di vita enorme.

Una partita a dadi truccata

Cosa accadde nel 1978? Strickland fu accusato del triplice omicidio di Sherrie Black, 22 anni, Larry Ingram, 21 anni, and John Walker, 20 anni. Tre vittime bianche e lui – presunto colpevole – nero. Sono gli anni ’70 nel Missouri, la componente razziale non è indifferente. Anche la giuria che lo condannò era interamente formata da uomini bianchi.

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Venne accusato nonostante un alibi confermato, nonostante i killer rei confessi avessero dichiarato che lui non era con loro, nonostante nessuna prova lo collocasse sul luogo del crimine. L’unica ad accusarlo fu la superstite alla strage, Cynthia Douglas. Col passare degli anni la donna si rese conto di aver commesso un errore e si diede da fare per ottenere la revisione del caso di Strickland. Morì col dolore di non essere riuscita ad aiutarlo a ottenere la scarcerazione. Nulla è cambiato fino a pochi giorni fa.

La scarcerazione dell’uomo è stata possibile perché un team di avvocati del Midwest Innocence Project si è presa a cuore questo caso di ingiusta detenzione.

Ma come si arrivò a quel triplice omicidio e Strickland cosa c’entrava?

Il giorno dell’omicidio il 21enne Vincent Bell, Kim Adkins, Terry Abbott e un sedicenne si ritrovarono fuori dalla casa di Strickland per organizzare una spedizione punitiva in un bungalow per vendicare una perdita al gioco con dadi truccati. Strickland fu informato della cosa, ma preferì rimanere a casa con la figlia nata da poco. I quattro hanno ammesso di aver legato e ucciso Black, Ingram e Walker, ma hanno anche specificato che Kevin non era con loro.

Da Il Fatto quotidiano

La vendetta per aver perso a una partita a dadi truccati. Ecco il movente. Strickland aveva solo 19 anni e decise di non recarsi alla punizione punitiva, restò a casa con la figlia piccola. Fece il padre, non l’assassino. Basterebbe questo per farne una storia di redenzione.

Invece di lì a poco sarebbe cominciato il calvario di questo giovane padre. Entrò in carcere da giovane ragazzo alla fine degli anni ’70, ne esce da uomo adulto sulla soglia della terza età e in un mondo in piena pandemia.

43 anni in carcere

La discussione su questo caso chiama in causa argomenti importanti: una riflessione su un sistema di giustizia che rimedia troppo tardi a errori così gravi, un ampio dibattito sul razzismo. Il peso politico (inteso come tema di interesse comune per il popolo) della voce di Kevin Strickland è forte.

Ma facendo un passo fuori dalla cronaca ed entrando nel merito dell’immedesimazione, c’è una soglia oltre cui il pensiero stenta a inoltrarsi. E sono quei 43 anni trascorsi in carcere. Una vita, a tutti gli effetti. Essere reclusi con la certezza dell’innocenza è qualcosa di inconcepibile, oltre la soglia di quel carcere non riusciamo ad andarci. E se ci proviamo, ne accumuliamo ipotesi di dramma, rancore, ingiustizia e annichilimento da far venire i brividi.

Evidentemente, l’esperienza è un discrimine importante anche in casi così estremi. Le nostre ipotesi solo astratte si frantumano di fronte a un uomo che in questi 43 anni avrà necessariamente fatto un percorso che va al di là della rabbia se, oggi, lo ascoltiamo dichiarare:

“Non sono necessariamente arrabbiato, sono un sacco di emozioni”, ha dichiarato ai media americani mentre lasciava il Western Missouri Correctional Center di Cameron. “Penso di aver creato emozioni che voi tutti non conoscete ancora. Gioia, dolore, paura: sto cercando di capire come metterle insieme“.

Da Il Fatto quotidiano
https://www.instagram.com/p/CW0qzx_LLVL/

Vedere l’oceano e la tomba della madre

C’è un detto che usiamo per dire che qualcosa è sul punto di cedere: sta attaccato con lo sputo. In realtà dovrebbe significare l’opposto. La tecnica dello sputo è una delle migliori per legare due gomitoli di lana. La saliva è il più resistente dei collanti se applicato alla lana.

Ci ho pensato cercando di mettere in fila tutti gli elementi della storia di Strickland: la liberazione appresa guardando una soap opera, un triplice omicidio causato da una partita a dadi truccata, un 19 enne che non diventa assassino perché sta con sua figlia, un’ingiusta carcerazione che dura 43 anni, un uomo che esce dal carcere in sedia a rotelle. Quale colla può tenere insieme i pezzi di questa vicenda umana?

Apparentemente tutto sta attaccato con lo sputo, cioé – secondo la vulgata – non tiene, va in mille frantumi. Ma forse, al contrario, è proprio vero che il collante più forte è lo sputo, cioé qualcosa di visceralmente umano e lontano mille miglia dai discorsi teorici. Se ci mettiamo a ragionare usando la riga e la squadra dei diritti umani, della giustizia, del bene, tutto salta per aria. Parleremmo tanto, finiremmo sospesi a bocca aperta. C’è una colla debole che può unire i tasselli di un discorso, ma non di una vita.

Davanti ai nostri occhi ora c’è un uomo vivo e libero (inteso nel senso che non è stato schiacciato dalla trappola del rancore). Un qualche sputo deve averlo trovato, Strickland. Deve esserci un collante che tiene legato l’impossibile, 43 anni di una realtà che tradisce il vero. Può un uomo non impazzire? A cosa si aggrappa un’anima per non cedere al cinismo, all’idea di farla finita, al desiderio di pura vendetta? Vorrei chiederlo al signor Strickland, e ho l’impressione che citerebbe cose piccolissime e concrete, tipo una battuta con un compagno di cella. Ci salvano questi sputi di vita, presenze risibili che alla fine ci tengono stretti all’essere proprio quando ogni ragionamento assennato la darebbe vinta al non essere.

E che ne è ora della vita di quest’uomo?

Ci sono due luoghi che Strickland […] spera di vedere: l’oceano, che non ha mai visto dal vero, e la tomba di sua madre.

da The Washington Post

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