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Don Di Noto su Capella: ancora nessuna parola sulle vittime della pedopornografia

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271 EAK MOTO/Shutterstock

Don Fortunato Di Noto - Associazione Meter - pubblicato il 24/06/18

Il sacerdote antipedofilia avverte: "la pedopornografia virtuale non è meno dell’abuso sessuale reale"

Il reato di cui si è macchiato l’ex funzionario vaticano (Carlo Alberto Capella, 50 anni) – recita il dispositivo della sentenza – è “divulgazione, trasmissione, offerta e detenzione” di materiale pedopornografico. La pena-base prevista dalla legislazione vaticana è di quattro anni di reclusione e 4mila euro di multa, aumentata in ragione della “continuità del reato” e bilanciata per la concessione delle attenuanti generiche in virtù del “contegno processuale dell’imputato”. Considerato, così come ha dichiarato al pool dei giornalisti ammessi in Aula, “Spero che questa situazione – ha aggiunto – possa essere considerata un incidente di percorso nella mia vita sacerdotale, che amo ancora di più”. “Voglio continuare il sostegno psicologico”, ha proseguito Capella. “Spero che questo processo possa essere di qualche utilità nel corretto inquadramento dei fatti”, ha concluso.




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Rifletterò brevemente su alcune questioni che non mi pongono come giudice, ma è perché penso sempre all’ingente quantità di materiale posseduto/detenuto, divulgato (si pensa ad altri pedofili o pederasti, offerti non certo come santini devozionali!), ed anche perché nessuno abbia speso una parola per le vittime coinvolte (ritratte in video e foto pedopornografiche): nessuna parola.

La pedopornografia. Il cyber-pedofilo è un individuo che trova nella rete la possibilità di soddisfare le sue fantasie sessuali senza contravvenire alle regole morali che la società in cui vive gli impone. Inoltre riesce a soddisfare in maniera virtuale i propri impulsi, tutto ciò non produce altro la propria devianza e un allontanamento dalla vita reale. Da non sottovalutare la raffinata capacità di utilizzare al meglio la tecnologia per raggiungere i propri scopi.


PEDOFILIA

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L’essere umano sa essere perverso. Il perverso prova un tipo di piacere nel godimento che ricava attraverso la visione – nel caso specifico del pedofilo – delle immagini di bambini sulla rete internet. Tale piacere particolare, che è giusto chiamare godimento, è quello che si prova nel rapporto con tutti gli oggetti, che lo rendono possibile. In questo rapporto particolare, non meraviglia incontrare la perversione nel godimento di un soggetto/bambino ridotto ad oggetto. Invito per maggiori chiarimenti alla lettura del Report Meter 2017.

Tutti quei bambini oggetto della perversione pedofila, già abusati, meritano la nostra attenzione, difesa e impegno. Spesso neanche una parola si spende per questi piccoli violati, ridotti in schiavitù e oggetto di godimento di coloro che pensano che sia stato solo un “incidente di percorso”.

La pedofilia, la pedopornografia non sono un incidente di percorso e non credo possiamo solo configurarla come una “debolezza”.




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Il pedofilo o pederasta virtuoso? Un incidente di percorso nella vita sacerdotale? Continuare a fare il prete? Prima di fare o essere prete bisogna vivere da battezzati, da cristiani che ogni giorno rinunciano al male, non fanno alcun male soprattutto ai piccoli e ai deboli e sanno “dominare i demoni” che attanagliano e ci insidiano. Chissà quante volte noi preti – e non solo – abbiamo professato, pubblicamente: rinuncio a Satana e a tutte le sue opere? Satana gode del male che si fa sui bambini. Godere, visionando bambini stuprati, è Male. Non è solo debolezza e fragilità.

La pedopornografia virtuale non è meno dell’abuso sessuale reale. Quel “vestire gli ignudi” (opera di misericordia corporale), richiama e rimprovera chi con raffinata lucidità cerca, detiene, diffonde, e in molti casi anche produce foto e video dei corpi innocenti e digitalizzati. Non percepiamo quasi minimamente la tragicità del fenomeno: l’abuso avvenuto, ostentato come trofeo di godimento, reso virtuale e quindi non più offensivo. Ma non è così. Del resto, in molti dicono e sostengono: un abuso virtuale non è come quello reale.




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Quanto accaduto a monsignor Capella non può essere definito solo un incidente di percorso, ma un percorso che richiede ora una grave assunzione di responsabilità e di rinuncia. Chi tutela e promuove la difesa dei piccoli e chi combatte – perché è di una battaglia che si parla – sa che non è così. In molti casi è quell’ingente quantità che preoccupa, ma sarebbe la stessa cosa anche di un solo video, di una sola foto che raccontassero l’abuso sulla carne e anima degli innocenti. Ci piacerebbe conoscere quanti bambini – di quell’ingente quantità – sono stati oggetto di godimento sessuale. Centinaia, forse migliaia che non sono stati “coperti con il mantello del vero amore”, anzi sempre di più “mangiati, divorati” per perverso godimento personale e chissà se anche condivisi con altri.

E’ un agire criminologico, lucido, consapevole e desiderato. Possiamo rieducare il comportamento, ma non significa che si possa rimanere preti. Questo vale anche per chi perde la patria potestà, per chi è interdetto dai pubblici uffici, per chi non dovrà frequentare luoghi in cui ci sono dei bambini. Per chi dovrà rinunciare all’utilizzo dei social e del web. Rieducarsi, certo, ma a condizione anche di una rinuncia. Sarebbe più leale e onesto, assumersi quest’onere nei confronti di quei bambini ritratti in quelle ingenti foto possedute, cercate, trovate, detenute e diffuse.

Una responsabilità, oltre i processi, oltre le buone intenzioni. Essere umani che rispettano i piccoli, quei piccoli che hanno bisogno di testimoni redenti, rinati dopo l’orrore degli abusi, anche virtuali, come vorremmo ridurre la pedopornografia. Ma non è così. E’ tutto reale.

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