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Il rischio di innamorarsi delle idee

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Miriam Diez Bosch - pubblicato il 05/11/17

Quando il dibattito si semplifica, la società si divide in “buoni” e “cattivi”

Leticia Soberón, psicologa messicana, laureata in Scienze Sociali presso la Pontificia Università Gregoriana e co-fondatrice dell’Innovation Center for Collaborative Intelligence, ha spiegato che è il nostro modo di vedere il mondo a permetterci di affrontare la quotidianità e di “agire in modo coerente”, ma in questa quotidianità spesso si demonizza l’altro e si fanno passare le ideologie davanti alle persone.

“L’essere umano ha molti modi di costruirsi idee sulla perfezione e di lottare per adeguarsi in tutto ciò che è possibile a questa costruzione mentale. Non c’è quasi nessuno che non abbia un’immagine della perfezione a cui aspira, a livello sia individuale che collettivo”, ha osservato la Soberón, che ha lavorato per vent’anni presso la Santa Sede nel campo della comunicazione.

A suo avviso, “il rischio che possiamo sempre correre è quello di ‘innamorarci’ di q uelle idee e trasformarle nell’unico criterio a cui tutti dovrebbero aspirare. Possiamo arrivare ad essere così convinti che tutto dovrebbe essere come pensiamo che si verifica uno scollamento crescente tra la nostra realtà e quella altrui”.

Nonostante i suoi rischi, può essere considerata “una situazione frequente che pone la persona in uno stato di frizione interminabile con la realtà” e crea un “malcontento profondo” che non scompare finché la persona non è in grado di mettere in discussione – almeno un po’ – le proprie idee e di inserire nuovi elementi nel suo pensiero.

Ma farlo non è facile. Il nostro modo di vedere il mondo ci permette di affrontare la quotidianità e di agire in modo coerente. Per questo, spiega, più il nostro sistema ideologico e di convinzioni è semplicistico e “in bianco e nero”, più sarà facile assumerlo e sarà complicato essere critico nei suoi confronti.

“Le convinzioni e le ideologie possono radicalizzarsi talmente sia nella testa che nel cuore delle persone da diventare fanatismo”. Questo modo appassionato, acritico e primario di aderire ad alcune affermazioni ci permette di porci nelle condizioni di giudicare inadeguati tutti coloro che non le condividono.

José Lázaro dice nel suo libro La violencia de los fanáticos (Triacastela 2014) che non ci sono atti più mortali di quelli commessi da persone che hanno delle convinzioni fanatizzate, perché si trasformano le proprie idee in un paradigma che tutti devono seguire.

Non si assassinano quindi poche persone – come nei crimini passionali –, ma si annichilisce chiunque non pensi come il fanatico. Ci sono innumerevoli esempi storici drammatici nel XX secolo, presenti però in tutta la storia, che ci mettono in guardia su questo pericolo.

La Soberón crede che “i fanatismi siano un modo di sfuggire ai propri limiti” e alla propria “tribù”, qualunque essa sia. Diventano anche una fonte di perfezione obbligatoria: “O sei come me e la pensi come me o non meriti di vivere”.

La semplificazione del mondo è quella che fa sì che si divida in termini di “buoni” e “cattivi”.

Il nucleo della costruzione del nemico è la disumanizzazione: l’altro è un essere anonimo, senza volto e senza individualità. È solo una minaccia. Nella sua forma più estrema, questa è la logica terroristica.

Citando lo psichiatra Enrique Baca, si “costruisce sistematicamente il nemico”, in questo modo:

  • I leader politici o d’opinione insistono sulle grandi differenze tra il proprio gruppo e l’avversario – Si descrive l’avversario come una minaccia per la propria famiglia, il proprio stile di vita, i figli, la patria… Questa minaccia è personificata da qualsiasi membro di quel gruppo, per cui ci si basa sul pregiudizio, la generalizzazione e l’etichetta.
  • Si fa vedere il proprio gruppo come vittima di questa minaccia – Si generalizzano gli aggettivi con cui si descrive l’altro gruppo, si disumanizza progressivamente l’avversario e lo si trasforma in nemico; ha sempre meno il rango di persona e sempre più quello di caricatura, l’etichetta di bestia selvaggia. Allora non è più soggetto di dialogo, dev’essere distrutto. La logica della perfezione obbligatoria per tutti finisce per essere fonte di sofferenza, violenza e disgregazione sociale. Non tutti gli esseri umani sono costretti a cercare la perfezione allo stesso modo, ed è crudele imporre un solo paradigma, al di fuori del quale si dice che non c’è vita degna di essere chiamata umana.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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