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La creatività per una Chiesa in uscita

Andrea Riccardi y el Papa Francisco – it

© Sant'Egidio

Lucandrea Massaro - pubblicato il 25/03/17

Si conclude oggi il Festival della Creatività nel management pastorale. Ospite il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi

In una Roma blindata a causa dei timori legati alla firma per i 60 anni dell’Europa unita, in un clima di grande tensione più apparente che reale, dove non ci sono stati scontri e il cielo era azzurro e la temperatura mite, il Festival della Creativitànon si è scomposto, e ha proseguito i suoi lavori, chiudendo la giornata con un bell’intervento dello storico ed ex ministro della Cooperazione internazionale, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.

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Papa Francesco sta cambiando la Chiesa con i gesti; con delle innovazioni che attecchiranno al livello “dell’immaginario collettivo”: proprio per questo è “impossibile – dice Riccardi, intervistato dal vaticanista dell’Huffington Post, Piero Schiavazzi – prevedere come sarà la Chiesa fra vent’anni, chi sarà il prossimo Papa, quali saranno le linee di tendenza del prossimo conclave”: perché la Chiesa delle periferie, la Chiesa in uscita “ci riserverà ancora moltissime sorprese”.

Come spiega Riccardi, quella di Papa Francesco è una intuizione molto forte, quella di una Chiesa che riparte dalla periferia e della collegialità. Schiavazzi “provocatoriamente” fa notare: “Se il Papa si dimettesse domani”, “avremmo oggi in Conclave un riequilibrio geografico e geopolitico come mai si è verificato nella Chiesa: avremmo cardinali da città di cui nemmeno conoscevamo l’esistenza, e saranno lasciati fuori giganti della Chiesa Cattolica come Berlino, Tokyo, Sydney”. Questo accade perché Papa Francescco sembra trattare l’Europa non come un bastione irrinunciabile, ma come “una mamma anziana che continua con affetto a dire frasi un po’ fuori dal tempo. Papa Francesco è il primo Papa veramente della globalizzazione”, ha precisato Riccardi. Che prosegue con parole di grande importanza e impatto.

Il segno di Papa Francesco in questo è forte: “Annunciare il Vangelo e servire i poveri rimangono il cuore della nostra vocazione; i poveri sono un sacramento di Dio, la loro presenza è già evangelizzatrice. Per questo papa Francesco ha già invertito un paradigma: la giustizia non è il fine ultimo dell’evangelizzazione, ma ne è il presupposto; se non c’è giustizia sociale, se la relazione fra le persone è interrotta dalla povertà l’azione del Vangelo non trova spazio. Per questo da Papa Francesco abbiamo imparato a liberarci da tanti schemi e da tante paure; non perché ci ha garantito la vittoria, anzi ci ha detto che la strada è molto dura: al contempo ci ha mostrato quanto sia attrattiva la prospettiva del discepolato cristiano. La Chiesa sarà chiamata ad essere la casa della libertà dove gli uomini, le donne, i giovani possano costruirsi gli strumenti per praticarla: e la Chiesa sarà chiamata a ricordarci che la prima libertà dell’uomo è la gratuità; in questo senso il cristianesimo esce dalle logiche del mercato, del capitalismo”.

Continua Riccardi: “Se vuole essere una cosa seria il cristianesimo dovrà entrare in una lotta molto forte, in cui ognuno è chiamato a fare la sua parte”; in maniera multiforme, sperimentale, creativa: “Io vedo arrivare nel cristianesimo più consolidato il fenomeno di quelle che vengono chiamate dispregiativamente “le sètte”; è un fenomeno che è già presente, e che ci sarà presto anche da noi: invece di una Chiesa organizzata come l’Impero Romano avremo una comunità cristiana multipolare, frastagliata, non uniforme”: questo, ha continuato Riccardi, non sarà tanto un problema quanto un segno dei tempi da cogliere.

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“L’esigenza, il concetto del controllo è un grande regalo che ci ha fatto il Concilio di Trento, ma non è la cosa più importante della nostra fede; è molto più importante annunciare il Vangelo, anche in modo imperfetto. Dovranno farlo tutti, senza distinzioni: si parla del calo delle vocazioni dei preti, e mi piacerebbe che iniziassimo anche a chiederci perché non ci sono più preti; si dice che bisogna pregare per le vocazioni, ma magari il Signore invece dei preti ci manderà le suore, i frati, i laici magari, o chi vorrà Lui. Basta che siano uomini inquieti, abituati a leggere i segni dei tempi come ci aveva chiesto il Concilio Vaticano II: su questo, la risposta della Chiesa istituzione è diventata modesta. Dove è finita la Chiesa abituata a leggere la realtà e a cogliere i segni dei tempi?”.

E da Milano, dove il Papa è in visita, sembra esserci una certa convergenza, almeno leggendo le parole di uno stretto collaboratore di Bergoglio, il direttore di Civiltà Cattolica, Padre Antonio Spadaro sj

Con questa infornata di profezia, questa apertura su uno sguardo lungo, o ancor meglio, ampio, largo che la Chiesa durante il pontificato di Bergoglio, e già con Giovanni Paolo II che fu un autentico “giramondo”, a riprova da un lato della cattolicità della Chiesa, dall’altro della preoccupazione da parte del Vescovo di Roma anche dei più remoti dei suoi “parrocchiani”, si chiude quella che Giulio Carpi, che di queste giornate è stato animatore e così della Scuola, attribuisce ad una intuizione di Don Mirko Integlia, collaboratore del Rettore della Lateranense, monsignor Dal Covolo:

Ora si tratta di aspettare la prossima edizione, e vedere quali frutti porterà questo lungo lavoro nel cuore di Roma…

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