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Quando l’arte ha riscattato l’Eucaristia: Caravaggio, Domenichino e Barocci

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Elizabeth Lev - pubblicato il 24/03/17

Affiancati da teologi e cinti della propria fede personale, questi artisti hanno lavorato per accendere l'immaginazione e approfondire l'adorazione eucaristica durante l'epoca dell'empirismo

Nel cinquecentesimo anniversario della Riforma protestante, vogliamo esaminare il modo in cui la Chiesa ha risposto a questa fase turbolenta: proclamando la Verità attraverso la Bellezza.

Durante la Controriforma le chiese sono state riprogettate per focalizzare l’attenzione dei fedeli sull’Eucaristia. Ma questa è stata solo parte della battaglia, che ha permesso di condurre il peccatore al pane della vita; ma come poterlo convincere a credere? Sì, in questo modo i fedeli poterono vedere la consacrazione e ricevere la comunione più frequentemente, ma come poter aprire gli occhi spirituali al mistero della Presenza Reale?

Coinvolgendo i pittori. Armati di pennelli, affiancati da teologi e cinti della propria fede personale, questi artisti hanno lavorato per accendere l’immaginazione e approfondire l’adorazione eucaristica durante l’epoca dell’empirismo.

I pittori, che nel Rinascimento hanno maturato la propria tecnica rappresentando il mondo naturale, ora avevano l’incarico di illustrare il Mistero. Tre gli artisti all’altezza del compito: Caravaggio, Barocci e Domenichino. Le loro opere, nel corso di un decennio, avrebbero aperto un percorso eucaristico in tutta la Città Eterna.

Fu Caravaggio a guidare il gruppo, dopo essere stato coinvolto dalla Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. Nel 1603 Pietro Vittrice commissionò al tormentato ma brillante artista di dipingere l’altare dell’appena restaurata chiesa di Santa Maria in Vallicella.

Anche se chiaramente influenzata dalla Pietà di Michelangelo, la Deposizione ha rappresentato la Presenza Reale in un modo sorprendentemente nuovo. La versione di Caravaggio propone sei personaggi in una composizione triangolare su uno sfondo scuro.


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Le critiche di “eccessivo naturalismo” fatte dai suoi colleghi potrebbero essere dovute all’anziana Maria, Madre di Dio, al basso e tarchiato Nicodemo, e ai piedi sporchi di Cristo. Tuttavia, questi sono gli unici elementi naturalisti dell’opera, perché le figure sono ammassate senza una profondità spaziale plausibile e la luce non ha una fonte naturale.

In contrasto con questa oscurità, la luce soprannaturale attira immediatamente l’attenzione alla figura femminile che gesticola nella parte superiore della composizione. Seguendo con gli occhi le sue mani si è portati a guardare in basso, cosa rara: se solitamente le composizioni tendono a condurre gli occhi verso l’alto, qui Caravaggio porta infatti lo sguardo verso la base della tela, dove si trova l’altare. Seguendo le figure, lo spettatore è quasi portato a piegarsi fisicamente.

La composizione verso il basso ha il suo culmine nella figura di Cristo – dal corpo inerte e sbiadito – sospeso su una lastra di pietra che richiama l’altare su cui l’opera sarebbe stata posta.

Nel mondo di Caravaggio si riteneva che completare una composizione fosse una delle parti più importanti dell’abilità artistica. Lasciare uno spazio vuoto avrebbe dunque sorpreso lo spettatore dell’epoca: sarebbe stato il sacerdote, celebrando la messa presso l’altare, a completare la composizione. Ispirata alla Pietà di Michelangelo, in cui il corpo di Gesù sembra stia per scivolare dal grembo di Maria verso l’altare, questa opera di Caravaggio trasmette l’urgenza di partecipare al Sacramento.

Nel 1603 Barocci fu chiamato personalmente da Papa Clemente VIII Aldobrandini per decorare, con l’Istituzione dell’Eucaristia, la cappella funeraria di Santa Maria sopra Minerva. Questo papa, così devoto all’Eucaristia che spesso piangeva durante la consacrazione, trasportava la custodia a piedi nudi durante le processioni del Corpus Domini, e nel 1592 ha stabilito un culto continuo di Quaranta Ore a Roma. La corrispondenza tra lui e l’artista mostra il suo profondo desiderio che i fedeli fossero portati a concentrarsi sul Santissimo Sacramento.

La nuova iconografia della Controriforma si lasciava alle spalle il momento del tradimento rappresentato nelle Ultime Cene rinascimentali, preferendo illustrare le parole della consacrazione che pronunciò per la prima volta Gesù. Barocci era un ottimo disegnatore, in grado di comporre linee che stimolano la mente, ma era anche un maestro del colore. Utilizzò una particolare miscela di toni per creare quella che poi ha descritto come “musica totale”.


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La composizione è costituita da tre triangoli, i cui apici convergono sulla testa di Cristo. Il primo triangolo si estende verso il basso fino agli angoli inferiori della tela, in cui due giovani si accovacciano verso l’altare, come per raccoglierne i doni. San Pietro e San Giovanni costituiscono il secondo triangolo, inginocchiati come ad evocare le preghiere della consacrazione. Le braccia di Gesù formano il triangolo finale, tenendo l’ostia sopra la parte rossa della tunica, un simbolo della Sua umanità.

Papa Clemente scrisse al pittore più volte, chiedendogli con insistenza di rendere più evidente l’Eucaristia. Barocci ha trovato un modo semplice ma suggestivo per farlo: sostanza + preghiere = Corpo e Sangue di Cristo.

Roma deve la pratica della devozione delle Quaranta Ore a San Filippo Neri, che ha vissuto nella confraternita di San Girolamo della Carità per 33 anni, prima di andare a stabilirsi a Santa Maria in Vallicella. Questa confraternita si dedicava alla sepoltura dei defunti, al servizio ai prigionieri e alla celebrazione di otto messe al giorno. Nel 1612, il cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII, incaricò il pittore bolognese Domenico Zampieri di dipingere l’Ultima comunione di San Girolamo per l’altare maggiore della chiesa.

San Girolamo, agonizzante, è accompagnato da un gruppo variamente composto, tra cui una donna, un uomo con un turbante e una figura che ricorda un aristocratico romano. Un giovane dai capelli lunghi, segno distintivo della confraternita, sostiene il santo moribondo accanto all’ostia, perché le sue anziane e deboli gambe non potevano più sostenerlo.


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Un “mare” di umanità alla cui cima si trova il sacerdote, che regge l’ostia appena consacrata. La profonda riverenza del sacerdote, del diacono e del suddiacono evoca la solenne dignità della presenza del Signore tra le sofferenze della vita caotica. Vista l’ostia, Girolamo spalanca gli occhi. Si avvicina il passaggio all’eternità, rappresentato dagli angeli che vengono a reclamare la sua anima.

Sebbene Domenichino sia stato ingiustamente accusato di plagio da un rivale invidioso, ciò che ha reso unico questo dipinto è stata l’enfasi pota sull’Eucaristia, tema centrale dell’opera.

Questo sentiero della Verità portava dal Pantheon a San Pietro, ma oggi le opere di Caravaggio e Domenichino trovato nei Musei Vaticani. Sono ben conservate, ma lontane dai loro altari originali sono meno in grado di esprimere il loro vero scopo: illustrare il Mistero.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista]

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