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Così un gesuita rischiò la vita per salvare i bambini ebrei dall’Olocausto

Marco Pavoncello

© Antoine Mekary / Aleteia

Aleteia - pubblicato il 19/04/15

Villa Mondragone, la scuola che dirigeva padre Raffaele de Ghantuz Cubbe, è stata dichiarata “Casa di Vita”. Oggi è la sede dell'Università di Roma Tor Vergata

Sono trascorsi 71 anni, ma Graziano Sonnino, che ha già superato gli 80, non ha dubbi: deve la vita e gran parte della sua educazione padre Raffaele de Ghantuz Cubbe, il sacerdote che lo accolse nel Collegio Villa Mondragone, salvandolo dagli orrori dell'Olocausto.

Nel 1943, quando i nazisti occuparono l'Italia, Villa Mondragone, situata a Frascati, località a 20 chilometri da Roma, era una scuola diretta dai gesuiti. Due famiglie ebree imparentate si rivolsero al preside, il sacedote gesuita Raffaele de Ghantuz Cube, per chiedergli di nascondere tra gli allievi tre dei loro figli: Graziano Sonnino, che allora aveva 9 anni, suo fratello Mario, di 11, e suo cugino Marco Pavoncello, anche lui di 9 anni.

Graziano stesso ha rivelato cosa accadde, come se si trattasse di un film, durante la cerimonia celebrata a Villa Mondragone, oggi sede dell'Università di Roma Tor Vergata, nell'atto in cui la Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg ha dichiarato quell'edificio storico “Casa di Vita”, il 15 aprile.

Poco prima della deportazione degli ebrei di Roma, il 16 ottobre 1943, i genitori di Graziano si erano rifugiati vicino Frascati per paura dei bombardamenti. Questo salvò loro la vita, perché una sorella del padre rimasta a Roma venne deportata con i tre figli senza che se ne avessero più notizie.

Il padre di Graziano riuscì a mettersi in contatto con il preside del collegio dei gesuiti, padre Cubbe, per chiedergli di accogliere i suoi due figli. Il sacerdote, per proteggere i ragazzi, propose al padre di nasconderne l'identità. Cambiarono il loro cognome Sonnino, tipico di molte famiglie ebree, con un più comune, Sbardella. Il sacerdote non volle rivelare l'identità dei nuovi allievi né agli studenti né agli altri professori per evitare che i tedeschi potessero scoprirla in qualche interrogatorio.

Ricordando la vita in collegio, Graziano ha confessato: “La nostra circoncisione è stato per noi un dramma: non potevamo far vedere agli amici e agli altri bambini che eravamo circoncisi. Abbiamo sempre, sempre, sempre nascosto la nostra identità religiosa”.

“C’erano i figli Galeazzo Ciano, c’erano i Pio di Savoia, c’erano i nipoti del principe abissino…”, ha aggiunto Graziano, che ha partecipato alla cerimonia insieme al cugino anche lui salvato, Marco Pavoncello.

“Una volta a pranzo ci diedero il prosciutto: tutti i ragazzi – i 200 che eravamo – fecero festa a queste fette di prosciutto che ci avevano servito. Uno dei ragazzi, siccome noi avevamo lasciato il prosciutto sul nostro piatto, ci disse: ‘Ma siete ebrei, che non mangiate il prosciutto?’. Naturalmente quel momento – personalmente lo ricorderò per tutta la vita… un’ossessione! – presi questo prosciutto e lo misi in bocca per far vedere che lo stavo mangiando e dicevo: ‘Ma che dici, ma che sei scemo? Io lo mangio il prosciutto!’ e lo misi in bocca. Purtroppo mastica, mastica, mastica, ma non riuscivo a ingoiarlo: in quel momento ci fu un mitragliamento-bombardamento a Roma tra gli aerei tedeschi e gli aerei americani, tutti i ragazzi uscirono nel terrazzo per vedere questi aerei, allora io presi il boccone di prosciutto, che non mi scendeva giù e lo buttai, senza farmi vedere, nel bagno… E lì fini l’episodio. Ma avevamo il terrore di essere scoperti”.

Graziano riconosce che “padre Cubbe ha rischiato la vita. Abbiamo saputo, dopo, che se avessero saputo che eravamo nascosti là, sarebbe stato ucciso”. Dall'altro lato, ha indicato, molto di ciò che ha imparato e dell'educazione che ha ricevuto e ha trasmesso nella propria vita lo deve proprio a padre Cubbe.

Il resto della famiglia di Graziano si è salvato grazie alla Chiesa cattolica. “Mio padre e mia madre, col mio fratellino Sergio, piccolo, appena nato, riuscirono ad entrare dentro la Basilica di San Pietro: lì si nascosero e vi rimasero fino alla liberazione. Degli altri fratelli, due maschi furono accolti dai preti e due femmine dalle monache”.

La cerimonia di dichiarazione di “Casa di Vita” è diventato l'atto di inaugurazione del nuovo salone di Villa Mondragone.

Il rettore dell'Università di Roma Tor Vergata – dalla quale dipende lo storico edificio –, il professor Giuseppe Novelli, ha espresso l'impegno dell'istituzione accademica per promuovere tra gli studenti lo spirito di solidarietà testimoniato da padre Cubbe, riconosciuto come “Giusto tra le Nazioni” da Yad Vashem. Di fronte al dramma dell'Olocausto, ha dichiarato il rettore, “il silenzio è complice”.

Il vescovo della diocesi di Frascati, monsignor Raffaello Martinelli, uno dei redattori del Catechismo della Chiesa cattolica, ha illustrato il progresso straordinario che ha sperimentato il dialogo tra i cattolici e il popolo ebraico dopo il Concilio Vaticano II.

Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, ha incoraggiato dal canto suo l'iniziativa della Fondazione Raoul Wallenberg di individuare e riconoscere “Case di Vita” che servano per lasciare un messaggio educativo alle generazioni future.

La targa di riconoscimento come “Casa di Vita” era stata consegnata il 20 febbraio dai rappresentanti della Fondazione Wallenberg a Roma al Premio Nobel per la Chimica Aaron Ciechanover, biologo e presidente del Comitato Scientifico dell'Università di Tor Vergata.

Il rettore Novelli ha affermato che quest'opera è più necessaria che mai di fronte a ciò che sta accadendo nel mondo, ricordando in particolare il recente assassinio di 147 giovani all'Università di Garissa, in Kenya.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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