*Disclaimer: Questo post reazionario e in qualche modo aggressivo mi è uscito spontaneamente dopo aver letto un articolo di George Weigel su First Things. Queste sono le domande che sono emerse naturalmente mentre riflettevo sulla sconcertante statistica riportata.
Una cifra inquietante: in base alle proiezioni dell'indagine, solo il 14% dei non cristiani oggi conosce un cristiano [1] – una cifra che parla sia dell'isolamento dei gruppi religiosi l'uno dall'altro che del fallimento dell'evangelizzazione. (…) In un mondo tanto connesso, com'è possibile?
Com'è possibile che noi cristiani siamo così trasparenti o così isolati?
Come invertire questa tendenza?
Dove possiamo andare, cosa possiamo fare per metterci in contatto con i non cristiani?
C'è un'altra domanda perfino più profonda: vogliamo entrare in modo consistente in ambienti non familiari e potenzialmente scomodi di modo che altri possano arrivare a conoscere Cristo?
Vogliamo essere una minoranza?
Vogliamo sembrare, risuonare, agire in modo diverso pur vivendo nel mondo?
Come possiamo aspettarci di aiutare la gente a conoscere Cristo, a pentirsi dei suoi peccati, a iniziare il viaggio del discepolato se non trascorriamo mai del tempo con coloro che non conoscono la Buona Novella?
Da dove possiamo prendere il potere e l'impeto per andare oltre noi stessi e rompere le bocce di vetro confortevolmente familiari che abbiamo creato?
È perché non amiamo abbastanza? Abbiamo paura di amare davvero i nostri nemici?
Abbiamo mai pianto per le persone perse? Non in modo moralista, ma con un cuore che grida a TUTTI gli uomini di pentirsi, credere e conoscere Gesù.
Forse la domanda è questa:
Come vuole il Signore che io risponda a questo problema crescente dell'isolazionismo cristiano?
Cosa vuole da me?
[1] Ricerca Status del Cristianesimo Globale, pubblicata dall'International Bulletin of Missionary Research.
Pete Burak è direttore di i.d.916, sul cui blog questo articolo è stato pubblicato in origine.
[Traduzione dall'inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]