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Il Purgatorio è una invenzione medievale?

Purgatorio

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Card. Gianfranco Ravasi - Edizioni San Paolo - pubblicato il 14/04/15

Qual è la base biblica per cui crediamo a uno stato di purificazione ultraterreno?

Contrariamente a quanto è stato affermato anche da qualche storico famoso, non siamo in presenza di un'invenzione medievale. Certo, esso appare chiaramente nei documenti dei Concili di Lione (1274) e di Firenze (1439), ribaditi successivamente da quello di Trento, in polemica con la Riforma protestante che considerava il purgatorio un'invenzione diabolica. In verità la dottrina di una purificazione ultraterrena – che, tra l'altro, appartiene anche ad altre religioni (l'egiziana antica, il buddhismo, Platone, Virgilio) – era già patrimonio comune nei testi di molti Padri della Chiesa e di autori cristiani dei primi secoli, a partire da Origine (III sec.).

Oltre al testo paolino piuttosto generico di 1Cor 3,15 (“Se l'opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco”) qual è la base biblica per una simile asserzione? Il riferimento fondamentale è a un passo del secondo libro dei Maccabei (12,38-45). Al termine di una battaglia, Giuda Maccabeo scopre con orrore che, sotto le vesti, alcuni soldati ebrei caduti in combattimento custodivano idoletti protettivi, violando così il Decalogo. Eppure erano morti per una causa alta, religiosa e nazionale. Decide, allora, di fare una colletta per un sacrificio espiatorio, nella convinzione che essi “potessero essere assolti dal peccato” commesso attraverso l'intercessione dei vivi, e così entrare nella gloria. A suggerirgli questa idea era stato “il pensiero della risurrezione” perché “se egli non avesse sperato che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti”.

Fin qui il testo biblico che loda l'atto di Giuda. Rimangono aperti molti problemi complessi riguardanti il cosiddetto “stato intermedio” tra la morte e la risurrezione finale. Istintivamente e spontaneamente noi ragioniamo sempre in termini di tempo che suppongono un prima e un poi e ricorriamo allo spazio che esige un luogo. In verità, dopo la morte, l'essere umano entra nell'eterno e nell'infinito, che sono realtà “puntuali”: sono come un punto o una sorta di istante perfetto in cui tutto si condensa, trascendendo ogni durata e spazialità. Per questo il discorso sul purgatorio deve essere liberato da rimandi a luoghi e a tempi definiti.

In questa luce diventa significativa l'affermazione del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica che definisce così il purgatorio: “è lo stato di quanti muoiono nell'amicizia di Dio, ma benché sicuri della loro salvezza eterna, hanno bisogno di purificazione per entrare nella beatitudine celeste” (n. 210). Il nostro limite umano e la nostra debolezza richiedono infatti che, per accedere alla pienezza di vita e di luce in Dio, ci sia un purificazione, e questo vale per la maggior parte dei giusti. Nel libro di Giobbe, infatti, si legge: “Se neppure la luna brilla e le stelle non sono pure davanti ai suoi occhi, quanto meno l'uomo, questo verme, l'essere umano, questo bruco!” (25,5-6). E' in questa luce che la dottrina del purgatorio risulta molto meno obsoleta di quanto si è spesso suggerito. 

[Tratto da Gianfranco Ravasi, "Raggiungere la meta" (Edizioni San Paolo)]

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