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Flores D’Arcais: “E’ inerente alla democrazia l’ostracismo di Dio”

Paolo Flores D’Arcais

© DR

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 10/03/15

L’offensiva laicista punta a smontare la "fede militante". Adinolfi rilancia: ci vogliono zittire

Un ruolo più responsabile dei carismi, un maggiore sguardo verso il bene e l'utilità comune. E' in questo doppio passaggio che si può rilanciare il binomio religione-democrazia. 

L'ESILIO DI DIO
Proprio su questo binomio, Paolo Flores D'Arcais è apparso molto drastico sulle colonne di La Repubblica (9 marzo): «La sfera pubblica – ha detto – è una e indivisibile, anche e proprio per la ricchezza e la pluralità delle sue articolazioni, che la rendono una complessità circolare di ambiti comunicanti. Se il nomos di Dio è ammissibile in uno di essi non può essere escluso dagli altri. L’alternativa perciò è secca. O l’esilio di Dio dall’intera sfera pubblica, o l’irruzione del Suo volere sovrano — dettato come sharia o altrimenti decifrato — in ogni fibra della vita associata. Aut aut».

IL PRIMO COMANDAMENTO SECONDO D'ARCAIS
Perciò, ragiona l'intellettuale, «la religione è compatibile con la democrazia solo se disponibile e assuefatta all’esilio di Dio dalle vicende e dai conflitti della cittadinanza, solo se pronta a praticare il primo comandamento della sovranità repubblicana: non pronunciare il nome di Dio in luogo pubblico».

RELIGIONI MILITANTI SONO ANTI-DEMOCRATICHE
Da qui la drastica conseguenza: «Le religioni compatibili con la democrazia sono dunque religioni docili, che hanno rinunciato a ogni fede militante (di sharia e martiri o di legionari di Cristo e altre comunioni e liberazioni) che intenda far valere nel secolo la morale religiosa. Sono religioni sottomesse, che hanno interiorizzato l’inferiorità della “legge di Dio” rispetto alla volontà sovrana degli uomini su questa terra. Sono religioni riformate, perché avvezzano il fedele a una vita serenamente scissa tra l’ordinamento della salvezza e l’ordinamento della convivenza, tra l’obbedienza personale ai comandamenti divini e la doverosa promozione della libertà di ciascun altro di violarli».

"CI VOGLIONO MORTI"
Mario Adinolfi su La Croce replica in modo altrettanto netto: «Ho l’impressione che da oggi sarò meno docile, Flores d’Arcais e Repubblica si abituino all’idea. Anche perché l’offensiva è evidente e le finalità ormai non sono neanche più nascoste. Come dice l’incipit dell’articolo “è questione di vita o di morte, alla lettera”. Ci vogliono morti, nella forma di democraticamente taciturni e addomesticati, sarà il caso di capirlo bene. Anche dalle parti dei sacri palazzi».

UNA BATTAGLIA CHE PARTE DALLE SCUOLE
Il giornalista punta l'indice su un passaggio programmatico di Flores D'Arcais che recita: “E’ inerente alla democrazia l’ostracismo di Dio, della sua parola e dei suoi simboli, da ogni luogo dove protagonista sia il cittadino: scuola compresa e anzi scuola innanzitutto, poiché ambito della sua formazione”. «Adesso vi è più chiaro – si domanda Adinolfi – perché l’offensiva dell’ideologia gender punta proprio sulla scuola, a partire dalla scuola materna?».

UN NUOVO SLANCIO "DEMOCRATICO" PER I CARISMI 
Una sorta di "terza via", meno "aspra" al botta e risposta Flores D'Arcais-Adinolfi, potrebbe risiedere nella corretta lettura delle parole di Papa Francesco nel corso dei suoi incontri con i movimenti, nello scorso weekend. Ovvero religione e democrazia possono dar luogo ad un feeling importante, e non rappresentano l'ossimoro evocato da Flores D'Arcais. Scrive Pierangelo Sequeri (Avvenire, 8 marzo): «Sono discorsi di generoso riconoscimento, e di limpido ammonimento, quelli che papa Francesco va rivolgendo ai responsabili e agli eredi dei grandi carismi che hanno rimesso in movimento la Chiesa di questo ultimo mezzo secolo. Quale che sia il dono ricevuto, la prova del fuoco dei carismi è l’edificazione della Chiesa di tutti: "l’utilità comune", dice san Paolo. Papa Francesco aggiunge accenti non secondari a questa regola d’oro».

DECENTRAMENTO E UTILITA' SOCIALE
Il primo è che questo orientamento comporta un rigoroso 'decentramento'. «Quando metto al centro il mio metodo spirituale, il mio cammino spirituale, il mio modo di attuarlo, io esco di strada», ha detto il Papa (La Stampa, 7 marzo). Il decentramento, prosegue Sequeri, «contrasta dunque attivamente ('respinge') la pulsione all’autoreferenzialità: fosse pure ammantata dei motivi apparentemente più alti del coraggio e della fedeltà. Il decentramento del carisma, che illumina il nucleo caldo dell’unica fede che deve essere vissuta e trasmessa, comporta spirito di distacco dalle proprie confortevoli abitudini di linguaggio e di comportamento».

UMILTA' E NIENTE ETICHETTE
Francesco ha sollecitato i movimenti a essere «braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa "in uscita"… "Uscire" significa anche respingere l'autoreferenzialità, in tutte le sue forme, significa saper ascoltare chi non è come noi, imparando da tutti, con umiltà sincera», evitando una «spiritualità di etichetta». Già questa appare una risposta implicita alla visione estrema di Flores D'Arcais: la “fede militante" non significa essere "ultrà" di questa o quella religione.  

LA RELIGIONE PUO' ESSERE COMPATIBILE CON LA DEMOCRAZIA
Una visione dei carismi come quella sollecitata da Papa Francesco lascia spazio, piuttosto, a tre considerazioni: 1) smonta, come detto, la visione negativa di essi che è alla base della "sharia ateista" (Tempi.it, 9 marzo) lanciata da Flores D'Arcais, fondata propria su una pesante critica alla religione "militante" dei carismi, troppo estremi e in "rottura" con una visione democratica; 2) offre un nuovo ruolo alla religione, tanto più a quella militante, poiché aspira al bene comune e preserva il bene morale delle persone, cui è permesso di agire in accordo con le loro coscienze, come scrive il saggista Chistopher Wolfe; 3) ritaglia un ruolo centrale alla religione e alla Chiesa nella vita pubblica, come argomenta da tempo un intellettuale del calibro di Thomas Farr, veterano della Georgetown University, secondo il quale l’Occidente (secolarizzato e "ateista") non crede abbastanza nel valore della religione come "linfa vitale" della vita democratica di un Paese. 

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