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Le chiavi per non criticare gli altri: autoeducazione e distacco

A Girl Thinking – Sad – Sadness – it

© Federico Coppola / CC

https://www.flickr.com/photos/silentman-it/2839586898

padre Carlos Padilla - pubblicato il 05/12/14

Per ottenere il riconoscimento e l'ammirazione di tutti siamo disposti a qualsiasi cosa, a volte anche a rinunciare all'amore e al rispetto

Vogliamo essere migliori. Vogliamo autoeducarci nelle mani di Maria. Madre Teresa di Calcutta diceva che chi dedica il suo tempo a migliorare se stesso non ha tempo per criticare gli altri.

Affondiamo nella nostra vita interiore e così miglioriamo. Siamo dimora del Dio vivo, del Dio personale che ci ama, e così non cadiamo in quella critica degli altri che ci fa tanto male.

Come diceva San Paolo, “Anche noi un tempo eravamo insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella malvagità e nell'invidia, degni di odio e odiandoci a vicenda” (Tito, 3,3). Non vogliamo essere così. Vogliamo affondare, approfondire il nostro mondo interiore. Quel mondo tante volte temuto e sconosciuto.

E affondando così nella nostra vita potremo affondare e avvicinarci al mistero degli altri, senza cadere nella critica. Perché nell'anima dell'altro abita Dio. Nel più profondo si nasconde la sua verità.

Devo togliermi le scarpe davanti alla porta della sua anima come Dio si toglie le scarpe davanti alla mia.

Gesù sapeva gurdare così all'interno dell'anima delle persone con la sua lente di ingrandimento. Non si lasciava impressionare dalle categorie umane, dalla facciata superficiale, guardava l'anima dell'altro, quella del pubblicano, quella della samaritana, quella dell'adultera, quella del buon ladrone pentito, quella di Pietro che piangeva.

Il suo sguardo non si fermava mai all'esteriorità, all'apparenza. Andava più a fondo. Così ha potuto restituire la dignità a molti che pensavano che Dio non volesse avere niente a che fare con loro. Perché era una bugia.

Dio vuole dimorare in tutti. Magari potessimo consacrare sempre il nostro cuore a Dio, appartenergli interamente. Fino al più profondo di noi. Con i nostri sentimenti e i nostri pensieri, con la nostra vita e le persone che ci sono, con le sue valli e i suoi monti, le sue ferite e i suoi fiumi.

Abbiamo un gran bisogno di essere valorizzati e riconosciuti nella nostra verità. Poco tempo fa diceva uno sportivo: “Voglio essere il migliore di tutti i tempi”. E io pensavo, “Quanto è curioso che qualcuno voglia essere il migliore di tutti i tempi in qualcosa!”

Poi, però, ho capito che molta gente vuole essere la migliore in ciò che fa, la migliore di tutti i tempi. Non è tanto curioso.

Il desiderio di valere è una forza molto potente nell'anima. È una pulsione che ci porta a lottare, a dare tutto, a volte passando sopra gli altri, senza rispettare il loro cammino, la loro vita.

Il desiderio di valere, di dimostrare che valiamo e che facciamo bene le cose, anche meglio degli altri, è così forte che possiamo perdere la prospettiva e smettere di valorizzare altre cose più importanti nella vita.

Per ottenere il riconoscimento e l'ammirazione di tutti siamo disposti a qualsiasi cosa. A volte anche a rinunciare all'amore, al rispetto, all'amicizia, alla solidarietà, alla misericordia.

Il desiderio di essere riconosciuti e tenuti in considerazione è così forte che la vita può chiedere il conto. Il desiderio può isolarci, può ferire altri, può ferirci nel più profondo.

E alla fine, perché tanto sforzo? A cosa ci serve se finiamo per rimanere da soli? Non so, è la vanità che ci spinge a questo? È l'orgoglio? Può essere. In definitiva, tutta questa lotta ha a che vedere con un attaccamento a volte eccessivo al proprio io.

Diceva padre Josef Kentenich: “In genere siamo aggrappati al nostro più di quanto sospettiamo. Il Signore vuole usarci come strumenti. Dobbiamo distaccarci da noi stessi”.

Anche sul piano religioso possiamo lasciarci trasportare dal nostro desiderio di valere, di essere di più. Vogliamo essere i più santi, i più apostolici, i più religiosi, quelli che pregano di più, i più profondi, i cristiani migliori. Vogliamo anche un luogo migliore in cielo per tutta l'eternità. Il posto migliore. Così padre Kentenich descriveva lo stato in cui ci troviamo quando non abbiamo avuto una vera conversione:

“Esteriormente sono persone o sacerdoti che lavorano moltissimo, che non sono indolenti, non si inclinano a soddisfare i sensi, sono uomini spirituali; possono lavorare giorno e notte, smuovere la terra, di modo che si pensa che presto potrebbero essere canonizzati. Si tratta tuttavia solo dell'atteggiamento esteriore. Ciò che fanno è fatto, in generale, per ottenere la fama. L'uomo è ancora al suo punto centrale. In primo piano c'è l'io, l'adorazione dell'io, la glorificazione dell'io”.

Non so. È difficile vederci riflessi in questa descrizione. È triste vedere per quali sciocchezze ci affanniamo spesso. Il nostro io è al centro. Facciamo tutto mossi dal culto dell'io. Siamo lontani dalla vera conversione alla quale aneliamo.

Vogliamo essere i migliori, i primi, quelli che vengono ricordati. Vogliamo dare tutto perché siamo generosi, ma facendolo cerchiamo noi stessi. Crediamo che con noi cambierà tutto, tutto sarà migliore. Dio sarà orgoglioso dei nostri meriti.

Cerchiamo di essere ricordati eternamente. Sogniamo di essere il medico migliore, il miglior pittore, il miglior compositore, il miglior santo. La vita è effimera e vola, e noi siamo ossessionati dal fare storia. Aggrappati in modo malato a quell'io che cerca sempre più spazio, che non si conforma a nulla, perché nulla soddisfa del tutto il desiderio di pienezza. È l'ansia di valere e di essere riconosciuti. L'io messo in primo piano, non Cristo. 

A volte mi chiedo quante cose faccio per amore di Dio o di me stesso. Come si può superare questo desiderio di figurare, di stare al centro, di essere i primi?

Dio deve lavorare su di noi. Deve cambiare ciò che ancora non gli appartiene, deve convertire il cuore.

Non è tanto semplice perché il nostro cuore si ribella. È duro come il marmo. Sogna i primi posti, la fama e il successo. Vuole fare e valere. Essere di più e avere di più.

Viviamo questa tensione tra il nostro attaccamento all'io e il desiderio di abbandonarci totalmente nelle mani di Dio.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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