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Libertà religiosa: i cristiani i più perseguitati nel mondo

persecuzione cristiani

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Emanuele D'Onofrio - Aleteia - pubblicato il 04/11/14

Il Rapporto ACS sulla Libertà Religiosa rivela che le condizioni delle minoranze religiose nel mondo peggiorano quasi ovunque, anche in Occidente

La cosa peggiore che possa accadere alla libertà è quella di considerarla un diritto acquisito. Questo vale soprattutto quando essa si declina nelle sue varie forme, diventando così materia di legislazione degli Stati. Quello di professare la propria fede, questo mostra la dodicesima edizione – la prima fu del 1999 – del Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo curato all’Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), è lontano dal potersi considerare un diritto acquisito. Tant’è che perfino in paesi occidentali e insospettabili si registra un deterioramento della situazione delle minoranze religiose; e tra queste, quelle cristiane sono quelle che ancora soffrono di più. Il documento è stato presentato oggi in presso l’Associazione stampa estera. Aleteia ha chiesto un commento a Peter Sefton-Williams, presidente del Comitato Redazionale del Rapporto.

Cos’è questo Rapporto e cosa rivela?
Sefton-Williams: Questo Rapporto è una ricerca molto ambiziosa che riguarda tutte le minoranze religiose nel mondo. Sebbene i cristiani siano una parte importante, noi guardiamo a tutte le comunità perseguitate e oppresse. ACS pubblica questo documento ogni due anni. Ora, negli ultimi due anni abbiamo letto sempre di più nei titoli di giornale di persecuzioni e di gruppi religiosi mandati a morte spesso da altri gruppi religiosi. L’impressione che ci arriva dai media è che la condizione delle minoranze religiose nel mondo stia peggiorando.

È giusta questa impressione o no?
Sefton-Williams: Abbiamo guardato nel dettaglio ogni Paese e abbiamo stilato diverse classifiche. Intanto abbiamo guardato al livello (alto, medio o basso) di persecuzioni per motivi religiosi; in seguito, abbiamo considerato se nel corso degli ultimi due anni – cioè dall’ultimo rapporto – la situazione sia migliorata, sia peggiorata o sia rimasta costante. È stato triste, in questo senso, rilevare che la situazione è generalmente da considerarsi meno che ideale: i Paesi in cui la libertà religiosa è in qualche modo compromessa sono il 60% del totale, cioè 116 Paesi sui 196 presi in considerazione. È una situazione estremamente seria. Se dobbiamo poi guardare alla differenza rispetto a due anni fa, i dati ci dimostrano che, in modo schiacciante, le cose sono cambiate in peggio in 55 dei 196 Paesi, cioè nel 28% dei casi. I paesi in cui le cose sono migliorate anche leggermente sono solamente 6: la lista è davvero sorprendente, e se vogliamo ironica, perché comprende Iran, Emirati Arabi, Cuba, Qatar, Zimbabwe e Taiwan. In Paesi come Iran, Cuba e Qatar non si partiva certo da una situazione molto buona, ma almeno, e proprio per questo, possiamo riscontrare anche piccoli cambiamenti positivi.

Con quali criteri avete stilato queste classifiche?
Sefton-Williams: Nel redigere il Rapporto abbiamo guardato in primo luogo alla posizione legale e costituzionale delle minoranze religiose in ogni Paese, e in secondo luogo abbiamo confrontato la posizione legale a quella reale sul territorio. I criteri oggettivi adottati derivano da un documento EU di alcuni anni fa, che riassumeva i principi della libertà religiosa. Riassumendoli: il primo è la libertà di convertirsi da una fede ad un’altra, il secondo è la libertà di costruire luoghi di culto, la terza è la libertà di riunirsi per pregare, poi quella di avviare i bambini alla propria fede fede, di insegnarla apertamente, di professarla senza pregiudicare per questo le tue possibilità di trovare lavoro, anche nel settore pubblico. Su questi 5 o 6 criteri di base abbiamo stilato le classifiche.

Nei Paesi occidentali, spesso non se ne parla, in che stato di salute è la libertà religiosa?
Sefton-Williams: E’ vero che spesso si tende ad idealizzare la situazione da noi. Nella ricerca abbiamo guardato all’Europa e al mondo occidentale in modo molto analitico. Abbiamo riscontrato che la situazione desta qualche livello di preoccupazione, e tendenzialmente sta peggiorando, nei seguenti paesi: Ungheria, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Svezia e Regno Unito.

Qual è la situazione delle minoranze cristiane nel mondo?
Sefton-Williams: Va detto che alla base del nostro Rapporto c’è l’idea di un “diritto dimenticato”, o di cui non si parla molto, ed è l’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani pubblicata nel 1948. L’articolo 18 è sulla libertà religiosa, cioè riguarda espressamente il diritto a praticare la propria fede. La nostra cultura ossessionata dai diritti civili. Ci occupiamo continuamente dei diritti dei gay, delle donne, delle minoranze etniche; ma il diritto alla libertà religiosa sembra essere dimenticato, e soprattutto i politici sembra non ne vogliano parlare. Vorrei fare un esempio, che riguarda l’Isis e le cose terribili che hanno compiuto: nello scorso luglio, l’Isis ha conquistato Mosul, una città del nord dell’Iraq nella quale vivevano 30.000 cristiani. A tutti questi, gli estremisti hanno dato questa possibilità di scelta: o vi convertite o lasciate la città. Se non partivano, sarebbero stati uccisi e, chiaramente, hanno tutti scelto di andarsene. Ebbene, oggi per la prima volta in 1600 anni non ci sono cristiani in quella città, ma per qualche ragione l’Occidente è rimasto quasi del tutto silenzioso su questo. Perché questo silenzio? Solo quando sono stati attaccati gli Yazidi i media si sono interessati, ma quando sono stati attaccati i cristiani – e ricordiamo che i cristiani sono con assoluta certezza il gruppo religioso più perseguitato sul pianeta – per alcune ragioni l’Occidente e i suoi mezzi d’informazione sono stati riluttanti a parlarne. Lo stesso è valso per i politici, sicuramente assai più disposti a parlare delle persecuzioni ad altri gruppi.

Qual è il motivo di questo?
Sefton-Williams: Credo vogliano evitare di mostrare qualche genere di favoritismo, o che sono in qualche modo di parte. Pensano che appaiano più neutrali e oggettivi se restano silenziosi sui cristiani. Ma se c’è una cosa che la nostra ricerca ha mostrato è che non possiamo accettare che di fronte a questa situazione crescente di persecuzioni religiose i “policy makers” e i media restino in silenzio. Inoltre, se ci chiediamo da dove debba venire il cambiamento, la risposta è che deve venire dai leader religiosi, sono loro che devono farsi sentire. Ho visto a questo riguardo che qualche giorno fa 120 imam musulmani hanno firmato una lettera congiunta sull’Isis, e questo è esattamente quel parlare forte e chiaro che dobbiamo mettere in atto. Recentemente, in oltre, nella Camera dei Lord inglese il rabbino capo Lord Sachs ha rilasciato una dichiarazione meravigliosa, e cioè ha ricordato che Dio stesso condanna i crimini commessi in suo nome. Questo è il tipo di interventi che servono e che cominciano ad esserci. Tuttavia in generale quell’articolo 18 resta “un diritto dimenticato”, e la conseguenza è che accadono ancora cose terribili. 

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