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Il potere di Francesco e la “strategia” di Santa Marta

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Don Mauro Leonardi - Come Gesù - pubblicato il 15/09/14

La politica dalle "porte aperte" ha una ragione: che sia più semplice avere accesso al papa

Dopo la pausa estiva, ricominciano oggi in Vaticano le riunioni del C9 quel comitato di nove cardinali – facile l’assonanza con il laico G8 – che Papa Francesco ha eretto con il compito di consigliarlo nel governo universale della Chiesa e nella riforma della Curia. Questo «consiglio», nato su suggerimento delle “congregazioni” precedenti il Conclave, è una delle manifestazioni più visibili del profondo lavoro di cambiamento che sta operando il pontefice.

Ce n’è un’altra però, per nulla evidente alla gente della strada, ed è la profonda trasformazione della figura del “segretario del Papa”. Quando arrivò al soglio pontificio, Bergoglio non aveva segretario. Si disse che presto sarebbe stato obbligato a cambiare idea e una conferma di ciò venne vista quando prese per sé don Alfred Xuereb, maltese, che era il secondo segretario di Papa Benedetto. Il primo, Georg Gänswein – per tutti, don Georg – il 7 dicembre 2012 era stato fatto vescovo e prefetto della Casa Pontificia, l’istituzione che ha il compito di organizzare l’attività “ufficiale” del Papa. Nell’immaginario della gente, perciò, Xuereb era diventato il nuovo don Georg: un po’ come il tedesco era stato – anche se diversamente – quello che don Stanislao era stato per Wojtyla. Don Stanislao Dziwisz, ora cardinale, primo e unico segretario di don Karol era stato da sempre al suo fianco perpetuando il modo di fare che aveva iniziato Giovanni XXIII con Loris Capovilla, anch’egli cardinale, e che aveva proseguito Paolo VI con Pasquale Macchi, storico segretario del Papa e, anche lui, morto arcivescovo.

Papa Francesco invece ha rotto questa procedura e ne ha introdotto un’altra della quale però, esclusi gli addetti ai lavori, nessuno si è accorto. In sintesi, si può dire che il segretario del Papa non esiste più. Intendo un segretario sullo stile di quelli che ho nominato, cioè un’unica persona attraverso la quale è obbligatorio passare per arrivare al pontefice. Sia chiaro che non sto criticando o elogiando: sto constatando che il segretario del Papa o meglio sarebbe dire i segretari del Papa ci sono, ma sono un’altra cosa. Perché parlo al plurale? Perché, a metà aprile di quest’anno, Xuereb è stato sostituito da don Yoannis Lahzi Gaid, sacerdote cattolico di rito copto, nato a Il Cairo. Sostituito? forse sì o forse no, perché già da tempo don Alfred Xuereb era stato affiancato da un argentino, Sebastian Pedacchio, che forse lo aveva già sostituito. Lascio questi “forse” proprio perché la notizia è proprio questa incertezza, anche se al momento don Fabian è il segretario numero uno e don Yoannis il due. Non sarebbe stato pensabile, per esempio, che don Stanislao non accompagnasse Wojtyla nei suoi viaggi, invece nell’attuale pontificato, persino gli addetti ai lavori devono faticare per capire se il segretario del Papa sta accompagnando o no il pontefice. Non è che sia un mistero, è che non è importante. È questa la profonda lezione pratica – artigianale – che sta impartendo il successore di Pietro. Adesso i segretari del papa hanno la normale importanza che hanno le persone con compiti organizzativi. All’inizio del pontificato il Papa disse che non voleva essere “schiavo” dei segretari perché chi organizza, comanda. E non lo sto dicendo in senso negativo.

Una volta un vescovo mi disse che se il segretario del vescovo è un prete, va a finire che in quella diocesi, per i preti, il vescovo è il segretario. È un fatto e non c’è malizia. Ricordo che da bambino non capivo, ascoltando i discorsi dei grandi, perché chi comandava nei partiti si chiamasse “segretario” e non “presidente”. Da grande capii che i partiti avevano semplicemente reso trasparente un processo fisiologico. Alla lunga, chi fa l’agenda del capo prende il posto del capo. Non voglio dire che sia avvenuto per i precedenti segretari: voglio dire che questo rischio Papa Francesco non lo vuole correre. Qualcuno che non gli vuole bene, dice che in questo modo 
il potere del Papa è cresciuto, ma io non la vedrei così. Vedrei invece una “lezione” sul potere. Penso che dietro questo modo di fare ci sia qualcosa che si chiama custodia di un dono: la Chiesa è una comunione gerarchica dove il potere non è faccenda di organizzazioni umane ma dello Spirito Santo. Francesco sa bene di essere stato scelto dallo Spirito Santo mentre il segretario non ha la stessa chiamata. Semplice ma difficile a un tempo. Francesco usa la strategiaSanta Marta: diceva che il Palazzo Apostolico era un imbuto e che dal Papa non arrivavano le persone. Lui vorrebbe fare una politica dalle porte aperte e vorrebbe fosse molto più semplice avere accesso a lui. Prova ad ottenere questo attraverso un poliedro organizzativo (uso quest’imagine perché il papa ha espresso più volte la sua stima per quel solido geometrico). Non significa che passi il tempo a farsi il check-in elettronico – anche se nei primissimi giorni di pontificato era lui a mettere i francobolli sulle lettere – ma che vuole un’organizzazione che gli consenta il “gioco” della sua libertà. Per esempio, durante l’udienze non è accompagnato dal segretario o dai segretari, come avveniva prima, ma dal prelato di anticamera. Se sono incontri ufficiali chi gli sta vicino è don Georg. Chi consegna al Papa i discorsi durante gli incontri, non è il segretario personale ma molto spesso è “il maggiordomo” cioè l’aiutante di camera. Quando don Fabián Pedacchio ha iniziato a fare il segretario personale del Papa, il progetto era che non smettesse di prestare il suo servizio presso la Congregazione dei vescovi; e questo valeva anche per don Lahzi Gaid, che avrebbe dovuto proseguire la sua attività in Segreteria di Stato: proprio a dire che essere segretario personale del Papa è un lavoro come un altro.

Mentre del C9 parlano tutti, dei segretari seduti dietro la scrivania, non parla nessuno. Ma non è meno importante.

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