Quel modo di guardare le cose (di certe madri)
A volte noi donne, mamme in ispecie, diventiamo famose per il nostro vizio di ingigantire ed esasperare piccole cose, cose quasi da nulla che altri direbbero di trascurare del tutto.
Eppure in questa cifra, che si impone anche quando non dovrebbe, è nascosto un talento formidabile.
Chi altri, se non la mamma di questo ragazzo in coma da più di due anni, avrebbe saputo attaccarsi ai minimi movimenti di un dito della sola mano sinistra? Solo Viviana, la mamma che ora ha 56 anni, ci ha creduto e ha agito, ostinatamente, di conseguenza.
(Pensando a questa storia, dolorosa e drammatica ma non tragica, il pensiero e lo strazio vanno inevitabilmente a quel bambino inglese, Archie, in coma anche lui per strangolamento accidentale: anche la sua di mamma sentiva che le stringeva la mano; non è bastato a convincerli che non andava soppresso. E così è andata, nel suo ormai famigerato, agghiacciante "best interest". Chissà quanti, come lui. In Italia, invece, possiamo ancora raccontare storie come quella di Christian, dove il dolore e la speranza non fanno a botte. Anche se l'accerchiamento è già cominciato)
Intendiamoci, non ha trovato indifferenza e trascuratezza, tra i medici; per lungo tempo intorno al suo Christian si sono avvicendati specialisti e terapeuti, i migliori. Il problema è quanto è lungo il tempo della speranza che la vita di un figlio reclama ed esige e quanto i protocolli, le risorse stanziate e il buon senso intendano per ora accordargliene.
La notte dell'incidente
Ho appreso questa magnifica storia, come molti lettori, dal quotidiano Avvenire; il pezzo, a firma di Lucia Bellaspiga,
Era il 3 luglio del 2016, era tardi e Christian Scaiola stava guidando il suo motorino con un amico a bordo: un'auto davanti a loro - c'era un amico a bordo con lui e non riporterà nemmeno un graffio- aveva fatto inversione all'improvviso: Christian sbatte la testa contro il veicolo, in avanti, e poi indietro, contro il casco dell'amico. Doppio, violentissimo trauma.
La notte non del tutto oscura del coma
Ed è lì che inizia il viaggio, terribile, oscuro e con un equipaggiamento minimo di speranza che però basterò a portarlo fino a qui: entra in stato di incoscienza o vegetativo, una definizione che spesso non dà ragione di quei segnali di minima coscienza che invece ci sono o possono manifestarsi anche dopo tanto tempo.
I medici che lo soccorrono fanno tutto il necessario, scrupolosamente: gli scoperchiano il cranio per permettere la decompressione dell'encefalo: " l'intervento di craniectomia decompressiva può ridurre drasticamente la mortalità in circa il 50% dei pazienti con pressione intracranica >25 mmHg dopo la terapia medica convenzionale" si legge su QuotidianoSanità.
Cure e interventi in fase d'emergenza
Siamo al San Gerardo di Monza, in questa prima decisiva fase che però sembra farlo scivolare lentamente, ma inesorabilmente, verso uno stato irreversibile che avrebbe richiesto solo di gestirlo, mantenendone un certo accettabile benessere senza prospettive di miglioramento.
A Garbagnate Christian viene tracheotomizzato, le secrezioni aspirate di continuo, l'ossigeno rimane sempre attaccato.
La prima fase di riabilitazione
I neurologi, che ne vedono tanti di casi come questi, forse convinti dai grandi numeri (lo sanno come va a finire, di solito), non credono a ciò che la mamma racconta di vedere e sentire: mio figlio muove un dito quando gli stringo la mano, riferiva Viviana. Certo, le mamme si sa che non si arrendono tanto facilmente e vedono progressi e talenti ovunque, anche quando non sembra che non ci sia nulla.
Colpiscono, nelle parole della signora, la gratitudine e il riconoscimento della bontà delle cure specialistiche che il suo ragazzo riceve, non ha nulla da eccepire, senza di esse sarebbe morto sull'asfalto quella notte o poco dopo.
Il fatto è che lei sa, sapeva che non tutto era finito, non tutto ancora e ancora era stato tentato. Loro, forse, potevano anche arrendersi, ma lei no:
Chi si arrende
Non è più considerato un paziente da riabilitare, solo da accompagnare, evitando che peggiori a precipizio. Rimarrà venti mesi nella struttura fuori Milano.
In Italia si calcola che siano circa 4000 le persone in stato vegetativo e tre volte tanto quelle in stato di minima coscienza. Un piccolo esercito solo apparentemente inerte.
I giorni di Christian sembrano sempre di più uno la replica dell'altro, a guardarli distrattamente; Viviana però è attenta, attentissima. E quelle caramelle alla gelatina un giorno sono proprio sparite...
Vuole portarselo via, in quella casa popolare senza ascensore. Le danno della pazza, pazza d'amore, certo, ma pur sempre fuori della realtà. Forse invece era la sola ad esserci entrata fino in fondo, in quella realtà, l'unica a partecipare a quel dialogo segreto e quasi impercettibile con quel ragazzo. La sola a credere che avrebbe potuto tornare da quell'altrove misterioso e lontano anche se non del tutto inaccessibile.
E chi no
Ottiene una casa popolare con ascensore dal Comune di Rho (chissà con quali e quante peripezie burocratiche); la calotta cranica torna al suo posto. Per mamma Viviana era quanto bastava per portarselo a casa e cominciare, di nuovo. Perché è questo che fa, da quando ha avuto l'incidente: ricomincia, passa da inizio a inizio, di tappa in tappa, da un piccolo trascurabile traguardo a un altro. E' questo il punto: non trascurare nulla. Immagino, però, la fatica immane e la forza da attingere chissà dove per non trascurare del tutto nemmeno sé stessa.
Tornare a casa non è la fine dell'Odissea
I 17 dicembre del 2018, due anni e mezzo dopo l'incidente, sono di nuovo a casa insieme.
Non sono abbandonati a sé stessi dai servizi e dalla sanità, ricevono dalla Regione fisioterapia, psicologo, logopedista e neuropsicomotricista; ma ancora non basta (come lo sanno, lo sappiamo - i genitori di figli con disabilità gravissima!).
L'osteopata se lo paga lei, che ha anche lasciato il lavoro fuori casa per fare quello più impegnativo con suo figlio: non era un vezzo, l'osteopatia, racconta Viviana, gli ha sbloccato le corde vocali e la masticazione, il che significa che lo ha aiutato a ricominciare a parlare e a mangiare.
Non ha nessuna acrimonia, quando racconta, è consapevole anche del fatto che nulla era scontato, che anche al suo Christian poteva toccare di proseguire il viaggio dell'esistenza in quello strano tunnel da cui solo in pochi sbucano.
Solo due, nel reparto dove era ricoverato il figlio. Non importa, se ha senso l'espressione "vale la pena" è in casi come questo.
Anche perché non so se sarebbe d'accordo, lei, nel sentirsi chiamare eroica, speciale, super: è semplicemente, al costo che la cosa richiedeva, rimasta e sta dando quello che può, con intelligenza, con gli aiuti dei professionisti (perché una mamma è attenta, sensibile, presente, ingegnosa ma non ha lauree ad honorem in fisioterapia, logopedia, psicologia, neuro riabilitazione). Ci ha provato, dice lei, ecco tutto.
E quando Christian ha ripreso a parlare ha detto prima di tutto "Mamma", come quando era piccolo. Se non è rinascita questa.
Per questo non c'è da attardarsi in considerazioni poetiche: i lavori sono perennemente in corso, come si conviene ad ogni vita, che, se non cresce, muore.