Sto guardando, su consiglio di un caro amico, una serie tv con la regia di Ben Stiller, su Apple TV (poi tolgo l'abbonamento, ok marito?). Si intitola Severance ed è bellissima: ambientazione, luci (pochissime e artificiali), attori, ritmo, idea di fondo. Distopica e chic, inquietante e anche (credo, ma non sono ancora abbastanza avanti con la visione) carica di speranza sull'uomo: che resta sempre fatto allo stesso modo, con il suo insopprimibile bisogno d'amore, la sua vocazione alla felicità passando per il dolore. Il soggetto si basa sulla realizzazione utopistica e infernale della totale separazione, lì si chiama scissione ed è operata bio-tecnologicamente, tra vita privata e vita lavorativa.
Lavorare senza distrazioni
Quando gli impiegati sono in ufficio non ricordano assolutamente nulla della loro vita da "esterni" e viceversa. Quale miglior sistema per avere la assoluta dedizione, la totale concentrazione sulle proprie mansioni e sugli obiettivi specifici della professione che essere liberati di quel fardello di emozioni, pensieri, preoccupazioni e vulnerabilità che ogni persona con dei legami normali si porta dietro?
Non posso spoilerare nemmeno se lo volessi per cui vi consiglio di guardarla.
Un modello diverso di business
Possiamo invece raccontare il finale aperto di un'altra storia, vera e in pieno svolgimento, di una piccola impresa italiana davvero femminile. Ha preso tutta un'altra strada da quelle delle quote rosa, delle rivendicazioni di classe in stile smaccatamente marxista, delle donne in ruoli apicali.
E' partita da una mamma e dal suo bambino, per giunta con dei problemi di salute. (Quanta simpatia ho provato nel leggere di questo particolare: lo sapevo, partire dal figlio e ancora di più da quello più fragile, non può che farci bene, ma bene al punto da significare addirittura maggior benessere e prosperità, non solo per sé ma per tutta la comunità).
Porta il tuo bambino
Ho letto in questi giorni dell'azienda WearMe Baby, di cui è titolare Virginia Scirè, una donna, che poi è diventata moglie e quindi mamma e intende restare tutte e tre le cose senza portare allo scontro con eliminazione diretta nessuna di loro - trappola nella quale purtroppo spesso cadiamo anche noi prolife, ma su questa forzosa identificazione della donna nel suo ruolo di madre ci aveva già messe in guardia la stessa Edith Stein.
Mamma e figlio: unione benefica e non intralcio
Dall'intervista pubblicata sulla rivista DiLei scopriamo con giusto compiacimento che una strada diversa è possibile. Anche adesso, persino prima che lo Stato si decida a fare fino in fondo il proprio dovere promuovendo e tutelando famiglia e maternità, investendo davvero sul futuro, avendo a cuore soprattutto i bambini e i loro fondamentali bisogni. Uno di questi è e resta il rapporto costante, stabile e il più possibile sereno con i propri genitori, innanzitutto la mamma: suo è il pur costoso privilegio della gestazione, sua la dolce fatica dell'allattamento, sua l'esperienza di fusionalità transitoria ma necessaria e a lei e al bimbo per un sano sviluppo futuro.
Conciliazione contromano
Allora, cari tutti, perché non si parte da questa evidenza grande come una casa per trovare la necessaria conciliazione tra famiglia e lavoro (e l'ordine dei due termini significa che prima viene quella e dopo quello)?
Sarà il lavoro a doversi conciliare con la persona, così come sono i vestiti, di solito che si comprano o si realizzano adatti alla nostra fisicità e non viceversa (sebbene sappiamo quanto la taglia 38 o 40 eserciti ancora un fascino irrestisbile su giovanissime e non solo).
La storia di Virginia
Virginia ha fatto esattamente questo: aveva già un lavoro, prima di avere il suo primo figlio; subito dopo ha addirittura ricevuto una promozione che però avrebbe previsto uno spostamento di chilometri da casa e quindi aggiunto ore di separazione tra lei e il piccolo. Da quel momento di crisi è nato il cambiamento che, passo dopo passo, l'ha portata all'attuale assetto familiare e professionale.
La sua non è la vendetta contro gli imprenditori in stile Elisabetta Franchi, potrebbe diventare però un ottimo esempio da imitare.
A misura di madre
Senza spendersi in melense e ininfluenti sviolinate sull'eccezionalità di approccio di questa donna, la cosa da mettere a fuoco è il pensiero che la precede: come si può essere donne, madri e lavorare bene, facendo profitto? La risposta, per una volta, non è stata "correndo ancora di più, aggiungendo più ore, allungando gli orari degli asili nido, offrendo bonus baby sitter".
Più vicini
E' stata il contrario: avvicinare ancora di più la mamma e il figlio, adattando il vestito ai due corpi. E nel caso di WearMe Baby non si tratta solo di una metafora. Gli articoli di punta dell'azienda sono esattamente quelli che permettono di "portare il bambino": fasce, marsupi, cappotti e felpe per portare il bimbo sul dorso o sul petto.
Insomma, l'opposto di Severance. E con risultati eccellenti, se è vero che l'azienda ha triplicato i propri ricavi nel giro di pochi anni.
La cosa più interessante è vedere il seme iniziale, quello che ha permesso la maturazione di questi frutti. I semi, al solito, sono cose piccole, quasi invisibili, ma contengono tutto il necessario.
Se ci costringete a scegliere...
Ci hanno imposto un aut aut e noi, di solito, brilliamo per la capacità dell'et et: questo e quello, tu e l'altro, cucino e intanto scrivo un paragrafo (salvo poi bruciare il sugo o inciampare in un refuso). Diventare madre ci cambia nel profondo, ma non taglia via dei pezzi di noi, anzi, li attraversa tutti. Non ultimo il nostro bisogno e la nostra capacità di lavorare.
Il super potere della normalità
Non ci interessa più essere delle wonder woman, vogliamo il ritmo giusto, abbiamo capito che il tempo, quello sì, ha una qualità imprescindibile: è limitato e non è mai uguale a sé stesso. Madre e figlio hanno bisogno di tempo. Per questo, se siamo costrette a scegliere, non abbiamo dubbi (ma a volte non si ha nemmeno questo privilegio):
Così è accaduto anche a Virginia: ha dovuto fare una scelta "anche e soprattutto in vista del fatto che il mio bambino è nato con un problema di salute".
Dal licenziamento alla "gestazione" di un nuovo lavoro, il suo
Così si è licenziata, immaginiamo con dolore.
Siamo già al lieto fine o meglio al buon inizio? Non ancora; anche in questa storia, come nelle nostre gestazioni, c'è gradualità, progressione, passi che man mano coprono chilometri.
Passo dopo passo
E' da un po' che proviamo a dirvelo: non è separandoci dai nostri bimbi, soprattutto piccolissimi, ma anche dopo, vi assicuriamo in molte che la presenza è quanto mai necessaria, che otterrete da noi il contributo che ci teniamo a dare. E' esattamente il contrario: più vicinanza, meno spreco di tempo, più libertà.
Dulcis pondus
Dal dolce peso della sua bimba portata in fascia è partito lo slancio dell'azienza che ora veleggia su eccellenti risultati anche economici.
Le cose che racconta Virginia sono particolarmente interessanti perché, nel difendere i diritti di mamme e bambini, non si chiude in un ghetto, non eleva la madre a icona staccata dalla realtà e non sminuisce le altre persone. Il lavoro a misura di mamme, infatti, fa il bene di tutti. Nessuno sta bene se lavora instancabilmente, pensando solo alla produttività, dedicandosi all'azienda come si trattasse di una divinità. Il lavoro deve essere a misura di persona, semplicemente le mamme e i bambini piccoli lo rendono particolarmente evidente perché richiedono speciali attenzioni.
C'è bisogno di un certo ritmo
E' il modello entro il quale ragioniamo, o abbiamo ragionato fino ad ora, che ostacola le soluzioni. Non dobbiamo adattare le nostre famiglie e soprattutto le esigenze dei più fragili, per fase di vita o per condizione, bambini o malati o anche solo anziani che siano, ai ritmi serrati e sempre uguali della produzione industriale o all'erogazione di servizi. La prima tutta intenta a ottimizzare risorse e a non sprecare tempo, la seconda a considerare le voglie capricciose del cliente come legge suprema.
POV: la Chiesa è davvero madre e maestra
Ancora una volta la Chiesa offre il POV (come dicono ora i tiktoker, il point of view) migliore, perché considera tutte le dimensioni in gioco e si preoccupa del vero bene della persona. La persona è guardata secondo la sua dignità indisponibile a tutti (persino alla persona stessa) e anche il lavoro è letto secondo il rapporto dell'uomo con Dio e con tutto il Creato; al link il compendio della Dottrina Sociale.
Il lavoro ha bisogno di inserirsi nel e di favorire il ritmo umano. Quando noi donne diventiamo madri ci accorgiamo di questa dimensione ancora di più: le esigenze del nostro neonato richiedono riposo e attività, pause e movimento. Persino il nostro atteggiamento nei confronti dei beni d'acquisto cambia: non sempre e solo smania di fare shopping purchessia, ma anche attenzione alla qualità, alla durevolezza, all'eticità di un capo, di un oggetto.
Meno usa e getta, per le cose e per le persone
E anche in questo senso l'azienda di Virginia Sciaré sembra assecondare questo trend.
Dal bisogno di una bimba appena nata e della sua mamma di stare insieme è fiorito un modello di business sano, efficiente, prospero e cooperativo. Così si dimostra lo stile "giurassico" di certi modelli che resistono come fossili (speriamo) di un'epoca che dobbiamo superare.
Cambiamenti a portata di mano
Che questo modello non sia una specie di oasi per minoranze etniche minacciate lo dimostra il fatto che la titolare assuma tutti, donne, uomini, madri, padri, persone single. La scoperta della maternità non più come minaccia ma come valore aggiunto ha fatto bene al lavoro e al benessere di tutti.
Certo, ogni decisione comporta rischi e sacrifici, persino incomprensioni; e ogni cambiamento richiede tempo (ma che, volete insegnarlo a chi ha aspettato 9 mesi la nascita del proprio figlio?)
L'azienda WearMe Baby chiude alle quattro del pomeriggio e non tutti sono d'accordo o accettano questa anomalia in controtendenza rispetto ai centri commerciali aperti fino alle 22, i supermercati notturni, le aperture domenicali. Non importa: