Un imprevedibile e imprevisto incontro con Dio da parte di un ateo, educato da genitori non credenti, lettore di Diderot e degli illuministi del Settecento: si tratta di Eric-Emmanuel Schmitt, classe 1960, filosofo di formazione, drammaturgo di nascita, romanziere. E' una delle personalità della cultura francese più conosciute a livello internazionale. Ha deciso di raccontare ad Avvenire la storia della sua conversione, che nasce una notte del 1989 nel deserto dell’Hoggar, Sahara.
Il dono straordinario di Dio
Schmitt perde la sua comitiva e passa la notte da solo. E' lì che si consuma l'incontro con Dio. «Dire che una persona è convertita significa dire che ha compiuto una scelta attiva e volontaria. Devo ammettere che questo non rappresenta esattamente quanto ho vissuto in quella notte nel deserto. Piuttosto, ho ricevuto una grazia e un dono straordinario. E ho lasciato in me tutto il posto e lo spazio possibile per quel dono. Così, se mi chiamano convertito, preferisco essere definito come uno che ha ricevuto una rivelazione».
"Ho ricevuto una rivelazione"
Schmitt non ama parlare parlare di conversione. Ma sostiene di aver "ricevuto una rivelazione". E' questa «l’espressione che meglio mi caratterizza, perché racconta la sorpresa del dono che ho ricevuto. Io non cercavo Dio e non sapevo che Dio cercasse me. Ho avuto in dono qualcosa che non cercavo. Questa rivelazione è stata per me solo l’inizio».
Lo studio del Vangelo
Infatti, tornato in Francia il drammaturgo si è dedicato alla lettura di vari poeti mistici delle diverse religioni. «Dopo quella rivelazione ho compiuto un cammino alla scoperta del Vangelo. E lì c’è stato un lavoro molto attivo da parte mia, proprio per comprendere questo testo pieno di contraddizioni. In questo posso dire di aver vissuto una conversione. Quindi, in sintesi: nel deserto, una rivelazione; con il Vangelo, una conversione».
Sulle orme di De Foucauld
Sarà stato un caso, ma la storia di questa rivelazione è molto simile a quella dell'esploratore francese Charles de Foucauld. Come Schmitt, anche lui ha avuto una conversione, dopo l'incontro con Dio nel cuore del Sahara. Da quel momento, de Foucauld, divenuto eremita, ha avviato una grande opera di evangelizzazione di quelle terre. «La sua forza - spiega Schmitt - non è che ha cercato di cristianizzare a forza quei popoli, ma di testimoniare il Vangelo con l’esempio della vita. Proprio come ha fatto Cristo al suo tempo».
La fede al momento della morte della mamma
Una fede che per l’ex ateo Schmitt, anche nel momento del doloroso distacco dalla madre, diventa un punto d’appoggio cui sostenersi. In Diario di un amore perduto (e/o, pagine 186, euro 17,00), il nuovo libro del filosofo, lo si può leggere seguendo questi due registri: le confidenze di un figlio rispetto alla dipartita della madre; le confessioni di un credente inquieto di fronte al mistero della morte. Partiamo dalla seconda.
La fiducia nell’aldilà
L’autore, scrive sempre Avvenire, ammette di ricorrere alla preghiera per la madre morta: «Più volte al giorno prego per lei. Prego perché nel regno in cui sta approdando non vada nel panico. Prego perché vi si aggiri contenta, perché venga ben ricevuta». E chiosa: «Credo nel potere del credere». E, facendo eco al suo romanzo più “religioso” – Il vangelo secondo Pilato – Schmitt scrive: «Ho la fede. Niente nelle mie convinzioni mi ragguaglia sull’aldilà, semplicemente coltivo la fiducia. Fiducia nel mistero che ci fa esistere. Fiducia nella vita. Fiducia nella morte. La vita è stata una bella sorpresa, la morte sarà una bella sorpresa. Di che genere? Non ne ho idea!».
Il dolore che si affloscia
Attenzione, però. Non è che il credere in Dio ingeneri in Schmitt un afflosciamento del dolore. In un dialogo con un amico, credente, se ne ha la riprova: «Didier Decoin, credente come me, mi domanda: “La fede ti aiuta a superare il dolore di aver perso tua madre?”. “Per niente”. “Neanche a me”». Chiosa l’autore: «La fede non è un sapere, ma un modo di abitare l’ignoranza».