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La domanda profonda che Giovanni Paolo II pose al cardinale George

POPE JOHN PAUL II
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Robert McTeigue, SJ - pubblicato il 18/01/22
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Una domanda che dovrebbe occupare la mente di ogni cristiano serio

“Cosa sta facendo per la cultura?”

È stata questa la domanda posta da Papa Giovanni Paolo II cardinale George quando questi visitò Roma per riferire per la prima volta della sua gestione dell'arcidiocesi di Chicago (Stati Uniti). Il Pontefice mise da parte il rapporto che il porporato gli aveva portato e gli pose questa domanda impegnativa.

È una domanda che dovrebbe occupare la mente di ogni cristiano serio. Sappiamo che nella nostra epoca e nel nostro ambiente la cultura – la rete complessa di arti, economia, filosofia, media e le tante forme di interazione umana – è malata, empia, antiumana. Cosa stiamo facendo al riguardo?

Prima di provare a fare alcunché al riguardo, dobbiamo imparare come pensare a questa domanda in modo diverso. Credo che qualsiasi cultura umana sia quantomeno suscettibile di peccato e fallimento nella misura in cui non è centrata su Dio, ma non basta dire questo. Bisogna anche dire che dobbiamo andare a Cristo alle Sue condizioni piuttosto che insistere sulle nostre. Cosa intendo?

Considerate questo passo dal quarto capitolo del Vangelo di Luca. Dopo aver letto il rotolo del profeta Isaia (“Lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha consacrato con l'unzione”), Gesù dice: “Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi udite”. (Nota: Egli si identifica come l'unto di Dio, il Cristo). San Luca dice: “Tutti gli rendevano testimonianza, e si meravigliavano delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca”.

Ovviamente non è durato a lungo. Mentre continuava a predicare, si rivelava come l'Agnello sacrificale di Dio e insegnava la dottrina dell'Eucaristia, mentre sottolineava la via dell'amore sacrificale, veniva rifiutato, anche da coloro che una volta erano rimasti piacevolmente stupiti dalle Sue parole.

Considerate questo passo dalla Prima Lettera di Giovanni:

I comandamenti di Cristo includono il fatto di amare Dio al di sopra di tutto il resto, di amare il prossimo come noi stessi e di prendere su di sé la propria croce ogni giorno per seguirlo. In altri termini, il culto cristiano – la cultura del discepolato cristiano – si fonda sull'amore sacrificale, a imitazione di Cristo e in unione con Lui. Ed è per questo che il mondo contemporaneo odia i cristiani e li vuole silenziosi, silenziati, compromessi o morti.

Il mondo caduto, e soprattutto il nostro tempo folle, promuove e richiede di cercare se stessi, di inorgoglirsi, di perseguire l'autosoddisfazione. Se stessi. Se stessi. Se stessi. Ma il Dio trino è una comunità d'amore – persone che si effondono nell'autodonazione perfetta. Cristo crocifisso è icona, standard e obiettivo di amore cristiano. È l'opposto del culto di se stessi, che è una cultura di morte idolatra.

Che fare? Non ho grandi schemi da seguire. Non ho un grande piano per aggiustare il nostro mondo spezzato. So e credo che dove Cristo è conosciuto e amato può fiorire una cultura della vita, al contempo divina e umana.