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Terence Hill: il suo ultimo ciak per Don Matteo dopo 20 anni

Terence Hill
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Paola Belletti - pubblicato il 22/09/21
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Il saluto alla serie più amata degli ultimi decenni; Terence Hill passa il testimone a Raoul Bova e riceve il saluto pieno di gratitudine del produttore, della troupe, dei colleghi e delle migliaia di fedeli spettatori.

Tara riri ra ra re ra, na na na na ne ne ni na na ne na, tara tara ta rà, tara rara rarà ri rà...

Non so se si capisce che con questa mitragliata di sillabe voglio imitare la sigla di quasi tutte le stagioni di Don Matteo, il prete investigatore e perdonatore con la tonaca più lisa d'Italia in onda su Rai 1 per dodici stagioni.

A casa nostra, per me e una sola delle figlie, bastano solo le prime note per lanciarci sul divano e ancora in volo iniziare a pregustarci l'imminente puntata della serie comedy-crime-church-pop più amata di sempre.

Era diventato il nostro rituale del dopo pranzo, quest'estate, quando, in pausa dal lavoro io e dai compiti lei, ci concedevamo almeno un episodio, (uno slash quattro episodi a dire il vero. Anche quelli già visti e stravisti, non importa. Grazie a Raiplay, che però ha ancora un po' di difetti. Lo dico da utente esperto ...)

Eccolo che arriva, inforcata la bici, lembi della talare al vento, quello che tutti finora chiamavamo Trinità, ora percorre di gran carriera una strada che serpeggia in mezzo ai prati, alla lavanda, a fiori rossi e gialli.

Viene voglia di trasferirsi in Umbria già dalla sigla oppure di uscire di casa e scoprire la bellezza dei nostri paesi di provincia, di abbracciarli con lo sguardo buono ma penetrante di questo sacerdote di Santa Romana Chiesa.

Pop quanto volete, agile, sportivo, accogliente e al passo coi tempi, ma anche implacabile nell'intercettare il peccato e le passioni che lo hanno fatto maturare nel cuore di uomini e donne spesso insospettabili.

Persone per bene e invece capaci di uccidere o ferire o anche solo di lasciar tracimare la rabbia e la paura per qualcosa; non si capisce perché lo facessero sempre a ridosso di ripide scale, pendii scoscesi, ballatoi che affacciavano direttamente sul torrente che scorreva schiumando metri sotto di loro e la sfortunata vittima.

Era sempre il primo, il Don Matteo interpretato per oltre 20 anni e ben 250 episodi da Terence Hill, ad arrivare al colpevole e del colpevole arrivava al cuore, mettendolo davanti al male compiuto e, subito dopo, alla misericordia infinita del Padre; prima dei carabinieri, (bravi per carità però certe volte le domande che il maresciallo Cecchini spaccia come proprie intuizioni e invece arrivano dal suo compagno di scacchi, potevate farvele anche voi, Ndr)

Il produttore della Lux Vide, Luca Bernabei, ringrazia Terence Hill per tutto ciò che ha dato ed è stato per la serie, per i colleghi, per il pubblico che, lo si vede dai messaggi sui social, si sente già orfano. Lo sostituirà Raoul Bova, un avvicendamento non facile però si sa, il nuovo parroco trova sempre il modo di farsi amare dai suoi parrocchiani, superate le prime diffidenze e confronti.

È vero, Terence ci lascia, ma vogliamo interpretare questa frase non in senso negativo ma anche e soprattutto in senso positivo. Vogliamo pensare all’eredità che Terence ci lascia in termini appunto di dedizione, fedeltà e soprattutto di amore per DON MATTEO e per tutti i telespettatori che in questi 20 anni ci hanno seguito.

Oggi dobbiamo essere all’altezza del mito che non ci lascia ma come un padre ci guarda da lontano e ci osserva crescere. Consapevoli dell’eredità di Terence, abbiamo il dovere di impegnarci ancora di più e di portarla avanti con la massima dedizione e responsabilità. Lo dobbiamo ai milioni di italiani che guardano la serie e a Terence. A lui vogliamo dire ancora una volta…GRAZIE TERENCE HILL.

L'ultima inquadratura lo immortala seduto nei banchi della sua chiesa a Spoleto, Santa Eufemia; la stessa dove spesso si rifugiavano i protagonisti della serie per cercare un po' di pace, per arrabbiarsi con Dio, per nascondersi.

O per estorcere grazie (questo più nello stile irresistibile del maresciallo Cecchini, dal quale abbiamo anche imparato la pratica del "minuto eroico" e ritrovato l'attualità di pellegrinaggi e fioretti offerti al Santo per eccellenza, Sant'Antonio).

Dava pace anche a noi spettatori entrare in quella penombra calda di candele accese, di silenzio e raccoglimento. Solo una piccola nota: e fatela questa benedetta genuflessione quando entrate e vi trovante alla presenza del Santissimo! Chiusa parentesi.

Nel video di saluto dopo lo scrosciare di applausi, abbracci intensi e foto di rito arrivano i saluti dei colleghi e amici. Luca Argentero, Doc, protagonista nella serie Lux Vide che aveva raccolto il testimone del giovedì sera (il suo messaggio è introdotto da un rapido versolino della sua bimba, almeno così mi è parso di sentire); segue Nino Frassica con un saluto nel suo inglese da "6 e lode": Iu are semper tu nu.

Arriva poi Maurizio Lastrico, il PM più convincente di tutte le stagioni, che lo chiama maestro e riconosce che lo è stato "nelle opere concrete, in quello che ha fatto" ed è lì che ha messo tanto di sé secondo lui (probabilmente tutto; quando uno si offre di solito non dà degli scampoli ma dona sé stesso, soprattutto se è una persona integra, cioè "intera"); qui sta anche la vera motivazione del suo ritiro, per stanchezza certo e per età, ma soprattutto per il desiderio di essere totalmente nel ruolo più decisivo della sua vita di uomo, quello di marito e padre.

Ecco il capitano Anna Olivieri (capitano, non capitana) che col suo nuovo taglio corto, dovuto probabilmente alle altre serie di cui è protagonista, e il suo sorriso particolare, che fa come tirando in giù leggermente le guance, lo ringrazia per l'onore di aver lavorato con lui, "la persona più generosa che abbia mai incontrato".

Infine via via gli altri: Flavio Insinna, protagonista delle prime cinque stagioni, in cui l'incarico di capitano spettava a lui, felice e onorato di avere "cavalcato al suo fianco"; chiude i saluti un altro viso familiare, giovane, ma già entrato nei cuori degli spettatori Rai per la serie Doc Nelle tue mani, Pieparolo Spollon che rivendica il primato, tutto suo, di essere riuscito a chiedere l'unico autografo della sua vita proprio a Terence Hill.

La musica di sottofondo è quella inconfondibile del film culto Lo chiamavano Trinità; autore il compositore e direttore d'orchestra Franco Micalizzi. Per un film di recupero, con due attori allora sconosciuti, una musica allora dichiarata di bassa lega e che invece ha usato anche Quentin Tarantino nella scena finale di Django.

Pare che lo stesso Terence Hill abbia riconosciuto al compositore del tema Trinity la metà del merito dell'enorme e intramontabile successo del film.

Ma di sicuro spetta anche a lui che, insieme con Bud Spencer ha mostrato un modo di stare davanti alla macchina da presa e nella vita capace di donare gioia a chi lo segue. E' tedesco nei modi, dice qualcuno, riservato e serio.

Però quanto si commuoveva parlando di Gesù e del suo amore, nelle scene finali di ogni episodio di Don Matteo? quanto era consolante sentirsi ripetere anche in una fiction di prima serata che Dio è nostro Padre ed è pazzo d'amore anche per me se lo è così tanto persino per chi ha appena ammazzato un fratello o una moglie per invida, soldi, desiderio di potere?

In bocca al lupo al nuovo parroco, dunque; confidiamo nella proverbiale affabilità della Perpetua.

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