Immaginiamoci di essere nei primi giorni di questo dottore della Chiesa, festeggiato il 13 settembre, a Costantinopoli. È il 397. Quando Giovanni e la sua scorta giungono finalmente al palazzo episcopale, il nuovo patriarca sbarra gli occhi per lo stupore: per un istante pensa di trovarsi davanti al palazzo imperiale. Ogni corridoio brilla d’oro e d’argento, mentre i suoi piedi calpestano un pavimento perfettamente liscio, e grandi statue di marmo bianco lo spiano col loro sguardo vuoto.
Giovanni non risponde, sopraffatto dalle frasi che gli rivolgono. Decide di tacere e di osservare. Per tutto il resto della giornata, gli fanno visitare i luoghi passando per immensi saloni da festa dove si potrebbero ospitare cinquanta persone, nonché nutrirle con l’inutile oro che fodera tutte le pareti. Poi gli presentano i suoi aiutanti – diaconi e vescovi –, vestiti gli uni più sontuosamente degli altri.
A sera è servito un festino per celebrare la sua inaugurazione, ma alla vista dei servi di Dio che si gettano su vini e carni grasse, una violenta nausea salì dal ventre alla testa di Giovanni. Senza dire una parola, si eclissò verso i suoi appartamenti; anche lì, però, il letto in legno scolpito e i grappi di seta lo disgustarono. Toltosi i sandali, il novello patriarca si mise in ginocchio davanti alla finestra per gettare uno sguardo sul cielo stellato – il solo splendore che poteva calmarlo.
Reiterò la sua domanda, ancora e ancora, fino a che dei colpi alla porta non lo strapparono alla preghiera. I primi raggi del sole non avrebbero tardato ad apparire: un servitore gli portò una splendida tunica e dei gioielli, ma Giovanni li rifiutò.
L’arcivescovo non si attardò davanti all’espressione stupefatta del servitore, e si affrettò ad andare in cappella. Celebrata la messa, rimandò i vescovi che attendevano udienza e fece chiamare intendenti e consiglieri. Ordinò che venissero ritirati e venduti tutti gli oggetti di valore presenti nel palazzo, dai vasi di bronzo fino al suo letto in legno scolpito. Il ricavato sarebbe stato devoluto ai poveri e agli ospedali.
Non ci sarebbero più stati ammassamenti di tesori. Niente più pasti luculliani, salvo che per i giorni delle grandi feste. I monaci girovaghi che speravano di lucrare favori orbitando attorno al palazzo episcopale sarebbero stati rimandati nei loro monasteri. Le udienze coi vescovi sarebbero state limitate agli affari urgenti. Così decise Giovanni Crisostomo.
E non bisognava richiamare all’ordine soltanto i servitori della Chiesa: bisognava smascherare e cacciare gli impostori che ardivano abusare del santo nome di Dio per riempirsi le tasche. E poi – last but not least – bisognava ricordare ai potenti di Costantinopoli la loro responsabilità verso i più deboli. L’imperatrice stessa non sarebbe sfuggita al richiamo all’ordine del patriarca.
Vedendo gli sguardi indignati e smarriti del suo entourage, Giovanni comprese bene che il suo assalto al vizio non sarebbe piaciuto a tutti, e che la lotta sarebbe stata dura. Questa però era la missione che Dio gli aveva affidato. E che c’era da temere, se Dio era accanto a lui?
Stizzita dalle riforme di Giovanni Crisostomo, l’autorità politica di Costantinopoli fece deporre ed esiliare il patriarca, il quale si schiantò sotto il peso di una malattia lungo la strada per Pithyos nel 407. Fu dichiarato dottore della Chiesa nel 1568 da papa Pio V. L’eloquenza e il senso del dovere di questo santo non erano eguagliati che dalla sua grande umiltà.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]