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Come si fa a capire se una esperienza è realmente mistica?

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 06/08/21
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Ci sono dei segni che la distinguono da una normale esperienza di meditazione o riflessione. Ecco quali sono

Quali sono i segni che gli esperti di vita spirituale rilevano per definire autentica una esperienza mistica? O, al contrario, che si tratta semplicemente di un’ “imitazione” di tale esperienza?

Max Huot de Longchamp con Antonino Raspanti lo spiegano in “Cos’è la mistica” (Città Nuova). 

Il primo di questi segni è la fede stessa. Per esempio, il fatto stesso che Bernadette di Lourdes professa ciò che la Chiesa professa.

Il secondo segno sarà che il mistico abbia un comportamento conforme a questa fede professata: poiché «la carne produce solo fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, odio, rivalità, gelosia, dissensi, intrighi, divisioni, settarismo, invidia, bere, orge e simili – ci dice san Paolo – i frutti dello Spirito sono amore, gioia, pace, pazienza, bontà, gentilezza, fedeltà, dolcezza e autocontrollo» (Gal 5, 20-23).

La percezione che il mistico ha di se stesso in questo tipo di esperienza, come spiega il carmelitano Honoré de Sainte-Marie è la «contemplazione passiva»:

Ma poiché è molto difficile sapere quando questo raccoglimento, questo sguardo o questa contemplazione sia un dono di Dio, un effetto della meditazione, un inganno del diavolo o un’incomprensione dell’anima stessa, se ne potrà giudicare dai seguenti segni. 

Il primo è che nella preghiera passiva questa elevazione, questo sguardo, si fa come in un istante e all’improvviso. Perché l’intendimento e la volontà sono attratti e come trasportati da una mano sovrana, con grande dolcezza e in modo così eccellente, che supera ogni industria umana e tutta l’astuzia dei demoni.

Un altro segno per sapere quando si è favoriti dal dono della contemplazione è quando l’elevazione e il raccoglimento iniziano non quando l’anima vuole, ma quando piace a Dio. 

Possiamo sapere, dice santa Teresa, quando è lo spirito di Dio che ci conduce a questa preghiera o quando siamo noi stessi, tramite un sentimento di devozione che ci dona, a giungere in questo stato. In tal caso, essa non produce alcun effetto, e subito ricadiamo nella secchezza. 

Se è il diavolo che ci spinge ad essa, un’anima potrà conoscerlo, perché rimarrà nell’inquietudine con poca umiltà, poca disposizione a praticare ciò che Dio vuole, poca luce nell’intelletto e nessuna fermezza per la verità. 

Infine, quando questa preghiera passiva è un effetto della liberalità di Dio, accende presto nel cuore il fuoco dell’amore divino (Tradizione dei Padri sulla contemplazione, III, III, § 3).

A volte sopraggiungono manifestazioni spettacolari come la levitazione, le stigmate, le visioni ecc. Contrariamente alle caratteristiche che Honoré de Sainte-Marie ha appena ricordato, queste manifestazioni non sono universali. 

Infine, lo sviluppo di una vita contemplativa si fa molto spesso secondo una cronologia abbastanza stabile. Anche se, come ci avverte Louis Lallemant, «nelle varie comunicazioni che Dio fa alle anime dei suoi doni e delle sue visite, non c’è un ordine certo e limitato, così che potremmo dire: dopo questa operazione, per esempio, seguirà quest’altra; o, da un tale grado di preghiera si passa a questa» (Dottrina spirituale, VII, 4, 9). 

Avendo puntualizzato ciò, l’itinerario mistico di riferimento si ripartisce in tre fasi principali, corrispondenti a tre percezioni della presenza divina. Ma in realtà corrispondenti allo sviluppo di ogni vita di relazione. L’individuazione di questo itinerario continuerà a far luce sulla natura del fenomeno mistico, ed è per questo che vale la pena di dedicarvi l’ultima parte di questo capitolo.