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L’obesità non è solo questione di dieta

OBESITA'
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Giovanna Binci - pubblicato il 22/07/21
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Sul prossimo numero della rivista Benessere si parla di obesità e del perché, come per altri disturbi alimentari, troppo spesso non venga considerata nella cura la componente psico-sociale. Non tutti i "pesi" si misurano con una bilancia.

Se c'è uno sport in cui tutti siamo campioni olimpici, credo sia il famoso salto del "da-domani-dieta". Domani è sempre un nuovo lunedì, in fondo, direbbe Rossella O'Hara. O un nuovo primo dell'anno con la sua bella lista dove "basta fritto" e "abbonamento in palestra" sono sempre presenti.

E l'ennesimo sei gennaio di buoni propositi post sgarri festivi? Quello che tutte le feste si è portato via, ma almeno quattro panettoni li ha lasciati ben impilati nella dispensa.

Il potere benefico che ha su una giornata "no" una vaschetta di gelato da un chilo o la capacità di convincerci a fare qualcosa che aumenta del trecento per cento arrotondato per difetto davanti a un barattolo di Nutella, sappiamo tutti cosa significhi. 

Quando si tratta di cibo, non è mai solo questione di fame. Ve lo ricordate il garbato professor Sherman del film "Il professore matto" (un classico con un favoloso Eddie Murphy)?

Era obeso certo, ma prima di tutto era infelice, insicuro, incompreso dalla sua famiglia e tante altre cose. Il problema, spesso, è confondere la causa dell'obesita' con la conseguenza. Poi, ovvio che è un cane che si morde la coda: un meccanismo di distruzione dell'autostima che si alimenta ad ogni pesata e a ogni tentativo fallito di far scendere i numeri sulla bilancia.

Il punto di partenza, davanti a quello specchio non è solo il fatto di non piacersi per quei chili di troppo fuori, ma dentro. C'è molto di più del semplice impegnarsi e trattenersi per entrare in quel vestito comprato come "obiettivo". Ci sono chili e chili di "non detti" che la bilancia non segna, che trovano cibo nonostante siamo sempre "a stecchetto". Il disagio che accompagna l'obesità ha, secondo Francesco Vincelli (psicologo, psicoterapeuta, docente di psicoterapia Aiamc) intervistato sul tema nel prossimo numero di agosto di Benessere (edizioni San Paolo), una radice profonda. 

È riduttivo chiamarlo "conseguenza". E soprattutto, è pericoloso per impostare una cura che sia davvero efficace e miri a rimuovere tutte le cause, non solo fisiche. 

Non ci sono solo suscettibilità genetica, scelte alimentari sbagliate o familiarità a giocare un ruolo importante nelle disfunzioni alimentari, ma anche una vulnerabilità psicologica e sociale.

Lo stesso Sherman si sbagliava pensando di risolvere tutto "via bocca", ingerendo la fiala miracolosa che aveva inventato e diventando il magro e brillante Buddy. In realtà il professore non aveva smesso di nutrirsi della sua insicurezza (la stessa di cui ironicamente si nutre anche il magrissimo Buddy). 

Le persone affette da obesità sono in aumento (dati ISTAT parlano del 12% della popolazione adulta affetta da obesità e 46% in sovrappeso), ma le cure sembrano scarsamente efficaci cosa che invece non avviene con altre disturbi alimentari come l'anoressia, dove però, sulla centralità della componente psicologica, si lavora da tempo. 

Invece si fa presto a dire "pigro" o "non abbastanza motivato" quando si pensa a una persona con problemi di peso. Un po' come se la "colpa" per quella condizione che è, ricordiamolo, patologica, fosse imputabile a chi la vive e al suo scarso impegno. Come se ci fosse una parte di responsabilità personale per un problema che tra l'altro, molti cercano di curare con la causa stessa: il cibo.

spiega Vincelli, sul numero di Agosto della rivista BenEssere, La salute con l'anima in arrivo nelle edicole.

Ipocalorica, liquida, Dukan, plank, chetogenica. L'ultima che ha fatto dimagrire la cantante Adele. C'è chi beve, chi mangia solo carne, chi salta la colazione e pure quelli del digiuno due volte a settimana. Ci sono io, che vorrei brevettare la mia "dieta per vie legali" denunciando la Maxibon per l'edizione limitata (davvero illegale) al waffle e caramello salato.

Il problema secondo Vincelli non è lo sgarro o l'incapacità di rinunciare al cibo, quanto la presa di coscienza che sia