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Tre buone ragioni per lasciare (ogni tanto) che i bambini si annoino

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Marie-Laure Castelnau - pubblicato il 13/07/21
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Smettiamola di affannarci per tenere sempre occupati i nostri figli! La psicologa clinica Pascaline Poupinel ci spiega perché (di tanto in tanto) non è male lasciarli in preda alla noia.

Campo estivo, stage di teatro, di judo o di tennis, atelier di magia o di giardinaggio, corso di canto o d’inglese… non sappiamo più che inventarci per tenere impegnati i nostri figli durante i fine-settimana o le vacanze. 

Per paura che si annoino, che non imparino a ogni costo qualcosa… perché si “esercitino”… ci prodighiamo nell’iscriverli – piccoli o grandi che siano – a ogni sorta di attività. E per fare questo, quante ore passate a trovare “i posti giusti”, a gestire iscrizioni, organizzare gli incastri, combinare i biglietti (per non parlare dei soldi). 

È pure funte di angoscia o di snervamento, quando il bambino gira per casa e dice: «Che posso fare? Non so che fare…». Oppure vi tormenta ogni cinque minuti: «Posso prendere l’iPad? Posso invitare Tizio?». Sembra che non sappiano più che fare, e talvolta questo ci fa paura. 

E dunque i genitori si credono obbligati a tenere permanentemente occupati i loro rampolli: «Ma non c’è affatto un obbligo a essere occupati tutto il tempo», prosegue la psicologa. E bisogna davvero prendere molto sul serio questa raccomandazione perché, secondo diversi specialisti come lei, l’organizzazione dei ritmi che i genitori allestiscono attorno a un bambino partecipa alla sua costituzione e al suo equilibrio psichico, al di là di quanto ciò sia percepito. La capacità di sopportare la noia è in sé stessa un segno lampante di buona salute mentale. 

La società moderna ci incoraggia e ci influenza a tenere occupati i nostri bambini, sottolinea la psicoterapeuta e psicanalista Etty Buzyn (nel suo libro “Papa, maman, laissez moi le temps de rêver [Albin Michel]). Essendo consumista, questa società è animata dall’ideale del “sempre più”; essendo competitiva, ci spinge ad armare i nostri figli, a renderli performanti, combattivi, a prepararli agli esami, agli studi superiori, alle difficoltà professionali. Essendo digitale e permanentemente connessa, incita bambini e genitori a passare dai computer agli smartphone, dal televisore ai tablet. 

Prendete il caso dei lunghi viaggi! Oggi non c’è più un bambino che si annoi in macchina o in treno: 

Oggi già prima di salire in macchina si dà alle creature un tablet con un film o con un videogioco, e con questo compriamo… bisogna confessarlo… la nostra tranquillità. Donde la necessità di imporre dei limiti, perché quando il bambino è davanti a uno schermo non pensa, nel frattempo, ad altro: non pensa a quello che potrebbe fare in alternativa. 

Ma perché è così importante lasciare posto a questo vuoto, a questa disoccupazione? Pascaline Poupinel sottolinea tre risvolti positivi essenziali: 

È necessario che il bambino apprenda a essere solo perché è necessario sperimentare l’attesa, la frustrazione, la mancanza che saranno colmati dalla soddisfazione del desiderio: «Il bambino che reclama il seno della madre è al primo costrutto psichico di un essere umano». La capacità di essere soli è anche la capacità di dire “io”, di riconoscere che si esiste e di trovare le risorse per stare bene con sé stessi. Saper restare soli significa anche avere fiducia in sé. In ultimo, essere capaci di giocare da soli o di addormentarsi serenamente senza nessuno è segno di sicurezza interna e affettiva. 

Solo quando il bambino o l’adolescente sono disoccupati possono sognare. E sognare significa immaginare, creare, desiderare, proiettarsi, sperimentare… È un momento prezioso e necessario durante il quale lascia decollare lo spirito e le idee nascono; un tempo in cui il minore parte alla scoperta delle sue aspirazioni più personali. 

È anche un momento distensivo dopo tutti gli sforzi che gli vengono richiesti a scuola o nelle sue differenti attività: «Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni», diceva ne La Tempesta il Prospero di Shakespeare. 

Attenzione, però: lasciar sognare non significa “lasciare il bambino abbandonato a sé stesso senza regole né limiti”, precisa Etty Buzyn: «Un bambino in quella condizione non avrebbe alcuna chance di costruirsi, né di socializzare». Mi sembra necessario però restituire la posizione del bambino sognatore. Non è forse della creatività di questi futuri adulti a cui si sia lasciato il tempo di sognare, che la nostra società ha bisogno? 

È importante lasciare ai vostri figli uno spazio vuoto, nel quale possano iscriversi la creatività, i desideri, le motivazioni e i piaceri. Quest’attesa si iscrive nel tempo, perché attendere significa constatare l’assenza dell’oggetto e così far emergere il desiderio. Ed è la soddisfazione di questo desiderio che dà piacere e  permette al bambino di realizzarsi. Françoise Dolto diceva: «Le cose facili colmano il bisogno, ma non il desiderio». 

E allora quest’estate, quando vostro figlio sbadiglierà a tavola o il vostro ragazzo se ne starà svaccato sul divano, non brontolate ma rallegratevi e dite: «Si annoia, che meraviglia!». 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]