Una vocazione nata nel sangue e nell'odio, la storia del padre gesuita Marcel Uwineza comincia dall'eccidio della sua famiglia quando lui aveva solo 14 anni. Era il 1994 e in Ruanda furono ammazzate circa 1 milione di persone di etnia Tutsi in appena 3 mesi. Si usa l'espressione 'guerra civile', ma rende solo in modo vago ciò che tanti, come Marcel, ebbero sotto i loro occhi: familiari che si uccidevano a vicenda, vicini di casa che si trasformavano in carnefici. Un popolo che ha ucciso se stesso, una guerra 'intima' la definisce padre Marcel.
Da questo mare di sangue una sola esperienza riesce a strappare al male l'ultima parola: il perdono.
Tutto ciò che chiamava casa sparì di colpo a 14 anni. Marcel Uwineza vide ammazzare suo padre, sua madre, due fratelli e una sorella da persone che fino a poco tempo prima erano conoscenti, con cui aveva persino giocato. Anche un sacerdote cattolico si rifiutò di dargli rifugio. Nei mesi d'inferno del genocidio del 1994 il popolo ruandese fu schiacciato in una morsa di odio così viscerale e lacerante da lasciare traumi indelebili nei sopravvissuti, sia nelle vittime, sia nei carnefici. Questa è la crudeltà estrema della guerra, anche il supposto vincitore sanguina.
Ma l'annichilimento dell'umano non è mai totale e restano, piccolissime, le tracce di chi non cede all'odio. Marcel si salvò dalla mattanza, insieme ai 3 fratelli minori, perché un uomo di etnia Hutu - ... avrebbe dovuto essere nella schiera dei nemici e carnefici - lo tenne al sicuro, nascondendolo tra gli alveari di sua proprietà. Nonostante questa presenza buona, qualcosa si era rotto per sempre nella testa e nell'anima di quel ragazzo che oggi è un padre gesuita.
Non è un'argomentazione che sconfigge il veleno micidiale iniettato nel cuore da una violenza fratricida. Ad accompagnare Marcel fuori dalla stanza soffocante della confusione interiore e disperazione fu uno zio medico, che lo invitò a incontrare di nuovo il volto amico di Dio. Ricominciando a frequentare la chiesa, Marcel si rese conto che lì era custodita l'unica voce in grado di curare anche le ferite più profonde dell'anima. E la cura passa da un'esperienza quasi sovrumana: riconciliarsi con il proprio passato ... e anche con il nemico.
Da questa prima scintilla seguirono altri eventi che non furono altro che preamboli per l'incontro più inaudito di tutti. Marcel mise a fuoco la sua vocazione e decise di entrare nei Gesuiti. Dopo il noviziato e prima di completare gli studi all'estero, tornò nel suo villaggio per pregare sulle tombe dei suoi familiari. E lì, all'improvviso, si trovò di fronte a un gesto impossibile da immaginare: uno degli assassini dei suoi fratelli lo raggiunse e si mise in ginocchio.
In occasione di un discorso tenuto alle Nazioni Unite nel 2019, padre Marcel Uwineza ha definito il perdono fiorito da quell'incontro con queste parole:
Un cimitero, una vittima, un assassino: da un luogo di morte e da due anime diversamente ferite a morte nacque un nuovo sguardo su tutto. Il perdono non è mai singolare e non è neppure - a ben vedere - una scelta. Si può forse dire che sia una risposta. Nel caso di Marcel fu l'uomo che aveva distrutto la sua famiglia a innescare quell'esperienza plurale che è la riconciliazione. E non è un momento idillico, è un vero e proprio travaglio.
Da questo momento in poi non siamo più di fronte a un racconto di guerra in una terra lontana dalla nostra. Siamo invece al centro della nostra vita. Dal test alla testimonianza, che sintesi meravigliosa: la prova ci chiama a un atto di libertà, dentro ogni travaglio ci è compagna l'energia - la mano - di Dio che implora la nostra voce per ricordare al mondo intero che la morsa soffocante dell'odio può essere sconfitta da un abbraccio.
La storia di padre Marcel si è tradotta anche in uno studio accademico: si è laureato a Boston College con una tesi sulla teologia delle ferite. Il suo contributo non è di tipo esclusivamente intellettuale. Il senso dei suoi studi è quello tenere aperto uno spazio di riflessione che abbia come punto di confronto il valore della riconciliazione.
Il perdono infatti non è solo una categoria intima, un momento privato. Possiamo invece osare traformarlo in una pietra portante della comunità umana. Vediamo quotidianamente che la cultura della cancellazione fa passi da giganti, l'uomo si dimostra sempre più fragile proprio perché incapace di giudicare il passato in modo pacificante. Sappiamo usare molto bene la mannaia della colpa, che ci lascia monchi e dissanguati.
Serve fare memoria se ciò che abbiamo alle spalle è solo una caterva di male subito ed errori di cui siamo colpevoli? Se il perdono è il pilastro del nostro orizzonte anche la memoria diventa un'alleata del nostro cammino presente. Questo è il tema su cui padre Marcel lavora e continuerà a offrirci una voce preziosa: