All'inizio della Messa, i cattolici fanno una sorta di confessione dei peccati, dichiarando le proprie colpe davanti a tutta la congregazione. In seguito, il sacerdote recita una formula che sembra assolvere i loro peccati a Messa.
In genere, il sacerdote dice: “Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna”.
Quello che può confondere è il fatto che a volte dei sacerdoti particolari o la gente nei banchi si fanno il segno della croce, come se fossero nel confessionale.
Se i riti di apertura della Messa possono riprendere alcuni degli atti della Confessione, in realtà sono ben lungi dall'essere una sorta di Confessione o di assoluzione generale.
L'Ordinamento Generale del Messale Romano chiarisce questa distinzione:
Il segno della croce non è presente nel Messale romano, e quindi non viene prescritto come modo per concludere questo rito penitenziale.
È importante notare che le parole del sacerdote sono una “richiesta” di perdono e non una “dichiarazione” del fatto che i nostri peccati sono perdonati.
Il sacramento della Confessione è il modo ordinario della Chiesa di garantire l'assoluzione.
In una Confessione valida, il sacerdote dichiara che i nostri peccati vengono assolti. “Io ti assolvo” sono tra le parole necessarie del sacramento. Assolvere deriva dal latino absolvere, “sciogliere da”.
Nella Confessione veniamo liberati, e il nostro peccato non ci tiene più in schiavitù.
Allo stesso tempo, bisognerebbe notare che se siamo in stato di grazia e in grado di ricevere la Comunione, i peccati veniali vengono cancellati con la nostra recezione del Corpo e del Sangue di Cristo. Questo perché, come spiega il Catechismo, l'intima comunione con Cristo nell'Eucaristia ci pulisce.
“La Comunione ci separa dal peccato. Il Corpo di Cristo che riceviamo nella Comunione è « dato per noi », e il Sangue che beviamo è « sparso per molti in remissione dei peccati ». Perciò l'Eucaristia non può unirci a Cristo senza purificarci, nello stesso tempo, dai peccati commessi e preservarci da quelli futuri” (CCC, n. 1393).