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Lasciate che San Pietro Chanel ispiri i vostri momenti di solitudine

SAINT PETER CHANEL
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Michael Rennier - pubblicato il 28/04/21
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La solitudine è uno dei grandi mali del nostro tempo, ma può essere un dono se permettiamo che Dio operi in essa

Quest'anno, come tutti gli anni, me ne sono andato in un deserto isolato per rimanere solo in ritiro spirituale per cinque giorni, e come ogni anno ho lottato con la solitudine.

Alcuni, credo, sono ben felici di rimanere da soli per periodi molto superiori a cinque giorni, ma per me non è così. Sento molto la mancanza dei miei figli e del caos che provocano. Mi mancano gli amici, l'attività, le persone dell'ufficio, il ritmo della Messa quotidiana e dei volti familiari in parrocchia. Mi mancano anche le reti sociali e i messaggi. Stare da soli è molto difficile.

Ho una personalità malinconica, e quindi dopo qualche giorno di solitudine finisco per sedermi vicino al lago, guardando il mio riflesso che si mescola con quello delle nuvole sulla superficie vitrea. Scrivo poesie tristi, cerco di permettermi di provare tutto quello che provo e lotto per esprimerlo. Immergermi nell'angoscia esistenziale mi è consono, e quindi tendo a indulgervi. Sento l'assenza e mi permetto di essere triste.

In un mondo che insiste sul concetto di conforto implacabile attraverso intrattenimento, egoismo e distrazione, questa capacità di provare tristezza è il dono che la solitudine mi offre ogni anno. Di tanto in tanto, ho bisogno di spazio per contemplare i miei limiti, per ricordare quanto sono modellato profondamente e in debito per la presenza di mia moglie e dei miei figli, per pensare alla lotta che può comportare il fatto di vivere come un essere umano autentico e affrontare l'angoscia di vivere una vita in cui il tempo mi scorre tra le mani tanto rapidamente.

Non è necessariamente divertente. Fare un ritiro spirituale è un compito arduo, ma sono una persona migliore per il fatto che mi sforzo ogni anno a farlo. E per far questo devo stare da solo. Devo essere in grado di calmarmi e respirare.

Il 28 aprile si celebra la festa di San Pietro Chanel. Mentre leggevo qualcosa su di lui ho pensato a quanto dev'essersi sentito solo. Gli ultimi anni della sua vita devono essergli sembrati un lungo ritiro spirituale.

Nato in Francia nel 1803, da giovane rimase affascinato dalle lettere dei missionari d'America che venivano lette a voce alta a scuola. In seguito, quando divenne sacerdote, entrò in una società di misssione, i Maristi. Alla fine si recò nell'isola Futuna, nell'Oceano Pacifico, a nord-est delle Fiji. Il suo vescovo lo lasciò andare con la promessa che sarebbe tornato sei mesi dopo, ma nel frattempo il vescovo scomparve per cinque anni.

Pietro venne lasciato più o meno solo – penso che a volte avesse un amico con sé – a vivere in una cultura nuova, tra estranei, a imparare una nuova lingua. Ogni giorno era una lotta per la sopravvivenza, ma rimase paziente e perseverò. Col tempo, alcuni indigeni diventarono cattolici e ricevettero il Battesimo, ma il capo locale reagì violentemente alle conversioni, e Pietro venne picchiato a morte. Quel primo sforzo missionario finito in tragedia gettò però un piccolo seme che finì per crescere in seguito, quando tutta l'isola divenne cattolica.

Per me la lotta più grande che Pietro ha dovuto affrontare è stata la solitudine. Non conoscere la lingua significava che per un certo periodo di tempo non è riuscito a parlare letteralmente con nessuno. Quel senso di isolamento si è probabilmente aggravato per la mancanza di successo nella sua missione e per il fatto di essere arrivato in un luogo del tutto nuovo come un completo estraneo.

La sua solitudine, per quanto possa essere stata difficile, è stata una delle tappe necessarie per il suo successo finale. Per me è un vero incentivo nella misura in cui continuo ad affrontare la difficoltà – posso perfino dire la paura – di stare da solo.

Stare da soli è come entrare nel santuario di una chiesa mortalmente silenziosa di notte, il cielo notturno che filtra dalle vetrate, una presenza antica che persiste oltre il parapetto dell'altare. E solo voi e Dio. È un momento profondo, ma non necessariamente confortevole.

È così che mi sento quando provo la solitudine vicino a quel lago in cui mi ritiro ogni anno. È il tipo di sentimento che ti fa togliere le scarpe perché il momento è sacro e non si sa bene come reagire. Sono felice di sedermi e di sentire quella presenza, di sentire la mia umanità, anche a costo di sentirmi un po' triste e nostalgico, come se fossi avvolto – il mio vero io, nel bene e nel male – tra le braccia di una madre amorevole.

Nelle occasioni in cui possiamo sentirci soli, proviamo a pensare a San Pietro Chanel e al dono che può essere la solitudine, se permettiamo che Dio operi in essa.