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Ansia e panico: gli effetti scatenati dalla solitudine del lockdown

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fizkes | Shutterstock

Silvia Lucchetti - pubblicato il 15/06/20

L'isolamento e la quarantena ci hanno fatto sentire terribilmente soli, aggravando in modo particolare i problemi psichici già presenti nelle persone più vulnerabili.

Tra gli effetti psicologici provocati dalla pandemia da coronavirus con cui fare i conti c’è il senso di solitudine, indotto o aggravato dall’isolamento forzato a cui siamo stati lungamente costretti. Infatti ci siamo ritrovati di fatto “consegnati” senza alcun preavviso nelle nostre abitazioni, privati della possibilità di uscire liberamente come il militare a cui sia stata comminata questa sanzione per aver infranto un dovere normativamente disciplinato. Senza esserci invece macchiati di alcuna colpa, ci è stato perentoriamente ordinato di non varcare l’uscio di casa, con la sola eccezione di condizioni documentabili di assoluta necessità, pena l’incorrere in sanzioni molto “salate” fino a risvolti di carattere penale. Lo stile di vita che da tempo abbiamo adottato, sotto la spinta dei condizionamenti della attuale forma di società in cui viviamo, è dominato dai valori della velocità e della molteplicità dei contatti sociali: componenti della nostra percezione di benessere entrambe miseramente azzerate dal fantasma mortifero di un virus invisibile. Inoltre nei momenti di difficoltà, e tanto più gravi essi siano, si cerca istintivamente rifugio nella vicinanza e nella condivisione ma, a causa della necessità di interrompere la circolazione dell’agente infettante, abbiamo dovuto reprimere l’impulso a stringerci ancor di più fisicamente agli altri e soprattutto alle persone a cui vogliamo bene. Tutto ciò ha generato un diffuso senso di solitudine trasversale nella collettività, e ancora più opprimente in chi si è trovato ad affrontare la malattia, nei suoi familiari, in coloro che sono stati costretti alla quarantena, negli anziani separati dai loro cari, nei malati di altre patologie, fisiche e psichiche, che non hanno potuto ricevere le cure necessarie, negli operatori sanitari, unico baluardo – spesso lasciato senza sufficienti protezioni – di fronte allo tsunami dell’epidemia. Le persone, oppresse da questo spiacevole sentimento, si sono generalmente orientate a cercare un supporto attraverso il ricorso ai social, che per molti, ma non per tutti, hanno rappresentato un valido ausilio per gestire le varie forme di ansia generata dal lockdown. 

Cresce la richiesta di aiuto per superare attacchi di panico, disturbi d’ansia, depressione

A riguardo degli effetti che l’isolamento forzato ha generato il professor Giancarlo Cerveri, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda SocioSanitaria di Lodi, provincia che ha avuto il triste primato di zona rossa, così commenta al Corriere:

Coinvolge tutti, quindi ci rende uguali davanti a un nemico invisibile ma ci costringe a essere più soli e con il pensiero costante al virus (…) Stanno emergendo con forza tutti quei i disturbi che sembravano scomparsi nella prima fase, ma che l’emergenza aveva solo “congelato” (…) Con il passare delle settimane si è esaurita la paura di avvicinarsi all’ospedale e infatti in parallelo è aumentata la richiesta di aiuto per superare attacchi di panico, disturbi d’ansia, depressione. (Ibidem)

Aumento dei tentativi di suicidio

L’isolamento e la quarantena hanno quindi sicuramente acuito i problemi psichici preesistenti in modo particolare nelle persone più vulnerabili. Continua il professore:

(…) Abbiamo visto la recrudescenza di sintomi nelle persone già in cura e purtroppo anche un aumento dei tentativi di suicidio. Ma anche senza, fortunatamente, arrivare a questi estremi, le enormi sollecitazioni emotive, i lutti, le preoccupazioni per la salute e per le conseguenze economiche dell’epidemia, hanno alzato il livello dell’ansia e dei disturbi collegati. In molte persone l’inattività di queste settimane ha portato a ribaltare le abitudini quotidiane e quindi gli orari di veglia e riposo con conseguenti difficoltà di sonno. (Corriere)

La fobia sociale: “non esagerare con l’autoreclusione”

Si assiste al fatto che, anche dopo la fine del lockdown, alcune persone sembrano voler mantenere una specie di quarantena volontaria all’interno delle proprie mura domestiche.

Chi soffre di una fobia sociale non uscendo e non incontrando nessuno non si espone alle tensioni abituali e quindi può vedere migliorati i propri sintomi. Si tratta di persone, per esempio, con forme di autismo lieve ad alto funzionamento o che hanno una personalità con ridotta necessità di interazione con gli altri. In questa situazione possono facilmente sentirsi in equilibrio, persino un po’ euforici, ma non devono esagerare con l’autoreclusione, appena sarà possibile dovranno sforzarsi di riprendere le attività sociali e il lavoro. (Ibidem)

Quindi quale può essere il suggerimento da offrire ai familiari di queste persone per aiutarle ad affrontare le ulteriori conseguenze generate dall’isolamento forzato?

(…) isolarsi non può essere la regola, a lungo andare inoltre corrono il rischio di veder peggiorare la loro condizione. Essere sollevati dallo stress quotidiano che nasce dall’interazione con gli altri può anche dare un sollievo momentaneo ma certo non risolve i problemi. (Corriere)

E pensare che isolarsi, salendo su una montagna o andando nel deserto, ha rappresentato nei secoli per tanti uomini animati dalla fame di spiritualità la via maestra attraverso la quale ritrovare la propria identità e il rapporto con l’Assoluto, per poi tornare ed interagire con gli altri nel mondo con una diversa prospettiva. Certamente per loro si trattava di una scelta, mentre per noi è stata un’imposizione, ma dobbiamo sperare che – oltre alla sofferenza e a tutti gli sfavorevoli effetti concreti – l’arresto della nostra corsa frenetica, l’isolamento e la solitudine che abbiamo contro la nostra volontà sperimentato, generino comunque nel tempo semi preziosi per ripensare il nostro stile di vita ponendo le basi del mondo che verrà.


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