Paola Turani, modella e influencer di origini bergamesche, è un volto amatissimo. Tra le celebrities che spopolano sui social il suo profilo spicca per garbo e naturalezza, anche eleganza. Lavora da quando aveva 16 anni nel mondo della moda, ma negli ultimi anni la sua carriera è decollata in modo strepitoso. Le grandi firme se la contendono, l'abbiamo vista sfilare sui red carpet più glamour, ma nei suoi canali social si mostra sempre con una spontaneità gentile.
Dietro questa facciata meravigliosa, covava un segreto di dolore. Per 8 anni ha desiderato diventare madre, ma non è accaduto. E poi, dopo una diagnosi di infertilità e la preparazione per il percorso della fecondazione assistita, ecco arrivare una sopresa che scardina tutto. E' rimasta incinta naturalmente e pochi giorni fa, l'8 ottobre, è nato Enea Francesco all'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
La dura legge delle influencer nell'era Ferragni è una condivisione che non conosce porte chiuse e diventa una narrazione volutamente familiare. Instagram è diventato un reality show di scatti, stories e reel. Il pubblico apprezza i contenuti domestici, le confessioni aperte sugli squarci di vita più intimi e ormai si parla di "famiglia" anche per riferirsi al proprio bacino di followers.
E così anche Paola Turani ha tenuto la porta aperta su quel tempo intimo che è il travaglio. Ha voluto condividere con la famiglia dei suoi di follower - circa 2 milioni - l'esperienza della nascita e la meraviglia di scoprire il dolore e la forza di cui è capace il corpo materno. E noi pubblico assistiamo a questo racconto, in cui - per una volta - ritorna sotto i riflettori nient'altro che il dato di natura di un figlio che viene alla luce accompagnato da quel tumulto serrato che sono le contrazioni:
Loading
Le contrazioni sono quel ritmo impazzito che scardina ogni presunzione umana di saper gestire il tempo. In uno stato di scarsissima lucidità la madre fa esperienza di un passo che si impone e non è il suo. Essere in travaglio significa essenzialmente seguire qualcosa che va avanti per conto suo, non si fa nulla (non si conduce il gioco, ecco). Si è presenti in corpo, spirito, fatica e dolore a un evento che logora ogni fibra muscolare.
Ed è questo che è entrato in tendenza e ha catturato migliaia di clic negli ultimi giorni: non l'ennesimo capriccio umano, non l'ennesima trovata tecnologica assurda, ma l'esperienza di un abbandono in cui la persona è protagonista seguendo il passo che detta la vita.
E proprio perché il tempo della nascita non è dettato dalla volontà dei genitori o dagli strumenti dei dottori, occorre stare a quel che accade. Paola Turani aveva messo in conto di fare l'epidurale, ma non ce n'è stato il tempo, la sua dilatazione è stata veloce ed è arrivata al momento delle spinte poco dopo il ricovero in ospedale. Dunque ha attraversato senza filtri anestetici il tanto temuto dolore del parto. Temuto perché una certa narrazzione astratta continua a proporlo come uno spauracchio terribile ed evitabile. E' bello perciò che dall'altoparlante mediatico di un'influencer di successo esca la voce di chi ringrazia anche di aver attraversato in pienezza qualcosa che lacera il corpo fino allo sfinimento ma non lo distrugge, e anzi misteriosamente gli restituisce una forza impensabile:
Loading
E poi silenzio, finalmente. Dopo la gioia della nascita, per qualche giorno Paola Turani non ha pubblicato nulla sul suo profilo. Potere della vita che s'impone ed è più forte di ogni pianificazione virtuale. Sì, anche Instagram può 'tacere'.
Loading
Annullata e provata, una madre lo è. Soprattutto nelle prime settimane e mesi dopo aver dato alla luce un figlio. Lo rimane anche dopo ed è solo un abbaglio moderno considerare l'annullamento della donna che diventa madre come una brutta cosa. Quello che si riduce a nulla non è la persona, ma la grande mole di pensieri ed emozioni egocentrate. Molte presunzioni e illusioni si riducono a nulla, lasciano spazio a una vera relazione in presenza.
E la storia della maternità di Paola Turani ha proprio questo accento particolare, quello di una presenza che si è fatta spazio oltre le pianificazioni a tavolino e oltre le ipotesi disilluse di una coppia che si credeva non fertile.
Struccata e in lacrime, lo scorso aprile Paola Turani si era mostrata ai suoi quasi 2 milioni di followers su Instagram per raccontare la storia dolorosa del suo desiderio a lungo frustrato di diventare mamma. Legata da tanti anni all'imprenditore Riccardo Serpellini, che ha sposato nel 2019 con rito civile, ha condiviso con lui la sofferenza di non riuscire a concepire naturalmente un figlio per tanti anni.
Nel 2013 i due decidono che "sono pronti" per fare un figlio. Sì, lo sappiamo, uno dei verbi preferiti dell' homo contemporaneus è pianificare. Essere pronti, che abbaglio. Lo si può essere di fronte alla venuta di un figlio? Mai. E la cronaca di questa storia è proprio tutta nello scarto che c'è tra il volere un figlio e il riconoscere una sorpresa.
Loading
Sì, ha ragione. L'infertilità è un argomento tabù, anche se molto diffuso (e in crescita). Fa bene Paola Turani a parlarne senza girarci attorno: ci si sente impotenti, ci si vergogna di fronte a chi ingenuamente chiede "E voi? Quand'è che fate un figlio?".
Ridurre l'infertilità a un difetto che rende la persona incapace di procerare è l'anticamera per distruggere anche la vita di coppia. Tutto potrebbe ridursi ad addossare la colpa al marito o alla moglie.
Stenta ancora ad essere ospitata nella comunicazione mainstream la voce di un'alternativa più compiutamente umana della mera riduzione del tutto a una fabbricazione di figli. Perché è - apparentemente - facile il sentiero di chi riduce tutto al "manca un figlio-ti metto in braccio un figlio".
Per cui non c'è da stracciarsi le vesti nel constatare che a Paola Turani e suo marito sia stata offerta come unica alternativa possibile quella della fecondazione assistita. Loro erano pronti ad affrontare un percorso che sapevano non facile.
E poi i fatti che si sono messi in fila nella storia di Paola Turani l'hanno portata a riconoscere l'evidenza di un "piccolo miracolo". Miracolo è una parola che può benissimo essere usata senza nessuna accezione religiosa e resta eclatante, purché sia piantata nella realtà. Di solito la si pronuncia per dire l'inatteso, una corrispondenza imprevista e non pianificata.
Ed è l'irruenza di questo scarto rispetto alla progettualità che lascia sulla soglia della meraviglia.
Loading
Ecco la definizione esatta di incidente, qualcosa di non previsto che incide. Un segmento non allineato e secante, che scrive un'altra storia dentro quello che era stato sigillato in un progetto prestabilito. Vanno a quel paese le tabelle e i medici sono spiazzati. Gli ormoni in frigo restaranno lì a raffredarsi. Quello che non era affatto probabile, accade. Miracolo sì, è vero. Ma attenta, cara Paola, a definirlo nostro.
Miracolo è proprio tutto ciò che nostro non è. "Nostro" è saper identificare gli orari migliori per pubblicare una foto su Instagram, pianificazioni basate su mere statistiche. Ma quando una presenza nuova è uno schiaffo ai nostri schemi, allora "nostro" non basta più. L'orizzonte si dilata in un campo da gioco più vasto, assai poco ego-centrato. Ed è proprio quello il miracolo, riconoscere il cambio di corsia ... il tornante pericoloso ... il dosso imprevisto sul rettilineo.