Arriva di venerdì come una boccata d'ossigeno, la festa di San Giuseppe. Alla fine di un'altra settimana di lavoro si può capire meglio la sua fatica di falegname, uomo pratico. E silenzioso. Ma come si fa a conoscere un uomo che non parla? Nei Vangeli Giuseppe c'è, però sta zitto.
Presente nei momenti essenziali, presente soprattutto in quegli anni in cui Gesù sta in disparte. Giuseppe ha condiviso con suo figlio un'intimità che solo Maria conosce. Dio si è preso tanto tempo - 30 anni - per essere soprattutto figlio di un padre e una madre, in una casa forse non troppo diversa dalle nostre. Si può entrare, in punta di piedi e senza disturbare, in quel focolare domestico che ospita incarnato l'Amore di Dio? Si può entrare in casa di Giuseppe e Maria, far loro un po' di compagnia senza chiedere altro che la pace che dà loro presenza?
A bussare alla porta di Giuseppe ci ha provato Giampiero Pizzol, attore e regista e scrittore, con un testo poetico che ci fa tornare bambini, ma interrogando il nostro cuore di adulti. Ho pensato alla sua voce e alle sue parole, per trascorrere in famiglia questa festa di San Giuseppe. Tra zone arancioni e zone rosse è proprio la casa il luogo che sento diventare pesante, di fatiche e paure e obiezioni.
Ho bisogno della voce di un papà falegname che aggiusti un po' lo sguardo. Giuseppe, il falegname è un testo che Giampiero ha scritto nel suo stile migliore: l'ironia di noi romagnoli, l'occhio curioso e semplice di un bambino, il cuore di un padre spalancato a Dio. Gli ho chiesto la cortesia di interpretarne un brano e ve lo propongo per oggi, se volete trascorrere un breve momento familiare in cui sentire davvero vicina la paternità di Giuseppe.
Per quelli a cui questo assaggio ha messo appetito, lascio altre piccole «stanze» da abitare e custodire. Proviamo, ad esempio, a leggere ad alta voce in famiglia uno dei brani che seguono, in base al nostro gusto o alla curiosità. Chiediamo ai nostri figli, e a noi stessi, di condividere qualcosa che d'istinto, senza ragionarci troppo su, ci colpisce. Ci sentiamo a casa nella casa di Giuseppe? I suoi occhi cosa ci regalano?
1Fare una casa a chi ha fatto il mondo
Fare una casa è come fare il mondo: qualcosa di perfetto, dev' esserci tutto quel che serve alla vita. Tra le prime parole che ho sentito dalla bocca di Dio appena nato una era questa: casa, una parola presa dal fango, aperta e chiusa come la mano di un bambino.
Fare è il verbo di Dio. Ci ha dato un mondo di presenze, ha sconfitto il nulla a suon di luci, piante, animali, sassi e costellazioni. Un falegname capisce bene che bellezza c'è nel dare forma a un'idea, a renderla reale. Stare insieme è un'idea, ma se fai due sedie s'incarna davvero. Diciamo che è bello riposare, e lo sa bene chi costruisce un letto.
E così, un bel giorno, Gesù Bambino avrà detto per la prima volta la parola casa. Un genitore scopre da capo tutto il dizionario quando i suoi figli cominciano a parlare, ogni cosa diventa nuova e clamorosa. Ma come sarà stato sentire il Figlio di Dio dare il nome di casa a quelle quattro semplici pareti a cui Giuseppe avrà lavorato duramente? Può Dio sentirsi a casa nei rifugi provvisori in cui noi lo ospitiamo? Gli basta quel poco che le nostre mani fanno, a Lui che ha fatto l'universo intero? Gesù rise, cadde, giocò e mangiò sotto il tetto piallato e inchiodato da mani di un falegname umano.
2Una madre e un figlio, come mai nessuno li ha visti
Maria era la vita, una cascata d' acqua, una nuotata, una corsa, una sudata in campagna, una montagna fiorita, una notte stellata da guardare. Mentre allattava suo figlio e stanca faceva uno sbadiglio si appoggiava lì sul mio cuscino e con lei dormiva anche il Bambino... Io stavo in piedi e lavoravo piano per non svegliarla, con la pialla in mano. Dicevo alla lima di non far rumore e rallentavo i colpi della scure... Guardando Maria e addormentato il Bambino lì accanto, io ho capito perché Dio di lei si è innamorato.
Quando sei felice, non hai bisogno di parlare. Stai, e basta. Forse il silenzio di Giuseppe nei Vangeli ci testimonia anche questo. I suoi occhi erano così pieni di meraviglia e bene e cose inaudite che parlare sarebbe stato solo uno spreco di tempo. Il silenzio di Giuseppe trabocca di cose viste, di occhi che stanno attaccati a un'incarnazione quotidiana. Aveva davanti a sé quello che migliaia di pittori hanno cercato di ritrarre, Dio nutrito dal seno di sua Madre e cullato da Lei. La gioia più vera sta a bocca aperta e zitta.
C'è talvolta anche in casa nostra un'eco di questo miracolo che solo le presenze fanno. Basta una risata improvvisa dopo cena, tra il rumore di piatti e bicchieri da sparecchiare, e vien da dire: è tutto qui. Dio è famiglia. Dio è nella carezza che arriva quando, qualunque sia il peso dentro il cuore, c'è un volto a cui guardare, ma soprattutto da cui essere guardati. Giuseppe era bravo a scolpire il legno, ma c'è da scommettere che si lasciò scolpire dall'innoncenza disarmata con cui un Bambino Figlio di Dio si lasciava abbracciare.
3Educare le mani che avrebbero retto il peso del mondo
Vedere quelle mani farsi grandi, crescere, imitare i lavori difficili. Capire da soli ciò che vogliono fare, ciò che gli piace e dispiace, e il taglio esatto della loro luce. Ogni figlio è di Dio. Certo il mio lo era un po’ di più. ... Era così quel figlio mio e non mio capace di ripetere un intaglio che avevo fatto io nell’ebano, perfetto nel dettaglio e fare ancora meglio aggiungendo qualcosa di speciale. E ugualmente usava le parole che erano sculture sul tavolo del cuore.
Cosa aveva Gesù da imparare da Giuseppe? Innazitutto la pazienza che esige un lavoro fatto bene. Bisogna stare sul pezzo, diciamo noi. Nella bottega di un falegname ci saranno stati pezzi di legno di ogni tipo, ognuno esigeva una fatica e un lavoro diverso.
Per ognuno uno scopo diverso: una mensola, la gamba di un tavolo, una panca, una trave.
Il Figlio di Dio vide riflessa nelle mani di Giuseppe l'eco della premura divina che raccoglie anche miseri trucioli e ne fa qualcosa di unico e buono. Più tardi fu grazie a uno sguardo così premuroso che scorse in mezzo alla folla Zaccheo, un pezzo di legno che in tanti avrebbero usato solo da bruciare. Anche i cuori più duri possono essere scolpiti, lisciati, chiamati a essere parte dell'opera di un Dio che a niente di vivo darebbe il nome di inutile.