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Il disturbo bipolare si può controllare

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BenEssere - pubblicato il 17/03/21
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Si alternano periodi di iperattività alla depressione. Si può manifestare in forma più o meno grave ma è importante prenderne coscienza e farsi curare.

Di Francesca Mascheroni,

in collaborazione con la professoressa Cristina Colombo primario del Centro disturbi dell’umore dell’Irccs Ospedale San Raffaele e docente ordinario di Psichiatria all’Università Vita-Salute San Raffaele.

Passare dal settimo cielo alla disperazione più profonda, dal paradiso all’inferno. Potrebbe
essere sintetizzato così il Disturbo bipolare, un’alterazione dell’umore che prevede che chi ne soffre abbia periodicamente degli episodi depressivi alternati ad altri di polarità contraria.

«La caratteristica di questa patologia si esprime proprio in questa alternanza di fasi opposte», afferma la professoressa Colombo. «Talvolta il passaggio da una fase all’altra è lento e subdolo, altre volte è rapido e improvviso, altre volte ancora è intervallato
da un lungo periodo di umore normale (eutimico). Si tratta in ogni caso una condizione disfunzionale e destabilizzante, che può influenzare pesantemente la vita della persona, le sue attività di studio, di lavoro, di relazione.»

Vediamo di conoscere meglio queste due fasi.

«La depressione del Disturbo bipolare ha caratteristiche simili alla depressione unipolare: la persona si sente triste, demotivata, pensa e agisce lentamente, può sentirsi sopraffatta dal senso di sconforto e di inutilità», spiega la specialista.

«La fase detta maniacale è invece caratterizzata da una sensazione di ottimismo sfrenato e di onnipotenza, la persona si sente esuberante, euforica, piena di energia.»

Ritiene di poter fare qualsiasi cosa, al punto da mettere spesso in atto comportamenti estremi (spese folli, progetti azzardati, rapporti sessuali disinibiti). Ci sono anche forme di ipomania, leggermente meno gravi, in cui la persona si sente allegra e attiva,
senza arrivare a sintomi psicotici. È però sempre un po’ come andare sulle montagne russe, con una situazione che potrebbe degenerare da un momento all’altro.
Talvolta, terminato il periodo maniacale, la persona stessa rimane stupita e attonita per quello che ha fatto («Ma mi sono davvero comportato così»?). Una situazione faticosa, anche per chi le sta intorno».

Spesso sono proprio i familiari che accompagnano il paziente dal medico:
«Chi sta vivendo in una fase di mania non è veramente convinto di stare male», commenta la professoressa Colombo. «Il ruolo della famiglia in questi casi è davvero fondamentale, dato che la persona potrebbe non riferire correttamente i sintomi, ritenendo di non avere problemi.»

Ma c’è un segnale specifico, un » che può orientare lo specialista verso la diagnosi di bipolarismo?
«Un sintomo chiave è l’insonnia», risponde l’esperta. «Il paziente affetto da bipolarismo, in fase di “mania”, dorme pochissimo. Si tratta, tuttavia, di un’insonnia particolare, in quanto questa carenza prolungata di sonno non dà – come normalmente dovrebbe succedere – una sensazione di stanchezza e di mancanza di concentrazione durante la giornata. La persona, al contrario, si sente iperattiva, dinamica, al meglio di sé». Lo stesso esordio della malattia, del resto, è spesso legato a situazioni di insonnia: «Un nuovo lavoro che prevede turni di notte, un problema di salute che impedisce di riposare bene o qualsiasi altra causa che determina una deprivazione di sonno può essere l’interruttore che innesca la mania.»

Come si cura?
«La terapia si basa su più categorie di farmaci, a seconda della fase di malattia e della risposta individuale», afferma la professoressa Colombo.
«Gli stabilizzatori dell’umore sono l’asse centrale, in particolare i sali di litio, ritenuti di prima scelta in quanto in grado di agire sia sulla componente maniacale sia sulla componente depressiva. Fondamentale è la gestione del sonno. È indispensabile che il paziente con disturbo bipolare dorma un numero adeguato di ore: a volte già solo curare questo aspetto dà benefici notevolissimi. Altrettanto importante è che la terapia venga monitorata e modulata in modo costante dallo specialista. Il paziente va accompagnato, con regolari controlli periodici (ogni tre mesi; nelle situazioni ottimali, ogni sei)».

Ma il paziente dovrà stare sotto cura per tutta la vita?
«Sicuramente si tratta di una terapia lunga, anche se le linee guida dicono che dopo cinque anni senza episodi il trattamento può essere sospeso», afferma la professoressa Colombo. «Poi dipende da tante variabili: dall’età, dallo stato di salute generale, dalla professione. Va detto comunque che la maggior
parte delle persone affette da Disturbo bipolare, anche grave, può raggiungere un livello di stabilizzazione della malattia molto soddisfacente e condurre una vita normale».


Se una donna è affetta da Disturbo bipolare può comunque sperare di diventare mamma?
«Sì, anzi, questo è uno dei cavalli di battaglia che il centro in cui lavoro tiene particolarmente a portare avanti: chi soffre di questa patologia non deve rinunciare a veder realizzato un progetto fondamentale dell’esistenza come è quello di avere un
figlio», afferma la specialista.

«Naturalmente questo deve essere fatto con le necessarie precauzioni. Per esempio, la donna deve sapere fin dall’inizio che una volta nato il bambino dovrà ricominciare la terapia farmacologica e quindi non potrà allattare. Il momento più a rischio di una gravidanza, infatti, è proprio quello post partum sia perché, come si sa, in questa fase la neomamma è più vulnerabile dal punto di vista emotivo sia perché l’allattamento prevede anche poppate notturne e di conseguenza una privazione di sonno che potrebbe innescare la patologia».