Don Marco Galante è stato uno dei parroci italiani che ha visto più di altri, con i suoi occhi le conseguenze della pandemia: è infatti, il prete dell’ospedale di Schiavonia, primo Covid Hospital del Veneto e d’Italia, in provincia di Padova. E’ in questo presidio che il 21 febbraio 2020 morì la vittima numero uno del coronavirus.
E’ da questo ospedale che l’Italia ha scoperto che si può morire di covid. Immaginate quanto sia stato complicato, in quel contesto, il lavoro di cappellano di Don Marco. Eppure è stato sempre vicino ai malati fino alla fine e al fianco degli operatori sanitari per sostenerli spiritualmente nel loro difficile lavoro.
Don Marco, 46 anni, è amministratore di quattro parrocchie ai piedi dei Colli Euganei (San Giacomo, Ca’ Oddo, Schiavonia e Marendole), oltre che da sei anni cappellano dell’ospedale di Schiavonia Monselice dell’Ulss 6 Euganea. La sua storia è raccontata dal portale “Insieme ai sacerdoti”.
«È stata un’esperienza dura, impegnativa – sottolinea don Marco Galante –. A volte subentra anche un senso di impotenza, come quando un paziente ti chiede un po’ d’aria e non sai come aiutarlo».
Fare il prete in un ospedale Covid-center è una missione che deve, anzitutto, trasmettere ottimismo. «La prima medicina che somministro è quella della speranza. – spiega don Marco – Spesso le persone ricoverate, soprattutto nei primi giorni, sono intimorite dalla malattia che non sanno come evolverà. Io le ascolto e prego con loro. Anche se, secondo i protocolli, la visita deve essere veloce vedo che, di solito, quando si comincia a pregare, le persone si rasserenano».
Secondo il cappellano dell’ospedale di Schiavonia Monselice, «bisogna far sentire meno soli gli ammalati perché il virus isola molto. C’è proprio il desiderio di una parola di conforto, l’isolamento è un tempo in cui si può diventare tristi, impauriti, e la vicinanza di qualcuno aiuta a superare questi stati d’animo».
Dalla preghiera in corsia a quella in Chiesa. Nel pomeriggio il cappellano si è dedicato all’aspetto spirituale, celebrando la Messa nella cappella del Covid Hospital, dotata di una telecamera che rimanda le immagini in diretta nelle televisioni a circuito chiuso poste ai piedi di ogni letto per consentire ai malati di pregare tutti insieme, senza che nessuno si debba spostare dalla propria stanza.
Due volte alla settimana ha officiato la Messa per il personale e la sera, si è sempre collegato online con i fedeli delle sue quattro parrocchie, affidate provvisoriamente ad altri due sacerdoti, per far sentire loro la sua presenza e vicinanza (Agensir.it, 16 marzo).