Francesco compirà dal 5 all’8 marzo uno storico viaggio nel cuore dell’Islam sciita per ribadire che siamo “tutti fratelli”
Da tempo desiderato, questo viaggio è la mano tesa di Papa Francesco al Medio Oriente e al mondo musulmano, e naturalmente una preziosa visita pastorale per la piccola ma antichissima comunità cristiano-caldea che abita la regione fin dalle origini del cristianesimo. E’ stato il Patriarca Luis Sako a chiedere al Papa di venire a trovare la martoriata popolazione che ha in questi anni – dalla caduta di Saddam Hussein – patito l’instabilità della regione, la guerra e poi le incursioni del Daesh.
Dal 5 all’8 marzo in Iraq
Papa Francesco arriverà a Baghdad, capitale dell’Iraq, il 5 marzo, dove avrà il suo primo incontro con le autorità già all’aeroporto, poi vari incontri istituzionali e infine un incontro coi vescovi e il clero iracheno. La seconda giornata vedrà invece il Papa visitare Najaf, Nassirya e la Piana di Ur: sabato 6 marzo Francesco, in mattinata, lascerà infatti Baghdad per raggiungere in aereo la città di Najaf a sud della capitale, una delle località più sacre dell’islam sciita. É qui che avrà luogo la visita di cortesia al Grande Ayatollah Sayyd Ali Al- Husaymi Al -Sistani, al termine della quale il Pontefice ripartirà alla volta di Nassiriya, sulle rive dell’Eufrate, per un Incontro interreligioso presso la Piana di Ur. Previsto inoltre, in questa occasione, un discorso del Papa.
Ali al-Sistani, che ha sempre rifiutato di incontrare un capo di Stato, fa dunque un’eccezione ricevendo piuttosto il successore di Pietro che il monarca della Città del Vaticano.
Oltre al cardinal Sako, una delle personalità all’opera nell’ombra perché questo incontro possa aver luogo è padre Amir Jajé, domenicano a Baghdad e membro del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Raggiunto da i.Media poco prima che il cardinale iracheno annunciasse l’incontro, il religioso spiegava che alcuni rappresentanti sciiti l’avevano contattato appena era stata annunciata la visita del papa in Iraq (Aleteia)
Nel pomeriggio, dopo il rientro a Baghdad, sarà la celebrazione della Messa a chiudere la giornata, nella Cattedrale Caldea di “San Giuseppe” a Baghdad, una delle 11 Cattedrali presenti nel Paese (Vatican News).
Dopo Najaf, Francesco si trasferirà a Nassiriya, località tristemente nota per l’attentato del 2003 che provocò 28 morti, di cui 19 italiani. Il Papa vi resterà solo il tempo dell’atterraggio per poi spostarsi presso la Piana di Ur, patria natale di Abramo, dove è previsto uno dei momenti più importanti del viaggio: l’incontro interreligioso con rappresentanti cristiani, musulmani sunniti e sciiti, ebrei, mandei, yazidi. Nel pomeriggio, con un volo interno, il Papa farà ritorno a Baghdad, dove lo attende la messa nella Cattedrale caldea di “San Giuseppe” (Vatican Insider).
Il giorno seguente, 7 marzo, il Papa si sposterà tra il Kurdistan iracheno e la Piana di Ninive, Francesco sarà accolto dalle autorità religiose e civili della Regione autonoma del Kurdistan iracheno. Da lì, in elicottero, ci sarà il trasferimento a Mosul, città per anni nelle mani del sedicente Stato islamico, dove è prevista una Preghiera di suffragio per le vittime della guerra presso Hosh al – Bieaa, la piazza della chiesa. Ancora, in mattinata, il trasferimento del Papa in elicottero nella città assira di Qaraqosh nella piana di Ninive a pochi chilometri da Mosul, occupata dallo Stato islamico fino al 2016. Dopo l’arrivo al campo di atterraggio, Francesco si trasferirà nella Chiesa dell’“Immacolata Concezione” per la visita alla comunità di Qaraqosh a cui rivolgerà un discorso, per poi recitare la preghiera mariana dell’Angelus.
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L’accoglienza dei cristiani d’oriente
«Il Papa ci parlerà della fraternità umana, della fraternità cristiana, della fraternità irachena. In tutti questi anni abbiamo sentito il chiasso delle armi, adesso sentiamo una parola che ci conforta, e che ci incoraggia». Con queste parole il patriarca di Babilonia dei Caldei, cardinal Louis Raphaël I Sako, descrive al Christian Media Center (Cmc), della Custodia di Terra Santa, il prossimo viaggio di Papa Francesco in Iraq, nella sua prima visita ufficiale fuori dall’Italia dallo scoppio della pandemia di Coronavirus (Agensir).
«È la prima volta che il Papa celebra in un rito orientale – dice Mar Sako – abbracciando così tutta la Chiesa. Il Pontefice non è solo il Papa dei fedeli di rito latino, ma di tutti i cattolici». […] Il patriarca caldeo punta l’indice contro il settarismo: «Il mondo è cambiato – afferma Mar Sako – c’è tanto settarismo, in Medio Oriente ma anche in Occidente. Qui i rapporti tra cristiani e musulmani ora sono buoni, non ci sono difficoltà. Ma l’ideologia fondamentalista minaccia tutti coloro che non l’accettano. È una grande sfida venire a dire ‘basta guerre, basta male, basta corruzione’, ‘fate ciò che potete gli uni per gli altri per realizzare una società pacifica, stabile, che possa costruire il progresso’».
Un cammino di rispetto con gli sciiti
La visita a Najaf vuol dire, cercare un contatto con il cuore pulsante dello sciismo, la minoranza dell’Islam che però in quest’area, a cavallo tra Iran, Siria e Iraq, è maggioranza ampia, vuol dire porsi come uomo di pace e di dialogo. Per riprendere le parole del vaticanista Riccardo Cristiano su Formiche:
Najaf è il luogo dove si è rotta, nel sangue del quarto califfo Ali, l’unità islamica. Ali vi fu sepolto segretamente per evitare la profanazione del suo corpo dopo essere stato ucciso non distante da lì. Da allora quel sangue divide la maggioranza islamica, i sunniti, seguaci dei califfi omayyadi, e gli sciiti, cioè “il partito di Ali”. E infatti a Najaf si trova la moschea di Ali, per gli sciiti terzo luogo santo dell’Islam, dopo La Mecca e Medina.
Quella città è da allora il cuore di un’identità religiosa: ogni credente sciita sogna in cuor suo di essere sepolto un giorno nel grande cimitero di Najaf. La discriminazione patita dagli sciiti nel corso di secoli li ha allontanati da quell’islam urbano che dalla prima sede califfale, Damasco, hanno costruito gli omayyadi, inserendolo in un contesto mediterraneo. Né gli omayyadi né gli ottomani hanno mai aperto alle scuole giuridiche sciite. Dopo una lunga stagione in cui gli arabi sciiti sono stati conosciuti per il loro impegno politico contestatario del potere soprattutto nella forma politica della militanza comunista, la rivoluzione khomeinista è intervenuta riportando lo scontro a una centralità confessionale.
Dopo l’incontro che portò alla storica firma del Documento sulla Fraternità Umana, firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmed el-Tayeb, quello in programma è un tentativo di avvicinamento rispettoso e attento nei confronti dell’altro “polmone spirituale” dell’Islam. Al momento non si pensa che ci siano le condizioni per una firma anche di Al-Sistani, ma nulla si può escludere al momento. Esattamente come il dialogo con Bartolomeo I tiene la mano tesa verso il cristianesimo ortodosso, quello verso Al-Sistani è la promessa di un dialogo futuro, dove le religioni si tengono per mano per servire Dio e l’umanità, condannando il fondamentalismo e le reciproche chiusure. Una questione tutt’altro che secondaria per chi – come i cristiano caldei – vive gomito a gomito con ampie maggioranze musulmane.
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