C’è ancora tanto da scoprire sull’intenso rapporto tra Max, figlio primogenito con sindrome di Down, e il padre, l’attore statunitense John C. McGinley, divenuto famoso soprattutto con la fortunata sit-com che prende in giro i medical drama ma è più seria e piena di valori di quanto sembri.Ne abbiamo già parlato su Aleteia in un articolo che mostrava una sequenza di genitori famosi fieri dei propri figli con disabilità; John C. McGinley compariva in quella carrellata come il papà di Max, un ragazzo con sindrome di Down che ha dapprima sconvolto e poi riempito di nuovo senso la sua idea di paternità. E’ un attore più che affermato, ha all’attivo oltre 100 pellicole ma uno dei ruoli per il quale è particolarmente famoso e riconoscibile, oltreché apprezzato, è proprio quello del burbero, irascibile dottor Cox nella fortunata serie tv Scrubs.
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Scrubs: i principianti più convincenti dei medical-drama
E’ una serie nata in USA e tanto apprezzata anche dal pubblico italiano; ideata da Bill Lawrence, è stata prodotta dal 2001 al 2010 ed è durata nove stagioni.
Il titolo nasce da un gioco di parole con il lessico medico, perché scrub indica sia la pratica di lavarsi accuratamente le mani prima di un intervento chirurgico sia un tipo inetto che non saprebbe fare “la o col bicchiere”, figuriamoci snocciolare diagnosi e terapie. Ecco dunque perché Scrubs, medici ai primi ferri.
Un espediente narrativo molto gradevole e che la contraddistingue è la voce narrante, affidata al protagonista, JD, uno dei due tirocinanti legati da fraterna amicizia. Spesso irrompe nelle scene normali qualcosa di stravagante ma è proprio qualcosa che si sta solo immaginando il giovane specializzando.
La confessione di John C. alias dr. Cox
Il dottor Cox, interpretato proprio da John McGinley è il cattivo, ma un cattivo da sit-com. Tra le caratteristiche del personaggio che hanno richiesto all’attore un grande sforzo c’è quella di dover interpretare lunghi e serrati monologhi in ogni episodio.
Proprio raccontando di questa situazione McGinley ha rivelato un particolare molto bello e tenero, un esempio vivo del legame amore co figlio Max, il primogenito nato dal suo primo matrimonio e accolto dalla seconda moglie con amore incondizionato.
Il suo segreto per imparare i lunghi monologhi: dire Ti amo a Max
In una serie poadcast uscita fortunosamente in piena pandemia i protagonisti di Scrubs raccontano di sé e dei loro personaggi. E McGinley ha detto qualcosa che non aveva mai rivelato prima. Ovvero la ragione della sua intensità nelle interpretazioni e del fatto che anche dai monologhi più infuocati trasparisse il suo grande cuore. Come faceva e verso chi era rivolto tanto amore? Lo scopriamo leggendo un articolo di Dustin Rowles, su uproxx
Scrubs è tornato di tendenza in particolare per alcune scene che, riviste ora in epoca di contagi da contenere, sembrano particolarmente efficaci, come si vede in questa clip
Non solo una tecnica mnemonica
In concomitanza con l’esplosione della pandemia è
(….) Zach Braff e Donald Faison hanno iniziato il loro podcast di rewatch di Scrubs , e non sarebbe potuto arrivare in un momento più perfetto. Per i fan di lunga data di Scrubs , è come passare un’ora con JD e Turk, che sono i migliori amici nella vita reale come lo erano nello show (…)
Non vedevo l’ora che arrivasse la prima apparizione di John C. McGinley nel podcast. McGinley, ovviamente, interpretava il dottor Cox, il burbero dottore e mentore di JD. Nonostante la sua propensione per i monologhi infuocati e gli insulti brutali, il dottor Cox aveva un cuore enorme sotto il suo atteggiamento difensivo.
Come ha fatto McGinley a trasmetterlo in ogni episodio, anche mentre si esibiva in monologhi adirati a danno di Hugh Jackman?
Lo racconta lui stesso: i monologhi erano lunghi anche fino a due pagine; e la successione di battute serrata e impegnativa. Ecco la sua strategia: per prima cosa li riscriveva a mano e questo lo aiutava nella memorizzazione. E mentre li trascriveva aveva in mente questo compito e diceva a sé stesso: “adesso trovi un posto, un frammento, dietro il testo da imparare, sotto quella battuta, in cui tu stai dicendo, in realtà, “ti amo Max”. Quando iniziarono le riprese Max aveva circa tre anni.
La verità di quelle battute era l’affetto per il figlio
Era come se volesse “far indossare” ai suoi monologhi la verità del suo legame con il figlio. Ecco, vestiva quelle parole con l’intenzione autentica che avrebbe rivolto a suo figlio, se fosse stato lì. E di fatto, quindi, si rivolgeva a lui.
E poiché la telecamera per lui era una sorta di macchina ai raggi X sapeva che lo avrebbe letto dentro e che il pubblico avrebbe visto; per questo voleva che, in quella “radiografia” si vedesse chiaramente ciò che provava, ovvero “ti amo Max”.
Per far capire al pubblico degli ascoltatori cosa intenda John C. McGinley cita un episodio in particolare, “My Super Ego” (al minuto 19.41, Ndr):
“In questo episodio”, dice, “è proprio dove sto parlando con Judy [Reyes], e io dico: ‘Solo perché un ragazzo ha problemi non significa che non abbia bisogno’, e poi c’è una lunga pausa ed è perché continuavo ad avere un nodo in gola, e poi ho detto: “tu“. [La scena] mi ha ricordato che ho preso tutto così dannatamente sul serio, questa dichiarazione di intenti che ho scritto a Max. E influenza tutto ciò che Cox fa [nel corso di Scrubs ]. ” (ibidem)
https://www.dailymotion.com/video/x6s3yhe
Chi è Max?
Max è il primo bambino che ha reso padre John. Ci racconta che d’accordo con la moglie, Laurent Lambert, non volle sottoporlo all’amniocentesi per la consapevolezza dei rischi a cui questo esame espone il feto. Fecero altri esami e controlli non invasivi dai quali seppero che era una femmina e che era sana.
Nacque invece Max: un maschietto affetto da sindrome di Down. I bimbi portatori di questa sindrome cromosomica sono spesso a rischio di malformazioni cardiache, di danni cerebrali e problemi digestivi. Per fortuna il loro piccolo non ha avuto bisogno di interventi invasivi, né ha accusato problemi gastro-intestinali. I sintomi più gravi nei primi anni della sua vita sono state le crisi convulsive e le apnee notturne; fino ai 4 anni circa ne ha sofferto anche 60 volte a notte. Dopo i quattro anni invece è stato un bimbo relativamente sano. Dice di non aver condiviso l’approccio troppo farmacologico dei medici che forse erano eccessivamente concentrati a sedare le crisi e non tenevano del tutto conto del peso di questi farmaci sul benessere generale del bimbo. In ogni caso è stata una fase transitoria.
Racconta ancora McGinley che le sue aspettative sui rendimenti scolastici del figlio si erano abbassate parecchio, soprattutto perché per anni sono rimasti concentrati sulla sua sopravvivenza e sul conquistare un accettabile qualità di vita; invece Max li ha sorpresi un’altra volta dimostrato grandi capacità matematiche e di lettura.
Testimone di nozze
Quando McGinley sposò Nichole Kessler, un’istruttrice di yoga, a Max, che aveva 9 anni, fu chiesto di accompagnarla all’altare. Detto, fatto. Il bambino compì con grande solennità il suo incarico e poi si ritirò nella limousine a guardare il DVD dei Wiggles per il resto della cerimonia. Ma ai voti del padre era ancora presente perché John parlò proprio di lui e ancora dell’affetto grande che lo lega al figlio.
La presenza di Max e l’importanza di sostenerlo nella crescita offrendogli tutte le opportunità che merita è una costanza nella vita familiare e pubblica di McGinley e della sua famiglia; è bello che abbia raccontato come tutto abbia avuto inizio e come abbia intessuto anche la trama della sua vita professionale.