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San Francesco Saverio, il samurai e l’evangelizzazione del Giappone

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Aliénor Goudet - pubblicato il 03/12/20
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Pur essendo un rampollo di antica nobiltà basca e indolcente per indole, san Francesco Saverio (1506-1552) fu sedotto dalla fede e dall’esempio di Ignazio di Loyola (1491-1556) e si fece prete. Dopo aver dato il proprio contributo alla fondazione della Compagnia di Gesù, fu incaricato di evangelizzare le terre dell’Estremo Oriente. Lì lo spagnolo incontrò un ex samurai che l’avrebbe incoraggiato a recarsi in Giappone, mostrandogliela come una terra perfettamente disposta all’evangelizzazione cristiana. 

Malacca, dicembre 1545. All’inizio del pomeriggio, mentre le strade sono piene di gente, un uomo sulla quarantina si fa largo attraverso la folla. Anjiro, un nobile giapponese della classe dei samurai, non esita a spingere i passanti per aprirsi un varco: la sua povera madre si rivolterebbe nella tomba se lo vedesse agire con così poca eleganza… solo che non può farci molto, perché dopo due anni di ricerche finalmente incontrerà il maestro Francesco Saverio. 

Da anni il ricordo di un omicidio che ha commesso nel suo paese natale lo rode dentro, al punto che stava per mettere fine ai suoi giorni. Dei mercanti portoghesi, però, gli avevano parlato di padre Francesco Saverio, un uomo venuto di grande sapienza e dedito ai poveri che veniva dalla Spagna in nome del suo Dio. Dapprima mandato a Goa come nunzio apostolico, aveva poi scelto di vivere con i poveri e di offrire il proprio aiuto ai bisognosi. Malgrado una grande severità per quanto concerne l’osservanza della morale cristiana, si dice che non sminuisse mai i suoi avversari e che portasse grande rispetto per ogni persona di solidi principî – fossero i suoi valori cristiani o no.



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Uomo di grande umiltà 

Nel 1542, il viceré di Goa l’aveva mandato nel sud dell’India, verso le coste del Paravers. Lì il padre si dedicò alla conversione dei pescatori di perle, la penultima delle caste sociali. La sua carità e il suo esempio avevano rapidamente avuto ragione della barriera linguistica. Il conflitto dei due ragià era sopraggiunto poco dopo, e Francesco aveva guidato i suoi pescatori di perle a rifugiarsi in Travancore, ad ovest di Kanyakumari. Anche lì, il gesuita riuscì a battezzare diecimila persone. Non tutti quelli che lo incrociavano si convertivano necessariamente, ma tutti beneficiavano della sua carità e del perdono di Dio. 

– Dove si trova quest’uomo, insomma? – aveva chiesto Anjiro con una certa premura. 

– Ho sentito dire che adesso si trovi a Malacca – gli avevo risposto

Era successo due anni prima, nel 1543: il tempo di sistemare alcuni affari e Anjiro si era messo per mare alla ricerca del sant’uomo. Per sua sfortuna, il padre Saverio aveva già lasciato Malacca per l’Indonesia. Indispettito, Anjiro aveva ripreso la via del mare per tornare a Kagoshima. La Provvidenza, però, tornò alla carica e una tempesta fece naufragare il barcone sulle coste cinesi. Ecco come Anjiro fu costretto a tornare a Malacca per prendere un’altra nave… salvo venire a sapere che padre Francesco Saverio era tornato. 

Quando finalmente lo trovò nella chiesa di Nostra Signora della Montagna, il samurai s’inchinò profondamente per presentare il suo rispetto a quello che già chiamava shisho (cioè “maestro”). Quest’ultimo lo invitò a restare con lui qualche tempo, ma sarebbero bastate poche conversazioni per liberare l’anima e destare la fede di Anjiro. Ancora più sorprendente è l’interesse che padre Saverio sembrava avere per il Giappone, terra ancora ignara del messaggio di Cristo. 

Una nuova nazione tutta da evangelizzare 

La maggior parte dei luoghi di missione dove veniva mandato era popolata il più delle volte da gente illetterata e d’intelletto poco vivace. Dio sa quanto fosse necessaria la presenza di preti per avvicinare quelle persone a Cristo. Meravigliato dalle visioni del Giappone pieno di uomini saggi e spirituali, Francesco Saverio vi intravide un potenziale straordinario. Una nuova nazione tutta quanta da evangelizzare. 

– Dimmi Anjiro – gli chiese –, pensi che i Giapponesi si farebbero cristiani di buon grado? 

– Non penso, maestro – rispose Anjiro –. Ma i Giapponesi sono guidati dalla legge della ragione: se la nobiltà non potrà biasimare la vostra condotta e se voi rispondete con intelligenza alle loro domande, essa vi accoglierà e si farà cristiana. 

– Se i grandi e i sapienti riconoscessero Cristo, il resto li seguirebbe fiducioso… 

Anjiro era stupefatto: il sapere e l’umanità di maestro Saverio l’avevano sedotto fin dalla loro prima discussione. Ora però scopriva l’audacia del sant’uomo. Un ingrediente indubbiamente vitale all’estensione della carità di quest’ultimo: se c’era qualcuno capace di portare il cristianesimo in Giappone, questi poteva essere solo lui. 

Malgrado le difficoltà che si sarebbero presentate per incontrare l’imperatore e far conoscere Cristo al paese del Sol Levante, niente avrebbe fermato Francesco. La barriera linguistica era un ostacolo tra i maggiori, e se l’espulsione degli stranieri, un secolo più tardi, avrebbe posto un termine a questo tentativo di evangelizzazione, Francesco Saverio e la sua carità avrebbero lasciato un segno profondo nell’anima dei cristiani giapponesi come Anjiro. Quest’ultimo sarebbe diventato frate Paulo de Santa Fe ed avrebbe proseguito nel suo paese natale la missione avviata dal maestro. 

Francesco Saverio avrebbe reso lo spirito il 3 dicembre 1552 prima di proseguire la sua missione in Cina. Fu canonizzato nel marzo 1622 da Gregorio XV insieme con Ignazio di Loyola e divenne il patrono delle missioni. Malgrado le numerose difficoltà e la reticenza dell’estremo oriente a ricevere Cristo, la testimonianza viva di san Francesco Saverio è risuonata nel cuore di tutti i cristiani.


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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]