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Cosa c’è alla radice della violenza sulle donne?

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La Croce - Quotidiano - pubblicato il 25/11/20
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Il tema è: cosa è successo alle relazioni e alla famiglia che di esse è la matrice?Di Rachele Sagramoso

La malattia è nella relazione

Oggi vorrei parlare della relazione tra uomini e donne. Lo faccio, per iniziare, parlando delle donne i cui mariti (oggidì sono anche “compagni” visto che non c’è alcuna differenza tra il contrarre un matrimonio e non farlo, ai miei tempi s’indicava, con questo termine, chi incrociavi nei corridoi di scuola) sono violenti, ma non mi fermerò a queste tragedie: ne racconterò di altre. Muoverò anche un’accusa, ma come spesso faccio, userò le parole di una persona saggia per raccontare che «C’era una volta…» ma potremmo anche decidere che ci sarà ancora. Tenterò di concludere con un rèfolo di speranza.
Di alcune conoscenti conosco le storie, ma spesso, al di là dei nomi e dei volti, le vicende si ripresentano sovrapponendosi in una coazione a ripetere incessante, figlia di un enorme, grossissimo malinteso volutamente attuato, di matrice culturale e ideologica.



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Laura

C’è Laura (nome di fantasia, ovviamente) che si è vista portar via un bambino con la scusa di essere troppo apprensiva. Si tratta di psicologismi dei nostri tempi: una volta le mamme erano ovviamente attente alla salute – fisica e spirituale – dei loro figli, e la loro “qualità” era misurata in quanta devozione riservavano alla prole. Oggigiorno che si pensa anormale la madre alla quale piaccia stare coi propri bambini e la si descrive come una «sottomessa al focolare domestico da una cultura patriarcale e maschilista (talvolta aggiungendo bigotta e medioevale così, a caso), si “bolla” come psicologicamente inadatte le madri solo madri.

Il figlio di Laura sta col padre e la sua compagna: ci sono stati momenti nei quali la madre non ha potuto vedere il figlio, ma da qualche tempo può farlo con una psicologa (Laura mi dice che questa ragazza ha meno di trent’anni e dal suo profilo Facebook si evince sia una animalista discotecara: nulla di male, ma è in grado di capire qualcosa della maternità?) che però le dice cosa dire, come fare, come parlare a suo figlio.

A una madre che sa di esserlo non c’è nulla di più umiliante: qualcuno di poco stimato che indichi, per Legge, cosa un genitore debba o non debba fare col figlio. Laura è già preoccupata per l’adolescenza del bimbo: con un ragazzo bisogna starci, bisogna parlare, è doveroso mettersi in ascolto… chi lo farà? Il padre che gira il mondo per lavoro, o la compagna la cui preoccupazione è il cambio di guardaroba? Eppure lei lo sa: quest’uomo ha potuto fare ciò che ha fatto per due motivi: il primo perché aveva le possibilità economiche, il secondo perché Laura è sola. Dettaglio non da poco.


POOR WOMAN,
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Francesca

Veniamo a Francesca: una separazione alla quale è arrivata dopo angherie di ogni genere. Due bambine piccole da accudire e, anche in questo caso, una grande solitudine. L’ex è uno da centri sociali: uno di quelli per i diritti delle donne, che quando leggi su facebook come la pensa, diresti che è uno di quelli da manifestazione, da ‘blacklivesmatter’ eccetera eccetera. Invece, tra un diritto e l’altro, menava la compagna per qualsiasi cosa e viveva stravaccato sul divano. Un giorno Francesca ha preso figlie e gatto, e ha chiesto aiuto al primo centro antiviolenza che ha trovato. Me lo ha detto chiaramente che se avesse avuto una famiglia alle spalle, avrebbe preferito questa a degli estranei che – se pur gentili e premurosi – le prestano le cure che solo in seno a una famiglia si possono trovare.

Gianna

Gianna ha una storia disastrosa. Non vede più i suoi figli da anni. Complice, chiaramente, il fatto che i suoi parenti non l’abbiano mai aiutata. Nonostante possieda una famiglia d’origine, è stata lasciata sola ad affrontare anni di tribunali, psicologhe, assistenti sociali e un ex marito che è stato libero di rovinare la vita a lei e ai figli. Ovviamente anche lei ritenuta inidonea alla maternità per via del fatto che volesse fare solo la madre: roba evidentemente ritenuta da malati psichiatrici.

Giovanni

Cambiamo sesso e mutiamo, anche in questo caso, i nomi: Giovanni non vede più i suoi bambini perché, stanco dei tradimenti e delle angherie da parte della moglie (che più volte l’ha picchiato con oggetti taglienti e duri), è andato via di casa. Da quel giorno vive in macchina e vede i bimbi solo in presenza dei genitori della ex, che parlano male del padre, ai figli.

Luigi

Luigi non è riuscito a denunciare la moglie per mesi, perché tutti gli sconsigliavano di farlo: notoriamente è la donna a subire violenza. Quando ha ricevuto una coltellata alla schiena, finalmente qualcosa si è mosso, ma sua moglie è riuscita a far credere che, in qualche modo, se lo sia meritato. Quindi anche per lui si sono aperte le porte della Caritas per mangiare, e vede i figli con l’assistente sociale che gli dice come comportarsi: evidentemente un papà ha bisogno d’indicazioni chiare, per giocare a pallone coi figli.
Alcuni uomini riescono a rifugiarsi dalla famiglia di origine, ma sono pochi quelli che ricevono il sostegno da parte dei familiari. A volte solo la madre/nonna, affianca il figlio magari offrendogli ospitalità, ma si contano pochi casi.

Cosa manca?

Nel complesso tutte le storie di queste persone dimostrano alcuni fatti: non c’è più la famiglia. Probabilmente quelle grandi e invadenti famiglie di un tempo, formate da due nonni che avevano avuto dieci figli, dai coniugi di questi e da tutti i loro figli, erano pesanti da gestire. Tuttavia se un marito avesse tòrto un capello alla moglie, si sarebbe trovato quattro cognati che volentieri gli avrebbero “raddrizzato la gobba”, per dirla alla Guareschi. Nonostante quello che leggiamo quando una “femminista” (di quelle che dicono che l’aborto è un diritto e le donne debbono essere libere di dire che sia una procedura quasi salutare) racconta delle grandi famiglie dette criticamente “patriarcali” dove tutte le donne venivano picchiate da tutti gli uomini della famiglia, dai racconti a me fatti da persone direttamente coinvolte so che, nonostante ci fossero famiglie molto presenti e “ingombranti”, in realtà c’erano risvolti piuttosto positivi del fatto di non vivere in solitudine tante vicende della vita. A partire dalla genitorialità. Se vi era certamente una certa mancanza di privacy della vita dei neosposi, vi era un solido e incrollabile aiuto verso la madre di bambini piccoli. Nessun bambino poteva mai patire la solitudine e se debbo proiettare al tempo di queste famiglie l’avvento della raccapricciante DAD e del lookdown, be’ debbo ammettere che forse per i nostri bambini sarebbe stato infintamente meno doloroso.



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L’esperienza di un’ostetrica quasi centenaria: Maria Pollacci

Tutte queste semplicissime riflessioni ho deciso di esporle alla mia cara amica e collega ostetrica Maria Pollacci (che ho intervistato per La Croce qui e in audio-video qui), 96 anni portati alla grande, e prossima all’assistenza alla nascita del “suo” 7676° bambino (ha deciso di arrivare a 7680 e poi – forse, ha sottolineato – si concederà la pensione).

Lei è stata in Condotta (ovvero offriva assistenza sanitaria gratuita ai pazienti più poveri, assunta dal Comune, Ndr) per decenni e ha vissuto la povertà delle zone del Friuli, del Trentino e del Veneto: ha assistito le donne che vivevano nelle campagne e ha constatato realmente com’erano le famiglie del tempo «Le donne non avevano biancheria, si scambiavano quella che io mi feci regalare dalla mia mamma, per quando partorivano». Il suo racconto prosegue: «Quando assistevo mi piaceva vedere ed ascoltare il lavoro dei contadini che si aiutavano tra di loro: quando uno mieteva il grano a mano e poi lo lasciava a seccare, sapeva che se fosse venuto a piovere, i vicini sarebbero andati ad aiutarlo: non c’era solitudine, se pur nella povertà; c’era un’allegria palpabile, nelle case piene di bambini, e nelle aie dove c’erano sempre tavolate dove nessuno era escluso».

La chioccia coi pulcini, la mamma e i suoi bambini…

Che i bambini siano di mamma, è un concetto chiaro per chi vive nella semplicità: il vitello è della mucca, le uova sono della gallina. Nelle storie – tante – di chi ha conosciuto e vissuto le grandi famiglie definite sempre in modo dispregiativo “patriarcali” solo da chi non c’era, sa bene che erano le donne che vivevano la casa a decidere tante cose che riguardavano la famiglia, sa bene che i bambini avevano necessità della loro mamma, tantoché a una prematura scomparsa di questa, erano affidati alle altre donne, non se li teneva il padre. I bambini diventavano “interessanti” per il padre, quando potevano iniziare a imparare un mestiere. E Maria ci conferma il fatto che se pur fossero gli uomini a decidere molte cose della famiglia e del lavoro (99% del loro tempo lo passavano fuori casa a spaccarsi la schiena – letteralmente – per mantenere la famiglia), le donne decidevano tutto quello che avveniva in casa: i bambini erano “di mamma” e strappare un bambino alla madre sarebbe stato considerato come minimo, scandaloso.

Le donne e gli uomini, ruoli e compiti diversi nel reciproco rispetto

Maria aggiunge molte informazioni anche sulle relazioni che incorrevano tra uomini e donne sottolineando che era ben chiara la separazione dei compiti, la regola era che c’era:

«Rispetto tra moglie e marito. Alla fine della giornata di duro lavoro, la donna e l’uomo si parlavano. Può sembrare strano dirlo, ma con tutti quei telefonini e i computer, stanchi del lavoro e dell’essere stati dietro a tutti i loro impegni, i mariti e le mogli di oggi, la sera, non si parlano di nulla, sempre che non siano neppure moglie e marito, ma magari semplici conviventi». Io sono stata molto chiara nel porle alcune questioni, perché il mio obiettivo era capire bene com’era la vita un tempo e non desideravo essere fraintesa: «L’uomo magari severo, ma rispettava tanto la moglie che era sottomessa per modo di dire: la donna era libera di decidere tutto. Magari ce n’era uno cattivo (di marito ndr), ma nessuno mai come quelli che ora uccidono i bambini! Magari picchiavano la moglie (spesso da ubriachi), ma ce n’erano pochissimi e se la moglie aveva padre e fratelli… erano guai per quell’uomo!».

Non erano soli!

La vita nella semplicità era molto meglio, continua Maria che non si è mai opposta ai tempi, anzi: nella professione ha sempre mantenuto aggiornata la propria competenza. Tuttavia la nostalgia di quando dava del “voi” alla propria madre, si fa sentire moltissimo, quando è spettatrice di situazioni e fatti di cronaca nei quali non vi è rispetto per le figure della famiglia.

«Le famiglie di un tempo non erano sole: né gli uomini tra loro, né tantomeno le donne. C’era più unità e socialità… Mi spiace vedere come si è ridotta la donna “moderna”: la donna è adesso una schiava, non si gode i suoi bambini: quando assistevo i parti! Che festa! Quanto aiuto (Maria sottolinea che nella sua Condotta non ne è mai morta alcuna, di parto: ha sempre avuto il tempo di ricorrere all’ospedale o al medico condotto)! Adesso la donna ha uno, forse due figli: li dà ad altri, non si relaziona con loro…».

Ci servono i padri

Ma se i bambini sono di mamma, una famiglia senza un padre è perduta. Una donna che rimanesse senza il padre dei propri figli e senza il sostentamento, era (lo è tutt’ora) persa: e per sostentamento non s’intende attualmente solo quello economico, ma anche quello educativo. Jean-Pierre Winter, autore di L’avenir du père, infatti, lo ha dimostrato chiaramente affermando che la paternità possiede un ruolo fondamentale, come evidenziano alcune ricerche delle quali parla l’associazione Real Women of Canada della quale riporto l’opinione:

«Si è sviluppata una sfortunata nozione che il matrimonio riguarda l’appagamento emotivo degli adulti, quando in realtà riguarda i bisogni dei bambini. I bisogni dei bambini sono gli stessi oggi di cento anni fa, ma la nostra società e la cultura attuale sono cambiate, il che sta danneggiando i nostri giovani e provocando il loro comportamento problematico. Va sottolineato che le famiglie distrutte non sono solo causate dal divorzio e dalla separazione, ma anche da infedeltà, abuso di sostanze, comportamenti criminali, violenza domestica e abuso di minori, che sono troppo diffusi nella nostra cultura».

 

Il costo della disintegrazione familiare

Quanto è costata la cancellazione dell’unione familiare? È costata a Laura, Francesca e Gianna che alle spalle hanno famiglie d’origine vive e vegete, ma che sono lontane moralmente e fisicamente, incapaci d’intervenire. Gianna me lo disse tempo fa sconsolata:

«Se al momento giusto mio padre o uno dei miei fratelli avessero fatto ragionare mio marito (tra uomini, da uomini), lui non si sarebbe permesso di ‘conciarmi’ in questo modo», ma nessuno ha mosso un dito e lui ha potuto mancare di rispetto alla sua famiglia, distruggendola. Il crollo morale della struttura familiare non solo ha cagionato un’evoluzione emotiva e liquida del “contratto matrimoniale”, ma ha demolito le differenze tra il maschile (protettivo, virile, sacrificante) e il femminile (paziente, empatico, devoto): gli omuncoli attuali, privi di ogni possibile tratto virile e virtuale (da virtus-ūtis «forza, coraggio») e certamente indirizzati a una mascolinità tossica sono peggio dei padri-padroni tanto condannati dalle femministe che si mobilitano contro la violenza sulla donna, laddove – magari in modo assolutamente grossolano – un tempo il padre avrebbe comunque difeso la dignità della propria figlia dalle prepotenze del marito.

E le donne? Strappata al vetusto focolare domestico, in uno slancio liberticida, la femminilità è stata trasformata in modo da assomigliare grottescamente al peggiore dei “maschi tossici” per diventare la caricatura di se stessa e peggiore della regina Crimilde che usa il Guardiaboschi per uccidere Biancaneve. Giovanni, Luigi e molti altri uomini, soffocati da una società che fa indossare la corona alle donne solo se costoro hanno alcune caratteristiche che non devono assolutamente ricordare l’immagine felice di Biancaneve che canta mentre riordina la casa dei nani, aggrediscono e avvelenano le relazioni nei modi più disparati, sfoderando una tossicità femminile  tutta particolare.

Maschi e femmine che non diventano uomini e donne

Non è un caso che Luigi ammetta che un comportamento così calcolatore e manipolatore della realtà, non se lo sarebbe mai aspettato da sua moglie che, per altro, è stata aiutata e sostenuta dalla propria madre, nel deturpare la relazione col marito.
Che il maschile e il femminile, proprio nella differenza, debbano rispettarsi e relazionarsi in modo equilibrato e meno disastroso per il bene dei figli, dovrebbe essere molto più importante di tutti gli altri obiettivi per i quali ogni sforzo dovrebbe essere fatto per riappropriarci dell’istituto matrimoniale. La relazione tra uomo e donna, che ha subito le attenzioni morbose di idealismi emotivi e “genitalizzanti” che l’hanno ridotta a un modo di vivere narcisista ed ego-referenziale, è rimasto a un livello pseudo-adolescenziale nel quale l’individuo pensa esclusivamente a seguire le proprie emozioni senza curarsi del prossimo (in realtà l’adolescente stimolato e nutrito al Bene, è capacissimo di pensare all’Altro: l’adultescente moderno, invece, è la pessima copia dell’idea più infima che abbiamo dell’adolescente medio). Tutte le storie delle donne e degli uomini che si raccontano nella cronaca di tutti i giorni, sono caratterizzate da un livello relazionale acerbo o, se proprio dobbiamo essere franchi, marcio. L’uomo che uccide i figli dell’ex-moglie solo per il gusto mostruoso di privarla per sempre della sua felicità, o la donna che circuisce l’amante e lo convince a deturpare con l’acido il corpo del marito, sono figli di un modo di vivere gretto degno di culture diaboliche. Si tratta di persone non abituate alla riflessione, allevate da una società che premia l’emotività e l’assecondamento ai propri istinti più bestiali (il coniglio maschio va diviso dalla puerpera, altrimenti, pur di tornare ad accoppiarsi, uccide i cuccioli: non scordiamocelo).


SLAVERY
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Maschile e femmile inghiottiti dal nulla fanno strage di innocenti

Non è un caso che oramai la pedopornografia con vittime dalla nascita (parliamo di neonati col moncone ombelicale ancora integro) a tutta la pubertà, veda la partecipazione di donne e uomini che sono incapaci di ogni istinto di protezione (maschile) e cura (femminile). Con l’idea di parificare i due sessi, abbiamo eliminato le prerogative insite nel cervello dell’essere umano e le abbiamo sostituite con enormi dosi di Nulla (per dirla alla Michael Ende, autore della Storia Infinita) capace solo di assorbire il Male.
Alla fine della telefonata, Maria Pollacci mi regala altre perle di saggezza: «Fare la mamma è una professione! Educare i bambini significa farli diventare adulti e le donne, attualmente, né sanno, né si applicano: pensano solo al materiale e non allo spirituale… Hai fatto bene a dedicarti alla famiglia: domani sarai circondata da tutti i figli e ricordati che il figlio amato da bambino, ama tanto i genitori anziani».
Il giorno che ricorda l’esistenza della Violenza sulla Donna non sarà mai completo se non riflettiamo sul fatto che la malattia relazionale tra donne e uomini sta sgretolando sia il Femminile, sia il Maschile, trascinando con sé il bene dei bambini. E forse l’epoca della riflessione sta arrivando.

La bellezza vera della maternità

Francesco Pastronchi descrisse così la mia bisnonna: «Ecco la madre che umile si esalta nella propria fecondità: mater admirabilis: e si vagheggia e si specchia nei suoi nati. Bello e santo orgoglio. Chi la vide tra i suoi figli, sempre alacre e sorridente, e prona ai loro desideri, ma soprattutto alle loro anime che si indirizzassero per la diritta via, nella luce del bene, e non deviassero dal solco austero in cui Ella aveva camminato e ora guidava i piccoli passi impazienti: chi la guardò serena con la sua nidiata senza mai imporre un dominio e anzi accordandosi alla loro inquietudine festosa, e signoreggiandola col solo potere dell’affetto: quegli può dire di avere conosciuto una pura immagine di maternità»

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