La casa rimarrà al centro della vita anche dopo la pandemia, in architettura si parla di «nuova era della nidificazione». Non lasciamo che sia un trend, può essere una proposta umana in cui la famiglia è di nuovo protagonista.
«Ci stiamo sempre preparando a qualcosa…
qualcosa che non salta mai fuori.
Io do aria alla casa, voi la spazzate;
ma cosa deve accadere nella casa?»
da Uomovivo, G.K. Chesterton
Siamo stati chiusi in casa da marzo scorso. Ne siamo poi usciti per qualche scampolo d’estate. Ora siamo di nuovo tra quattro mura. I più fortunati hanno potuto tenersi il lavoro grazie allo smartvworking. Le case sono anche diventate scuole, per i figli alle prese con la didattica a distanza.
Volenti o nolenti, lo spazio domestico familiare è tornato a essere il centro di gravità della vita. Le riflessioni degli urbanisti e degli architetti parlano, a questo proposito, di «nuova era della nidificazione». Cos’è? In sostanza l’ipotesi è che la crisi della pandemia, oltre alle gravissime conseguenze che ben conosciamo, potrà essere l‘occasione di ripensare le città, mettendo al centro la casa.
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Ma cos’è la casa? Stiamo parlando solo di nuovi trend di design? Nido fa pensare a un progetto di vita, ed è questo il valore aggiunto dell’immagine.
La nuova era della nidificazione
Una famosa azienda di elettrodomestici ha recentemente pubblicato un report sul tema: come saranno gli spazi di vita dopo la pandemia? A quanto pare l’impatto col Covid-19 ha avuto anche l’effetto collaterale non negativo di farci vedere che si può rinunciare alla frenesia di una vita centrifuga, sempre orientata fuori casa.
Il rapporto illustra in modo chiaro questo spostamento verso una mentalità più locale e più focalizzata verso l’interno, che rimarrà anche nel post pandemia, evidenziando appunto in modo chiaro una nuova era della nidificazione.
Lo smartworking, il boom dell’intrattenimento e la nuova necessità di benessere domestico sono solo tre dei cambiamenti emergenti che si sono evidenziati dall’oggi al domani, ma entro il 2030 l’era della nidificazione sarà in pieno svolgimento. L’eredità del lockdown, visto assieme ai nuovi cambiamenti comportamentali, trasformerà radicalmente gli stili di vita, ma anche gli ambienti domestici, che diventeranno infatti sempre di più “spazi fusi”, cioè in grado di essere vissuti in modo diverso e più condiviso. (da I Love parquet)
Da molti decenni (potremmo anche dire da un secolo…) ci si sperticava a gridare quanto fossero alienanti per l’uomo le grandi metropoli sovraffolate, gli orari di lavoro stritolanti e i luoghi anonimi di divertimento come le discoteche. Montale disse «siamo alla solitudine di massa» e basti la sua sintesi alle mille altre citazioni che si potrebbero fare. La pandemia è lo scossose che ha dato una spinta concreta a vivere una quotidianità più lenta, a piccola dimensione, con ritmi meno folli.
Ed è un bene se questo urto con l’emergenza ci farà allontanare dalle città-fantasma (luoghi anonimi ed enormi, abitati da uomini ridotti a larve). Ma parlare di nuovi nidi come «spazi fusi» sarà mica come venderci una nuova forma – magari boho-chic – di scatole?
Il pettirosso penserebbe al nido se non avesse la preoccupazione di covare le uova? E dunque: si può parlare di casa partendo da altro che non sia il vero centro del discorso, la famiglia?
Nidi fluidi?
Sul tema di questa nuova era della nidificazione è intervenuto anche l’architetto Stefano Boeri, professore del Politecnico di Milano e celebre ideatore del bosco verticale, sempre nel capoluogo lombardo. Nell’intervista che ha rilasciato al Messaggero ci sono molti spunti suggestivi. Ecco il primo:
Siamo tutti nati sull’idea tipica dell’architettura moderna, ma anche dell’urbanistica, che tendeva a suddividere la giornata in tre grandi fasi: fase della residenza, fase del lavoro e fase del tempo libero. Ci siamo ispirati a una logica di questo tipo nel costruire case, edifici, città. Questa separazione oggi non ha più senso. Dobbiamo immaginare spazi più fluidi. Nella vita quotidiana ci capiterà sempre più spesso di inserire momenti di tempo libero nella fase dedicata al lavoro o di lavoro nella fase della residenza e così via. (da Il Messaggero)
Ad esempio, Boeri immagina i tetti e i pianerottoli dei condomini come i nuovi cortili, luoghi di incontro e scambi tra chi abita insieme. Interessante! Però quella parola fluidi mi lascia perplessa. Non eravamo fin troppo fluidi già prima, come fiumi in piena, con le nostre frenesie quotidiane? Fluido è spandersi ovunque senza appartenere a niente. E il nido è proprio l’antitesi del fluido, è un recinto.
Ma fluido è un aggettivo che oggi piace e, soprattutto, paga l’obolo a certa ideologia imperante che ben conosciamo.
Case selvagge
Era il 1911 quando Chesterton mise sul tavolo del dibattito culturale l’idea che la casa dovesse essere il centro della comunità umana. Lo fece a modo suo, con immagini spinte come questa:
Per il sano lavoratore la casa non è il luogo della routine in un mondo pieno di avventure. È l’unico posto selvaggio in un mondo di regole e compiti prestabiliti. La casa è l’unico luogo in cui egli può mettere il tappeto sul tetto e una lavagna come pavimento, se vuole.
Quando un uomo trascorre ogni notte passando da un bar all’altro o da un concerto all’altro, diciamo che conduce una vita irregolare. Non è vero: vive una vita infinitamente regolare, sotto le scialbe, e spesso oppressive, leggi di quei posti. In qualche caso non gli è neppure permesso di sedersi dentro ai bar e spesso non gli è permesso cantare ad un concerto. L’hotel può essere definito come quel luogo in cui sei costretto a vestirti e il teatro può essere definito come quel luogo in cui non puoi fumare. Un uomo può fare un picnic solo a casa sua. (da Cosa c’è di sbagliato nel mondo)
Ci sono architetti coraggiosi che applaudono all’idea di un pic nic in salotto? Spero di sì. L’alternativa è proprio il fluido passare da un intrattenimento all’altro, da un ufficio all’altro.
Un luogo vivo, creativo, libero
Mettere al centro della vita la casa significa mettere al centro chi la abita, un gruppo di creature umane legate tra loro. Libera e creativa sono gli aggettivi che si addicono alla famiglia. Lo spazio domestico è un nido che può adattarsi a funzioni diverse proprio perché è un recinto libero abitato da persone la cui cifra più specifica è la creatività. In questo senso strampalato ma verissimo:
L’uomo medio non sa dipingere il tramonto, di cui ammira i colori, ma sa dipingere la sua casa del colore che sceglie e se anche la dipinge di verde pisello a puntini rosa, lui è un artista, perché quella è la sua scelta.
La proprietà è semplicemente l’arte della democrazia. Significa che ogni uomo dovrebbe avere qualcosa a cui dar forma a sua immagine, come egli è fatto ad immagine del cielo. (da Cosa c’è di sbagliato nel mondo, G. K. Chesterton)
Mi pare che creativo abbia potenzialità infinitamente più stupefacenti di fluido.
Decentrati, non isolati
Uscendo dallo stretto spazio domestico, Boeri offre anche uno scorcio sulla città del post pandemia:
Le città devono diventare un arcipelago di borghi urbani e i borghi storici devono tornare a essere piccole città. Dobbiamo immaginare città dove ci sia la possibilità di accedere a tutti i servizi necessari in tempi e spazi molto più ridotti. Stiamo andando verso un cambiamento radicale. Le città hanno sempre funzionato a partire da grandi epicentri della vita, come mercati, fabbriche, stadi, centri commerciali. Stiamo andando verso il decentramento. (Ibid)
Decentrarsi è una bella parola se significa rendersi conto che il centro dell’attività umana non può essere il supermercato e neppure l’ufficio. L’idea dell’arcipelago è bella, se è alternativa al formicaio. Ricordiamo però che nessun uomo è un’isola (citando John Donne).
In altre parole: decentramento non significa assenza di un centro, piccolo non significa ognuno per sé.
Era la metà degli anni ’50 quando l’imprenditore e ingegnere Adriano Olivetti parlava già di decentramento come via di salvezza:
Il decentramento può e deve essere usato come strumento di difesa dell’uomo. […] Il mondo moderno avendo racchiuso l’uomo negli uffici, nelel fabbriche, vivendo nelle città tra l’asfalto delle strade e l’elevarsi delle gru e il rumore dei motori e il disordinato intrecciarsi dei veicoli, rassomiglia un poco a una vasta, dinamica, assordante, ostile prigione dalla quale bisogna, presto o tardi, evadere. (da Noi sogniamo il silenzio)
L’uomo fuggito da questa prigione, su quali basi costruisce una nuova casa e comunità?
Culle per l’anima, non alloggi per individui
Che questo tempo, per quando drammatico, possa offrire anche occasioni di cambiamento da non perdere è evidente. Quest’intuizione sulla nuova nidificazione è di valore a patto che non sia un trend di design, ma un’ipotesi umana con fondamenta che stanno altrove dall’architettura e dall’urbanistica. Chi abita la casa? Chi abita la città? Dalla risposta a queste domande vedremo chi costruirà sulla sabbia e chi sulla roccia.
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E la roccia può essere solo qualcosa di più permanente dei muri e perfino delle ossa umane. Il perimetro del nostro vissuto custodisce qualcosa di più duraturo dei magnifici grattacieli che svettano ovunque. Al cielo l’uomo ci arriva, con l’anima; lo intuì bene Olivetti, a cui lascio l’ultima parola. Si edifica bene quando il centro è la parte più vera della nostra umanità:
Un sacco di grano può essere sostituito da un altro. Il nutrimento che una collettività fornisce alla’anima dei suoi membri non ha equivalnete in tutto l’universo. Poi, con la sua durata, la collettività penetra già l’avvenire. Contiene nutrimento non solo per le anime dei vivi, ma anche per quegli esseri non ancora nati che verrano al mondo nei secoli a venire. (Idib)