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Il gesto del Papa che ha promosso il processo di pace in Sud Sudan

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Ary Waldir Ramos Díaz - pubblicato il 04/11/20
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Intervista al segretario generale della Comunità di Sant’Egidio, Paolo ImpagliazzoDall’inedito gesto di Papa Francesco di baciare i piedi ai leader in conflitto nel Sud Sudan al processo di pace attualmente in corso. “Nessuno si aspettava il gesto del Papa che ha promosso il dialogo”. Aleteia ha intervistato il segretario generale della Comunità di Sant’Egidio, Paolo Impagliazzo.

Il Sud Sudan ha 12 milioni di cittadini, ma circa 2 milioni sono rifugiati nei Paesi limitrofi, e 2,5 milioni rifugiati interni, ovvero hanno dovuto abbandonare le proprie case per cercare zone più sicure.

Il nuovo Stato ha celebrato la sua indipendenza dal Sudan nel 2011, dopo un lungo conflitto durato oltre vent’anni. Nove anni dopo, il Paese continua ad essere immerso nella violenza.

Catastrofe umanitaria dimenticata dalla comunità internazionale

La Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha denunciato nel 2016 un processo di pulizia etnica in varie zone, con incendio di villaggi, violenze di gruppo e la perversa strategia bellica di far morire di fame l’avversario.

La guerra civile ha provocato 400.000 morti. Circa 6 milioni di persone dipendono dagli aiuti alimentari diretti del Programma Alimentare delle Nazioni Unite.

L’ONU sostiene che nel Paese più giovane del mondo la popolazione civile abbia alla sua portata più o meno 700.000 armi leggere.

Si tratta di una catastrofe umanitaria che ha fatto “inginocchiare” perfino Papa Francesco, che desidera visitare il Paese non appena possibile.

La guerra interna

Come ha fatto una Nazione ricca di petrolio e risorse naturali ad arrivare a una tale emergenza umanitaria? Il conflitto è scoppiato nel 2013. Prima del Natale di quell’anno, il Presidente Salva Kiir ha destituito il suo vicepresidente, Riek Machar, che ha accusato di aver tramato un colpo di Stato fallito ai danni del suo Governo.

I leader appartenevano allo stesso partito, l’Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan. Successivamente i militari si sono divisi ed è iniziata la crisi politica, con effusione di sangue e violenza nelle strade e nei villaggi.

Il conflitto ha poi assunto tratti etnici, con la rivalità tra l’etnia dinka, maggioritaria nel Paese e a cui appartiene Salva Kiir, e i nuer, a cui appartiene Riek Machar.

Nel 2015 si è giunti a un fragile accordo di pace. La roadmap prevedeva il ritorno di Machar nel Paese e la sua reintegrazione come vicepresidente in un Governo di unità presieduto da Kiir. Tre mesi dopo il suo ritorno ad aprile, Machar è stato espulso dal Governo, e nel luglio 2016 il conflitto è scoppiato di nuovo.

La crisi politica compirà il 13 dicembre 7 anni. Paolo Impagliazzo ha ricostruito i passi “lenti” ma necessari compiuti finora dai gruppi rivali nel nuovo processo di pace.

“Lavoro artigianale” per uscire dalla crisi

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HANDOUT | AFP

Il 12 settembre 2018 è stato firmato l’accordo ad Addis Abeba tra i due partiti più importanti del Sud Sudan in guerra. In quell’accordo, alcuni gruppi sono rimasti fuori.

L’11 aprile 2019, nel contesto di un ritiro spirituale in Vaticano, Papa Francesco ha compiuto un gesto inaspettato a favore della pace nel martoriato Paese africano, inginocchiandosi per baciare i piedi ai leader sudanesi.



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Nel gennaio e febbraio 2020, la Comunità di Sant’Egidio ha lavorato perché i gruppi che non avevano firmato l’accordo del 2018 aderissero a un cessate il fuoco e al dialogo politico. Il processo continua a coinvolgere i militari per verificare quando si viola il silenzio delle armi, un aspetto “molto importante”, sottolinea Impagliazzo, per continuare a dialogare.

Nell’ottobre 2020, dopo una pausa obbligata a causa della crisi del coronavirus, la Comunità di Sant’Egidio ha convocato a Roma una nuova mediazione tra le due parti in conflitto. Un passo avanti in questa nuova tappa è stata la “costruzione di un meccanismo per il cessate il fuoco”, ha spiegato Impagliazzo.

Per presentare i risultati, il 14 ottobre Impagliazzo era accompagnato dal delegato del Governo del Sud Sudan, Benjamin Barnaba, e dal generale Thomas Cirillo Swaka, leader del Movimento di Opposizione del Sud Sudan (Ssoma), una coalizione di forze che non ha aderito agli accordi di pace di Addis Abeba del 2018.

Durante il coronavirus si è tornato a sparare e c’è stata molta violenza nel Paese, con come protagonisti i gruppi che non hanno firmato l’accordo e quelli che lo hanno fatto. A ottobre la mediazione di Sant’Egidio ha avuto come obiettivo il silenzio delle armi e il ritorno ai negoziati.

Dal 9 al 12 novembre e il 30 del mese, nella sede della Comunità a Roma verranno organizzati nuovi incontri per riprendere il dialogo di pace con i protagonisti delle azioni militari e insistere sul rispetto del cessate il fuoco.

SAN EGIDIO

AFP | Alberto PIZZOLI

Il gesto del Papa commentato dai leader sudanesi

In questo contesto, “il gesto del Papa è stato accolto dalla popolazione del Sud Sudan con grande speranza. Dall’altro lato, i leader ricordano sempre questo gesto, come durante l’ultimo incontro di ottobre: ‘Ci vergogniamo per non aver ancora risposto al gesto (di pace) del Papa’. Dobbiamo agire più rapidamente, dobbiamo arrivare a un accordo per porre fine alle ostilità. Lo hanno inciso nella mente e sono turbati per non aver risposto in modo concreto e definitivo al gesto”.

I leader sudanesi commentano il gesto del Pontefice come l’ultima opportunità a loro disposizione. “A chi possiamo chiedere aiuto, dopo che il Papa ha compiuto un gesto simile nei nostri confronti? E la risposta che si danno è ‘Nessuno!’ È l’autorità morale più importante del mondo, dobbiamo rispondere a lui”, ha riferito Impagliazzo.

Il consiglio di Giovanni XXIII

Impagliazzo ci ha anche raccontato dettagli inediti di quanto accaduto nel ritiro spirituale in Vaticano dell’aprile 2019. I leader del Sud Sudan sono “rimasti molto colpiti dalla dedica che Papa Francesco ha scritto nella Bibbia che ha donato ai partecipanti a quel ritiro”, che recita:

‘Pensi quindi ognuno, non a ciò che divide gli animi, ma a ciò che li può unire nella mutua comprensione e nella reciproca stima’ (San Giovanni XXIII, Ad Petri Cathedram, 29 giugno 1959).

“Gli incontri nella sede della Comunità di Sant’Egidio obbediscono a questo spirito vissuto nella saggezza della Chiesa e di San Giovanni XXIII. Sicuramente non si procede ancora rapidamente come si vorrebbe, ma i leader sudanesi hanno impresso nella coscienza il ricordo del gesto simbolico di Papa Francesco”, ha commentato Impagliazzo.

PAOLO IMPAGLIAZZO

@paoloimpa

Un Paese cristiano

Quanto alla fede, “il Sud Sudan è un Paese cristiano, in cui convivono tante denominazioni cristiane: anglicani, presbiteriani, evangelici, ma i cattolici sono la maggioranza. Ci sono anche animisti e alcuni musulmani”. “I cattolici rappresentano una presenza importante. Basti pensare che il nome del Presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, significa ‘il salvatore’”.

I missionari cattolici sono stati coloro che hanno aperto scuole, inaugurato ospedali e dato la possibilità a molti Sudanesi di studiare all’università attraverso borse di studio, oltre ad esserci una presenza importante dei cristiani in vari ambiti della società, in cui la figura del Papa è molto venerata”.

San Giovanni Paolo II continua a ispirare nella ricerca della pace

La Comunità di Sant’Egidio, ricorda Impagliazzo, applica anche la saggezza dell’esperienza maturata da San Giovanni Paolo II nella Giornata di Preghiera per la Pace, che quest’anno ha celebrato la sua 34ma edizione, riassunta in questa frase rivolta ai leader delle religioni del mondo:

“La pace è un’opera in costruzione aperta a tutti, non solo agli esperti, ai saggi e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale: passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana” (Giovanni Paolo II, 27 ottobre 1986).

Su questa linea si inquadra anche “il gesto profetico di Papa Francesco, invitando in Vaticano i leader del Sud Sudan”, con cui “ha messo al centro della scena internazionale e della vita della Chiesa quella ‘periferia’ che vive un conflitto e che prima era dimenticata”.

“Abbiamo voluto rispondere a questo gesto del Papa aiutando il Paese a perseguire una stabilizzazione e sostenendo questo processo di pace perché possa essere più inclusivo possibile, evitando di provocare ulteriori scontri. È importante che tutti i protagonisti del Paese possano avere uno spazio politico in cui potersi confrontare”.

JOHN PAUL II

DERRICK CEYRAC | AFP

Come si realizza il vero dialogo…

Per intavolare un vero dialogo “non dobbiamo eludere le difficoltà e le discrepanze. Per noi, come Sant’Egidio, è importante non presentare alle parti (in causa) soluzioni per così dire preconfezionate”.

“È di grande importanza che ci sia un dibattito, rispettando sempre il linguaggio e la controparte, dando tempo e forma di modo che ciascuno esprima il proprio punto di vista.

In questa costruzione, non bisogna avere fretta o dire ‘Bene, ecco la soluzione, ecco a voi la ricetta’ – No! È un cammino che si costruisce insieme, con persone che si confrontano magari partendo da punti di vista diametralmente opposti dal punto di vista politico.

È quindi necessario che ci sia un confronto vero, reale, non che si fabbrichi una soluzione non che non è praticabile e non viene rispettata”.

 

Credibilità dei laici impegnati nella pace

“In questa mediazione come nelle altre, la Comunità di Sant’Egidio è considerata piuttosto neutrale, un luogo confidenziale in cui le persone si possono confrontare. Tutti i protagonisti del dialogo sanno che non abbiamo alcun interesse economico o militare.

In questo caso, non riceveremo qualcosa dal Sud Sudan, e questo impegno gratuito è percepito in modo molto positivo, perché effettivamente la nostra presenza e la nostra mediazione sono gratuite. Non abbiamo altro interesse che non sia la pace.

L’idea di fondo è che prima arriva la pace, più probabilmente si troverà una soluzione per i tanti poveri.

Il nostro fondatore, Andrea Riccardi, ci dice in estrema sintesi: ‘La guerra è la madre di tutte le povertà’. Non abbiamo, quindi, alcun interesse se non che arrivi la pace, e per questo i nostri interlocutori ci percepiscono come un ‘mediatore credibile’, senza interessi”.

CAMINOS DE PAZ

Guido Kirchner I DPA | AFP

L’atteso viaggio del Papa in Sud Sudan

Papa Francesco ha dichiarato varie volte di voler visitare il Sud Sudan, insieme all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, perché la richiesta di una visita (apostolica) è giunta dal Consiglio Ecumenico delle Chiese, organismo che riunisce tutte le Chiese cristiane di varie denominazioni e i loro leader.

“Sicuramente il Papa e l’arcivescovo di Canterbury avevano l’idea di sostenere con questa visita il processo di pace che purtroppo e dolorosamente procede a un ritmo piuttosto lento. Credo che il Papa, non appena gli sarà possibile, visiterà il Sud Sudan, e ritengo che la sua presenza sarà fonte di speranza per molti.

Si spera che l’accordo di pace inizi a gettare radici e che il frutto maturo della pace cominci a crescere. Lentamente qualcosa emerge. Credo che il Papa aspetti forse che questo albero della pace diventi un po’ più robusto, ma il processo è già andato avanti. Il Papa saprà quando è il momento migliore”.