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Cosa significano la «P» e la «X» sull’altare? E’ il monogramma di Cristo

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Daniel R. Esparza - pubblicato il 29/10/20
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Il cosiddetto “Chi-Rho”, o “Monogramma di Cristo”, è uno dei simboli più antichi della cristianitàLe figure dell’arte cristiana primitiva si concentrano principalmente sulla narrazione grafica dei fatti evangelici e sulla riproduzione – che ci azzarderemmo a definire “seriale”, essendo crittografica – di immagini simboliche e allegoriche.

Agli affreschi delle catacombe di Priscilla (a Roma, degli inizi del III secolo), ad esempio, appartiene l’immagine più antica della Vergine Maria. Il tema è uno di quelli centrali della fede cristiana, ed è una delle prime raffigurazioni artistiche.

Tra tutte queste immagini spicca indiscutibilmente la croce. Fin dalla nascita della Chiesa è stata impiegata come emblema della persona stessa di Cristo.


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La sola idea di un dio condannato a morte, mediante l’imposizione del castigo riservato ai criminali peggiori, era considerata assurda dal Governo romano, “poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio (…) I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso” (1 Corinzi 1, 18-23).

Solo a partire dall’accettazione del cristianesimo da parte di Costantino il Grande (tra il 270 e il 288-337) la croce ha iniziato ad essere riprodotta a profusione, sostituendo il monogramma di Cristo, Chi-Ro o Crismón, formato dalle lettere greche C e R, le prime lettere del nome di Cristo in greco, che fino ad allora erano l’elemento distintivo della comunità dei credenti: ΧΡΙΣΤΟΣ, il Cristo.

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Questo monogramma, di per sé, non è associato al nome di Cristo ed esisteva già nell’antichità, a mo’ di abbreviatura della parola chréstos, “unto”, come simbolo di buona fortuna.

È stato inteso come il segno che secondo i suoi biografi apparve a Costantino – in visione o in sogno – la notte prima della battaglia contro Massenzio a Saxa Rubra (312), come racconta Eusebio de Cesarea nella sua Vita di Costantino.

Secondo James Hall, autore del dizionario di temi e simboli artistici, non ci sono prove certe “del fatto che l’imperatore abbia introdotto questo simbolo [sul vessillo imperiale romano, come appare nelle monete dell’epoca] con qualche intenzione propriamente cristiana”.



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Lo stesso Eusebio, tuttavia, mette in bocca a Costantino un’aperta confessione di fede (come si legge nella sua Storia Ecclesiastica, scritta nella prima metà del IV secolo) quando, nella statua elevata all’imperatore nel Foro Romano, “sostenendo nella sua mano destra il segno salvatore, ordinò che incidessero queste parole nell’iscrizione, in lingua latina: ‘Con questo segno salvatore, che è la vera prova di coraggio, ho salvato e liberato la vostra città dal giogo del tiranno’”.