Attualmente cappellano delle Piccole Sorelle dei Poveri a Saint-Pern, l’arcivescovo emerito di Lione ha pubblicato un libro in cui ripercorre gli ultimi quattro anni, segnati dal giudizio e dalla tempesta mediatico-giudiziaria per accuse di copertura di abusi sessuali. Aleteia lo ha incontratoEn mon âme et conscience (Nella mia anima e nella mia coscienza) è il titolo del libro scritto dal cardinale Philippe Barbarin pubblicato il 1° ottobre dalle edizioni Plon.
Condannato in prima istanza a sei mesi di carcere con la condizionale per non aver denunciato le aggressioni sessuali perpetrate per vent’anni da Bernard Preynat ai danni di alcuni scout tra gli anni Settanta e Novanta, l’arcivescovo di Lione è stato assolto in appello nel gennaio scorso.
Due mesi dopo, nel marzo 2020, il vescovo Barbarin ha annunciato che lasciava il posto di Primate delle Gallie dopo 18 anni di ministero a Lione.
Le sue dimissioni sono state accettate da Papa Francesco, e Barbarin si è unito agli inizi di luglio all’arcidiocesi di Rennes, dove ora è cappellano della casa generalizia delle Piccole Sorelle dei Poveri a Saint-Pern, Ille-et-Vilaine.
È stato dal monastero delle Contemplative del Monte degli Ulivi in Terra Santa, durante un lungo ritiro spirituale, che il presule ha scritto il libro – il cui copyright verrà ceduto alle vittime di abusi sessuali – con questa frase chiave: “È giunto il momento di dare la mia testimonianza. C’è bisogno della verità. Per tutti”.
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Perché scrivere questo libro?
La tempesta mediatica è passata. Mi è sembrato idoneo dire cose che all’epoca non potevo esprimere. È giunto il momento di raccontare certi fatti, di descrivere con calma un cammino interiore. Il libro potrà essere accolto bene o male, ma spero soprattutto che porti più luce e pace che problemi.
Nella prefazione dice di voler condividere ciò che ha “fatto o omesso”…
Su questo punto c’è grande chiarezza: ho sempre pensato di non essere colpevole di quello di cui venivo accusato, ovvero di aver ostacolato la giustizia. Al contrario, ho sempre esortato le vittime a presentare una denuncia.
Ad ogni modo, ho sempre riconosciuto i miei errori, come quando mi hanno raccontato per la prima volta la questione Preynat e non ho voluto sentire troppo.
Poi, quando ho conosciuto Bernard Preynat, non gli ho chiesto di raccontarmi immediatamente i fatti. Dovevo andare a bussare alla porta della Conferenza Episcopale Francese, e avrei ricevuto una risposta.
Perché non ho agito fino al 2014, quando ho conosciuto una vittima? Quell’uomo mi ha spiegato ciò che era successo. Gli ho chiesto se avrebbe scritto quei fatti.
Con un documento preciso si poteva andare a bussare alla porta di Roma e chiedere cosa fare, anche se quei fatti tanto gravi non potevano essere più giudicati dai tribunali francesi per via del tempo che era trascorso.
Una volta che questi fatti sono arrivati alla nostra attenzione, sono stati tali che non potevamo nasconderci nel silenzio. È quello che abbiamo fatto. Roma ha ammesso: “Sono episodi molto vecchi, ma sono molto gravi”. Per questo abbiamo ritirato ogni ministero a Bernard Preynat.
Perché non è stato fatto prima? Perché io stesso, che ho chiesto la testimonianza a una vittima appena l’ho conosciuta, non ho interpellato Bernard Preynat non appena sono venuto a conoscenza dei fatti? È stato un errore, lo ammetto.
Lei colloca i fatti nel contesto di quel momento, legati a un atteggiamento generale. Cosa vuol dire?
Fondamentalmente, ci rendiamo di conto del fatto che ciò che è accaduto si è verificato quasi ovunque. La gente lo sapeva. Questi fatti si verificavano anche in altri luoghi, nel pattinaggio artistico, nei circoli medici… La gente lo sapeva, ma non diceva niente.
In quel momento c’era un atteggiamento generalizzato sbagliato. Non ho alcuna difficoltà ad ammettere di non aver fatto quello che avrei dovuto fare.
Quando ho conosciuto una vittima che ha avuto il coraggio di venire da me e raccontarmi i fatti, però, le ho chiesto se sarebbe stata disposta a testimoniare. Una settimana dopo avevo la sua storia.
Dall’altro lato, tutti i fatti che mi hanno raccontato sono caduti in prescrizione per la Giustizia francese.
Ma poi mi sono detto che dovevamo cercare altre vittime più giovani che potessero presentare una denuncia, prima di essere colpite dallo statuto delle limitazioni. E ne abbiamo trovate alcune.
Da quel momento si potevano realizzare dei processi. Il Diritto Canonico è diverso dal diritto francese. Possiamo chiedere al Papa di derogare al periodo di prescrizione quando si tratta di fatti molto gravi.
È quello che ho chiesto, per tutte le persone che erano state aggredite da Bernard Preynat. Il Papa ha accettato. Tutte le vittime avevano diritto a un giudizio canonico, il che è un aspetto positivo.
Ho riconosciuto i miei errori in cattedrale, sui giornali e in tribunale, ma non mi ritengo colpevole di quello di cui mi ha accusato la Giustizia francese.
La Corte d’Appello lo ha riconosciuto: non mi sono mai interposto nel cammino del lavoro della Giustizia.
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Nel suo libro lascia ampio spazio alle testimonianze delle vittime di Bernard Preynat. Dice che le loro grida risuonano nella sua preghiera. In che modo?
Le loro grida sono impresse nella mia carne. La prima cosa che faccio ogni mattina dopo il segno della croce è leggere l’elenco delle vittime che ho incontrato e affidarle al Signore. I loro nomi sono scritti su un biglietto che trovo ogni mattina nel mio breviario.
Leggendo i Salmi, dietro certi versetti vedo il volto di una vittima nella sua sofferenza, nelle sue ferite, nella sua rivolta, nella sua costernazione…
La mia preghiera è cambiata, in particolare la lettura dei Salmi. Non li avevo mai compresi in questo modo.
Senza che questo significhi che posso comprendere tutte le sofferenze delle vittime, credo che i Salmi mi abbiano permesso di conoscerle più personalmente.
Dopo anni di tempesta mediatico-giudiziaria, che uomo è oggi?
Sono un sacerdote che deve offrire la propria vita come appunto offerta o sacrificio. La mia vita oggi è donata perché si realizzi la guarigione attraverso Gesù, perché Egli è il Salvatore e la Sua salvezza deve arrivare.
Scrive di essere quasi affondato. Cosa l’ha aiutata a sopportare la situazione?
Una delle cose che mi hanno aiutato di più sono state le preghiere di altre persone. Sono stato spesso preso di petto nelle stazioni della metropolitana o del treno.
Allo stesso tempo, però, trovo persone per strada che mi esprimono il proprio sostegno e le loro preghiere per me, il che vuol dire che portano questa sofferenza insieme a me.
Sapevo di poter crollare in un quarto d’ora, o il giorno dopo, in qualunque momento… Sono state soprattutto le preghiere degli altri a tenermi in piedi.
Cappellano delle Piccole Sorelle dei Poveri, ora vive in Bretagna. Com’è la sua vita oggi?
Sto sperimentando qualcosa di nuovo. Vivo con delle religiose, rispondo alle loro domande, le confesso, celebro la Messa per loro. Un gruppo dedicato alla Madonna mi ha chiesto di accompagnarlo, un gruppo di scout anche.
Ho varie richieste di accompagnamento spirituale. A poco a poco la gente arriva e bussa alla mia porta. Monsignor d’Ornellas [arcivescovo di Rennes, n.d.e.] mi ha fatto un grande dono di fiducia quando mi ha chiesto di insegnare al seminario di Rennes. Insegno lì tutti i martedì.
Ho parecchio lavoro. Devo adattarmi, trovare un nuovo ritmo.
Ha un’aspettativa o una speranza particolare dopo la pubblicazione del suo libro?
Mi piacerebbe che emergessero le verità e la sofferenza che non sono state ascoltate. C’è stato un attacco legale molto forte, anche nei confronti della sofferenza delle vittime.
Si è iniziato ad accusare la Chiesa di non aver fatto nulla, di aver praticato la clandestinità… E noi in tutto questo? Mettetevi al nostro posto.
Guardate come sono stati gestiti fatti simili in altre circostanze o in altri Paesi. Non dite che non abbiamo fatto nulla.
Ovviamente abbiamo commesso degli errori, ma ora prestiamo più attenzione a quei fatti. Riconosciamo le ingiustizie e i crimini molto gravi che subiscono le vittime di abuso sessuale. È un libro per spiegare che la Chiesa di oggi sa come agire. Prima non era sempre così.
Come ha inteso, a un livello più personale, il senso del calvario che ha vissuto?
Simbolicamente, era importante che perdessi il mio incarico e lo riprendessi. Qualcuno doveva portare il fardello delle enormi ferite di cui era responsabile la Chiesa. Ho accettato questo peso.