Il sovraffollamento carcerario è comunque sceso al 106% dopo le misure anti-Covid. Allarme per i suicidi, già 34 nel 2020Le presenze in carcere, a fine luglio, si attestano a 53.619 unità, dopo le misure adottate in marzo con il decreto Cura Italia nella fase di emergenza Covid, e il tasso di affollamento ufficiale si ferma per ora al 106,1% (era del 119,4% un anno fa) ma in ben 24 istituti supera ancora il 140% e in 3 si supera il 170% (Taranto con il 177,8%, Larino con il 178,9%, Latina con il 197,4%). E’ quanto emerge dal rapporto di metà anno sulle carceri dell’associazione Antigone, la quale rileva che il reale tasso di affollamento nazionale è superiore a quello ufficiale in quanto alcune migliaia di posti letto non sono attualmente disponibili a causa della chiusura dei relativi reparti. In un anno le presenze sono calate in media dell’11,7% ma il dato a livello regionale è molto disomogeneo: -19,8% in Emilia-Romagna, -15,2% in Campania, -13,9% in Lombardia, -11,0% in Piemonte, -7,4% in Sicilia, -7,3% in Veneto. Le Marche sono l’unica regione in Italia in cui la popolazione detenuta è nell’ultimo anno aumentata, con una crescita dell’1,1%. Per evitare il rischio che le carceri “possano trasformarsi nelle nuove Rsa” e che “a settembre diventino nuovi focolai” bisogna andare avanti con “politiche dirette a ridurre la popolazione detenuta“, ha sottolineato il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella: in particolare, per “assicurare il distanziamento fisico”, la soluzione proposta da Antigone sta nel ricorso alle “misure alternative“: nel dossier presentato oggi, si osserva che vi sono oltre 13mila persone detenute che per preclusioni di varia natura permangono in carcere nonostante un residuo pena basso. Al 20 maggio, riferisce Antigone, in 962 avevano una condanna inferiore a un anno e al 30 aprile 12.519 persone detenute dovevano scontare una pena o un residuo pena inferiore ai 3 anni.
I numeri del Covid in carcere
I casi totali di detenuti positivi al Covid-19 fino al 7 luglio – dato disponibile più recente – sono stati 287, con un picco massimo nella stessa giornata di 161. Secondo Antigone, si tratta di “un numero contenuto, ma da non sottovalutare: in rapporto al totale della popolazione detenuta è infatti superiore, sebbene di poco, al tasso di contagio nel resto del Paese”. Focolai si sono riscontrati a Saluzzo, Torino, Lodi (poi trasferiti a Milano), Voghera, Piacenza, Bologna e Verona. Lunghi alcuni decorsi della malattia, che hanno raggiunto anche i tre mesi. Per il coronavirus hanno perso la vita in tutto 4 detenuti, 2 agenti di polizia e due medici penitenziari.
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Ai domiciliari in fase Covid 3.379 detenuti
Al 20 maggio scorso le persone andate in detenzione domiciliare durante l’emergenza sanitaria erano 3.379. Di queste, a 975 era stato applicato il braccialetto elettronico: i braccialetti elettronici diventati operativi negli ultimi mesi – si osserva nel rapporto – sono molti meno di quelli promessi nell’accordo tra ministeri dell’Interno e della Giustizia (300 a settimane), “a conferma che si tratta di una misura costosa e di difficile applicazione”. I semiliberi a cui è stata estesa la licenza sono stati 561.
Allarme suicidi in cella
Sono 34 i suicidi avvenuti in carcere dall’inizio del 2020 fino al 1 agosto (l’anno scorso in questo stesso periodo erano stati 26). Lo si legge nel rapporto di metà anno dell’associazione Antigone, che cita dati del Garante nazionale. Per 30 di questi (su quattro non ci sono dati) nel 60% dei casi (18) si tratta di italiani e nel 40% (12) di stranieri. Il 20% di loro (6) aveva fra i 20 e i 29 anni (i due più giovani ne avevano solo 23), il 43% (13) ne aveva fra i 30 e i 39, per entrambe le fasce d’età 40-49 e 50-59 troviamo il 17% (5 e 5) dei suicidi, il detenuto più anziano aveva 60 anni. Il 40% (12) dei suicidi è avvenuto in un istituto del nord Italia, il 36% (11) al sud e il 23% (7) al centro; in tre istituti sono avvenuti due suicidi: Como, Napoli Poggioreale e Santa Maria Capua Vetere. A gennaio, marzo e aprile sono avvenuti 9 suicidi (3 per ciascun mese), a febbraio e a luglio 12 (6 per ciascun mese) mentre a maggio e a giugno ne sono avvenuti rispettivamente 4 e 5. Il metodo prevalente per togliersi la vita è sempre quello dell’impiccamento (26 persone).
Con le rivolte di marzo aumentati eventi critici
I dati al 30 aprile scorso indicano un forte aumento – causato dagli eventi dei primi mesi del 2020 – delle rivolte, che passano dalle 2 degli anni passati alle 37 di quest’anno. Per lo stesso motivo, gli isolamenti sanitari (1.567) sono quasi quattro volte il numero degli isolamenti sanitari messi in atto nel corso di tutto l’anno precedente (425). Stesso discorso per le manifestazioni di protesta collettiva (859) che sono i tre quarti di tutte le manifestazioni di protesta collettiva dell’anno scorso (1.188). In proporzione – si legge nel dossier – risultano leggermente più alti anche i numeri delle aggressioni fisiche al personale di polizia penitenziaria – 311 rispetto alle 827 del 2019, degli atti di contenimento – 220 rispetto ai 488 del 2019 e di altre manifestazioni di protesta individuale – 4.388 rispetto ai 12.146 del 2019.
Ripresi colloqui in presenza tra detenuti e familiari
Sono ripresi ovunque i colloqui in presenza tra i detenuti e i loro familiari dopo la sospensione per l’emergenza Covid. Lo riferisce l’associazione Antigone, che ha effettuato un monitoraggio su 30 carceri del Paese: solo in sei tra gli istituti monitorati, per lo più in Lazio ed Umbria, ci si è limitati alla misura minima prevista dalla legge, ossia di un colloquio al mese. Nel 60% la ripresa dei colloqui è stata più ampia, consentendo generalmente due colloqui al mese, effettuati adottando diverse misure di prevenzione (separazioni in plexiglass, mascherine, controllo della temperatura) ma varia significativamente il numero delle persone ammesse: molto spesso è consentito l’accesso ad un solo familiare ma in alcuni istituti i familiari possono essere due, un adulto ed un minore (ad esempio a Lecce, Caltagirone o Regina Coeli) o 3 come a Viterbo. Nonostante la ripresa dei colloqui, in 19 istituti, il 63% del campione preso in esame da Antigone, si continuano a concedere telefonate oltre i limiti in vigore prima della pandemia.
Quanto alle videochiamate, sostanzialmente vengono effettuate ancora in tutti gli istituti oggetto del monitoraggio (86,7%). Nella maggior parte di questi però sono di fatto divenute alternative ai colloqui con i familiari, cumulabili con questi e conteggiati nel numero massimo di colloqui consentito. In pratica, attualmente, sta ai detenuti e ai loro familiari decidere se preferiscono fare il colloquio in presenza o una videochiamata. Nella maggior parte degli istituti monitorati sono riprese anche le attività che presuppongono l’ingresso di persone dall’esterno ma in 7 (il 23%) continua a non entrare nessuno da marzo o quando qualcuno entra, come a Prato, a Monza o a Siracusa per il rifornimento del magazzino vestiario per i detenuti indigenti, non ci sono comunque contatti con i detenuti. Quanto ai permessi, secondo i dati di Antigone risulta che i detenuti siano tornati ad uscire nel 60% degli istituti monitorati: variano però molto le misure adottate al rientro in carcere. In molti istituti (ad esempio Pavia, Velletri, Civitavecchia) al rientro vengono effettuati 14 giorni di quarantena, “cosa che – osserva l’associazione – scoraggia molti detenuti ad usufruire dei permessi”. In altri casi, come in Puglia, i detenuti, una volta rientrati, sono sottoposti a isolamento fiduciario di 72 ore. Vengono poi sottoposti al tampone il cui esito arriva nell’arco di qualche ora e a questo punto, se negativi, rientrano in sezione.
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Oltre 7mila i detenuti per mafia
I detenuti presenti in carcere con una condanna definitiva superiore ai 10 anni, ergastolani inclusi, erano a fine giugno 2019 il 26,8%, dei presenti totali. A fine giugno 2020, invece, erano il 29,8%. Al 30 giugno erano 7.262 i detenuti reclusi per associazione di stampo mafioso (416-bis): soltanto 128 erano donne e 176 stranieri. Al 6 novembre 2019, ultimo dato ufficiale disponibile, le persone al 41bis erano 747 (735 uomini e 12 donne), a cui devono aggiungersi 7 internati, per un totale di 754 persone distribuite in 11 istituti penitenziari della Penisola, con una sola sezione femminile e una casa di lavoro per persone in misura di sicurezza. Il 19,1% dei detenuti ha un residuo pena inferiore ad un anno, il 52,6% deve ancora scontare meno di tre anni. Queste percentuali salgono molto per i detenuti stranieri, arrivando rispettivamente al 26,3% ed al 66,6%. Aumenta anche l’età media. I detenuti con più di 50 anni erano il 25,2% a fine giugno 2019 mentre un anno dopo erano il 25,9% dei presenti.
Aumentano i detenuti in custodia cautelare
Continua a calare il numero dei detenuti in carcere condannati in via definitiva ma aumenta quello delle persone in custodia cautelare, “segno che sono tornati ad aumentare gli ingressi in carcere”, sottolinea Antigone, osservando che “a fine luglio 2019, i detenuti condannati in via definitiva erano il 68,6% dei presenti in carcere (il 64,5% tra i soli stranieri): a fine aprile 2020, calate notevolmente le presenze in carcere, i definitivi erano il 68,8% dei presenti (il 66% dei soli stranieri). Nonostante le misure deflattive previste riguardassero solo i detenuti con una condanna definitiva la percentuale di persone in custodia cautelare in questo intervallo era addirittura leggermente calata, ed il calo era più significativo tra gli stranieri. A fine luglio 2020 aveva una condanna definitiva il 66,8% dei presenti (il 64,8% tra i soli stranieri)”.
Dal 2008 forte calo detenuti stranieri
Sono 17.510 gli stranieri in carcere al 30 giugno 2020, per una percentuale pari al 32,7% del totale della popolazione detenuta. Tale percentuale raggiungeva il 37% nel 2008, quando (al 31 dicembre) gli stranieri detenuti erano 21.562. Al 30 giugno scorso, i 5 istituti penitenziari con il maggior numero di detenuti stranieri in termini assoluti erano: la casa circondariale di Torino (629 detenuti stranieri, 47,7% sul totale), quella di Milano San Vittore (514 detenuti stranieri, 59,2 % sul totale), quella di Roma Regina Coeli (502 detenuti stranieri, 51% sul totale), quella di Firenze Sollicciano (495 detenuti stranieri, 65,9% sul totale) e di Roma Rebibbia Nuovo complesso (461 detenuti stranieri, 32,6% sul totale). Di questi 5 istituti solo Firenze Sollicciano rientra tra i primi dieci con la più alta concentrazione in percentuale di stranieri, attestandosi al settimo posto.