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Un’infermiera eroica ha salvato 3 neonati nell’esplosione di Beirut

NEWBORNS, HOSPITAL
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Annalisa Teggi - pubblicato il 06/08/20
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Appena nati e colpiti in pieno dall’esplosione, tra le macerie e le lacrime del Libano ci sono anche storie come quelle di questa donna che, con una forza istintiva e inconscia, ha salvato tre neonati stringendoli tra le braccia. Sono 137 le vittime della violenta esplosione nel porto di Beirut, mentre il bilancio dei feriti arriva a cinquemila. Ancora numerosi i dispersi che le squadre di ricerca non smettono di tentare di rintracciare e il Ministro della Salute libanese, ha affermato che i materiali sprigionatisi nell’aria dopo le deflagrazioni potrebbero avere effetti a lungo termine mortali (fonte Ansa). Chi può, lasci Beirut – questo il messaggio che viene diffuso.


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In pochi istanti di terrore è stato inflitto al paese un colpo ferale, distrutto il porto e andata perduta la principale riserva di grano della nazione. Però il pensiero va soprattutto a chi era lì, nell’area che è già stata ribattezzata come una nuova «ground zero». È inimmaginabile pensare di trovarsi dentro l’impatto di un’esplosione che fa saltare per aria la terra, i corpi, la case, tutto. Cosa ha vissuto chi si è trovato dentro l’apocalisse? Deve aver avuto un pensiero simile il fotografo Bilal Marie Jawich che vive nella periferia di Beirut e con l’istinto da inviato di guerra esperto si è buttato per le strade a documentare la devastazione.

Non immaginava di imbattersi in un’immagine così potente di dramma e speranza. Ecco lo scatto che ha pubblicato sul suo profilo Facebook:

Un abbraccio in mezzo al fumo

Ho seguito il fumo finché non ho raggiunto il porto di Beirut (da CNN)

Comincia così il racconto di Bilal, con un percorso casuale fino al centro ferito e sconvolto della città. E dentro quell’apocalisse di urla, macerie e odori velenosi l’occhio del fotografo ha cercato di mettere a fuoco volti, eventi, cronaca vissuta. La logica brutale dell’esplosione è quella di rendere ogni frammento esistente un nulla in mezzo alla confusione, l’occhio umano invece è quella forza che sa distinguire, e tenta di mettere a fuoco, tutto ciò che di prezioso discerne nel caos. Senza prevederlo, Bilal si è imbattuto in una figura femminile tra le macerie:

Ciò che ha visto era notevole. “Sono rimasto sbalordito nel vedere questa infermiera che teneva in braccio tre neonati – ha dichiarato Jawich – ho notato la calma di questa donna che contrastava con l’atmosfera circostante”. Numerosi morti e feriti giacevano appena un metro più in là, ha aggiunto. “Nonostante ciò, l’infermiera sembrava possedere un forza nascosta che le dava un forte autocontrollo e la capacità di portare in salvo quei bambini. Si distinguevano molte persone in mezzo a questa circorstanza violenta e cupa e malvagia, e quell’infermiera era all’altezza del suo compito”. (Ibid)
LEBANON BLAST

IBRAHIM AMRO / AFP
In italiano si traduce «essere all’altezza», quello che nell’originale inglese pronunciato dal fotografo è «was up to the task». Qualcosa di essenziale si perde, perché la resa in italiano sembra suggerire che nella situazione di pericolo c’è chi è pronto a reagire al meglio. L’inglese dice qualcosa di diverso, come se ci fosse l’urgenza di chi scatta in piedi nel momento del bisogno. Una chiamata inconsapevole, l’urto di una spinta viscerale. Non tutto dipende dalle nostre forze, poco di consapevole c’è nell’istinto che si scatena quando l’imprevedibile accade. Ed è ciò che ha confessato l’infermiera:
Jawich ha raccontato che, più tardi quella stessa sera, l’infermiera gli ha detto che si trovava nel reparto maternità quando l’esplosione ha colpito l’ospedale. Lei afferma di essere stata spinta da un istinto inconscio e quando è tornata di nuovo in sé ha visto che «stava camminando con questi tre bambini tra le braccia». Non tutti nell’ospedale sono stati così fortunati. (Ibid)
Infatti all’ospedale Saint George di Beirut il bilancio della situazione è grave: sono morti 12 pazienti, due persone in visita e 4 infermiere; ben più numerosi i pazienti in condizioni critiche. Anche la struttura è gravemente danneggiata, l’80% dell’edificio è crollato e il 50% dei macchinari è andato distrutto. Ma per completezza di informazione proprio durante l’esplosione è anche nato un bambino, che si chiama George e sta bene.

Venire alla luce dentro il finimondo

16 anni da fotografo inviato per la stampa e un mucchio di guerre. Posso dire di non aver mai visto ciò che ho visto oggi nell’area di Ashrafia, specialmente di fronte all’ospedale Al Roum.
Lo ha scritto Bilal Jawich sul post di Facebook con cui ha condiviso la foto dell’infermiera eroica. Altre storie, altri approfondimenti ci aiuteranno a capire il grado di distruzione e tragedia da cui è stata colpita Beirut. E quella tremendo nuvola di fumo neo che abbiamo visto espandersi a perdita d’occhio sembra un gigantesco pugno che soffoca ogni cosa o vita che ghermisce. L’aspetto enorme e plateale del male dà sempre l’impressione che non ci sia scampo, che la vita e la speranza non abbiano possibilità. Ma così come ogni vittima non è un numero senza volto nel conteggio di un disastro, allo stesso modo per l’occhio che sappia stare spalancato dentro il fumo che brucia e annebbia la vista si porgono sempre piccoli segni di bene. C’è dentro il mondo e dentro di noi questa spinta che non la dà vinta alla negazione della morte, in tutto simile all’istinto inconscio di una brava infermiera che si accorge di avere tra le braccia tre neonati. Ha dato il meglio di sé senza averlo pianificato a tavolino. C’è stata una madre che ha vissuto il momento finale del suo travaglio tra le scosse e le pareti che crollavano, e accanto a lei altri uomini e donne impreparati a un imprevisto così enorme eppure pronti ad aiutare un bambino a strillare per la prima volta. E lascia stupefatti accorgersi di questa spinta che è nostra, ma non del tutto nostra, quella che in mezzo al putiferio degli eventi ci vuole collaboratori di ciò che vive e antagonisti della distruzione.
WYBUCH W BEJRUCIE

AP/Associated Press/East News
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