I più colpiti i nuclei familiari mono reddito (e questo irregolare), i giovani, le famiglie con figli. Ovvero i soggetti incaricati del futuro del nostro Paese. Il Covid svela e aggrava le contraddizioni della nostra società.Nel 2019 le persone in povertà assoluta erano 4,6 milioni, di cui il 40,5% residente nelle regioni settentrionali e il 45,1% nel Mezzogiorno. Tra gli individui assolutamente poveri, 1 su 4 erano minori (un esercito da 1,14 milioni di persone), mentre gli stranieri quasi 1 su 3 (1,4 milioni). Le persone senza fissa dimora erano stimati in 112 mila, ma l’area dell’indigenza che faceva ricorso agli aiuti alimentari arrivava a comprendere 2 milioni e 700 mila persone. (SkyTg24)
Due milioni di famiglie in più a rischio povertà
Con l’emergenza provocata dal Coronavirus sono 2,1 milioni in più le famiglie italiane a rischio povertà assoluta . È questa in sintesi la fotografia scattata dal Focus‘Covid da acrobati della povertà a nuovi poveri. Ecco il rischio di una nuova frattura sociale’di Censis-Confcooperative che analizza i dati Istat e Svimez su occupazione e reddito.”Sono 2,1 milioni le famiglie con almeno un componente che lavora in maniera non regolare” di queste “1.059.000 famiglie vivono esclusivamente di lavoro irregolare” spiegano i dati. Tra i lavoratori ci sono “2,9 milioni di working poor” e gli irregolari “sono più di 3,3 milioni”.
Un milione e 60mila famiglie, il 4,1% delle famiglie italiane, hanno una condizione stabile di precarietà, un ossimoro desolante, fonte di sofferenze, incertezze, ansia. Fonte, soprattutto, di povertà. Un terzo di esse è composta da cittadini stranieri; un quinto ha dei figli minorenni (algidamente indicati come “minori a carico”. Ed è questo il tragico: che sia considerati un carico sulle spalle solo dei genitori; spesso uno solo). Centotrentuno mila famiglie contano su un solo reddito e questo irregolare e altamente incerto.
La concentrazione di queste famiglie è più forte al Sud dove pesa per il 44,2% ma persino al Nord-Ovest conta il 20% del totale e addirittura il motore nordorientale del paese ne ha ben il 14%.
L’impatto del lockdown sulle famiglie
La paralisi quasi totale imposta dal lungo lockdown nel nostro paese ha significato una contrazione generale del reddito,
Durante i mesi di stretto lockdown, 15 italiani su 100 hanno visto ridursi il reddito del proprio nucleo familiare più del 50%, mentre altri 18 italiani su 100 hanno subito una contrazione compresa fra il 25 e il 50% del reddito, per un totale di 33 italiani su 100 con un reddito ridotto almeno di un quarto. (Ibidem)
I giovani tra i più colpiti
Ancora più drammatica la situazione fra le persone con un’età compresa fra i 18 e i 34 anni, per le quali il peggioramento inatteso delle propria situazione economica ha riguardato 41 individui su 100 (riduzione di più del 50% per il 21,2% e fra il 25 e il 50% per il 19,5%). In sintesi, la metà degli italiani (50,8%) ha sperimentato un’improvvisa caduta delle proprie disponibilità economiche, con punte del 60% fra i giovani, del 69,4% fra gli occupati a tempo determinato, del 78,7% fra gli imprenditori e i liberi professionisti. La percentuale fra gli occupati a tempo indeterminato ha in ogni caso raggiunto il 58,3%.
In conclusione un italiano su due è stato colpito da una improvvisa drastica e riduzione delle proprie disponibilità economiche. I più colpiti, i giovani. Eccoli i “penultimi” vicinissimi agli ultimi di cui parla Mario Adinolfi nel suo ultimo libro-
Anche le aspettative sul futuro si fanno uniformemente fosche: nessuno si aspetta che possano migliorare, al massimo e molti vedono come verosimile un inasprirsi del clima sociale,:
Lo rivela lo stesso studio Censis-Confcooperative, secondo il quale è “diffusa l’opinione che, una volta passato lo stordimento da contagio di questi primi mesi, possa prendere piede quella ‘rabbia fredda’ prodotta da una crisi senza luce in fondo al tunnel. Questo perché, sottolinea lo studio, a rischio disoccupazione sono 828 mila lavoratori, che hanno in media, un reddito mensile di circa 900 euro. (Ibidem)
Non doveva essere esaltante una società tutta flessibilità e cambiamento?
Non erano questi gli scenari che ci figuravamo noi, laureati a fine anni ’90, quando cantavano suadenti le sirene del lavoro flessibile. Precariato, incertezza, assenza di spinta progettuale sarebbero stati sinonimi più onesti.
L’emergenza Covid ha aggravato ma anche rivelato nella sua tragica realtà il lavorio di queste tarme nella struttura della società e del lavoro. Ancora una volta, il vero orizzonte di speranza, razionale e di fede, può venire solo dalla Chiesa.
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