I frati sono stati i primi a teorizzare che la moneta non ha potenzialità economiche, per cui sul denaro non è lecito chiedere un tasso di interesse. Ma sul capitale è lecito. Ecco perchè
Il francescanesimo rappresenta nella storia dell’economia e della società, un momento di grande importanza e, al tempo stesso, un paradosso: un carisma che ha posto al proprio centro “sorella povertà”, il distacco anche materiale dai beni come segno di perfezione di vita, diventa la prima “scuola” economica dalla quale emergerà il moderno spirito dell’economia di mercato.
Mai francescani avranno anche un altro ruolo strategico: quello di frenare la piaga dell’usura che si diffuse, per la prima volta nella storia, intorno all’anno mille.
Ne parlano Alessandra Smerilli e Luigino Bruni in “Benedetta economia” (Città Nuova).
La condanna dei Padri della Chiesa
La rivoluzione commerciale che fece seguito all’anno Mille generò una crescente domanda di denaro e quindi di credito (data la scarsa circolazione monetaria che precedette quei secoli). I Padri dei primi secoli (Ambrogio, Agostino, Gerolamo) avevano condannato il prestito ad interesse, senza distinguere tra interesse e usura, equiparandoli al furto.
La scuola francescana
La scuola francescana, in particolare nelle persone di Giovanni Olivi e Bernardino da Siena, riesce a creare una distinzione tra usura ed interesse, e a legittimare quest’ultimo.
L’usura si ha quando, secondo Giovanni Olivi, si vende l’uso che non è separabile dall’oggetto, l’uso che non appartiene più al venditore. Essa viene vista come un’operazione di speculazione.
Olivi supera il concetto aristotelico dell’inalienabilità del tempo, infatti in lui la condanna dell’usura avviene «ponendo una distinzione tra tempo comune a tutte le cose e tempo riservato ad ogni singola cosa, quest’ultimo vendibile» (Riccardi 2006, p. 59).
La distinzione tra denaro e capitale
Un altro passo importante, realizzato da Olivi, è quello della distinzione tra denaro e capitale: il denaro non può valere più di se stesso, mentre il capitale sì. Il denaro, cioè, inteso come valore nominale ha un valore sempre uguale, mentre lo stesso denaro, in base alla capacità e al lavoro di chi lo utilizza, può acquistare un valore diverso.
La moneta non ha potenzialità economiche, per cui sul denaro non è lecito chiedere un tasso di interesse, ma il capitale, che è denaro inserito in un processo produttivo, dà diritto al proprietario che se ne priva (lucro cessante) ad un interesse.
Interesse e usura
La scuola francescana, scrivono Smerilli e Bruni, riesce a chiarire e a giustificare l’interesse, seppur condannando l’usura, grazie all’attenzione posta alla vita quotidiana:
«Contatto con la gente, presa di coscienza della realtà sociale, ricerca e analisi delle problematiche nuove emergenti dalla società e loro soluzione sul piano pratico nell’insegnamento della teologia morale, nella predicazione e nella confessione: questi, in sintesi i motivi… che danno un contributo nuovo alla comprensione della risposta storica sul perché i francescani, a partire dalla seconda metà del XIII secolo, siano stati pressoché gli unici ad elaborare, sul piano dottrinale, una teologia economica e, conseguentemente, ad esercitare nella prassi un’influenza positiva per il superamento delle difficoltà giuridico-morali circa l’interesse e la produttività del denaro» (Bazzichi 2003, p. 124).
I Monti di Pietà
I Monti di pietà si presentano come un’istituzione che sintetizza la riflessione economica francescana appena delineata e le conferisce una forma concreta. Sono la prima istituzione, senza fini di lucro, ad erogare piccoli prestiti alle persone in difficoltà economica. In cambio nessun tasso di interesse gravoso, ma piccole condizioni di pegno, in caso di mancato ritorno delle somme prestate.
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