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Autismo e didattica a distanza: una sfida vinta da Malvina con la maestra Elisa

ELISA DONATI, MALVINA CAPITANI
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Annalisa Teggi - pubblicato il 13/07/20
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Elisa Donati è un’insegnante di sostegno che con passione, pazienza e competenza ha fatto la differenza: nel grande mondo della scuola, pieno di incognite e problemi, ecco una bella storia di accompagnamento e crescita.Si è guadagnata spazio su Il Resto del Carlino la poesia di una bimba di 10 anni, dedicata alla sua maestra:

Cara maestra Eli, il tempo dei saluti è ormai vicino e io vorrei dirti grazie con tutto il mio cuore piccolino, per il tuo sorriso, la fatica, la pazienza nell’insegnarmi tanta scienza. Di cose insieme ne abbiamo fatte: matematica, italiano, canto, arte. Mi hai insegnato a stare con i compagni, a leggere e scrivere senza fare danni, mi hai accompagnato alle nostre gite e insieme ci siamo molto divertite. Di essermi vicina anche quando ho pianto ti sono grata e non sai quanto. Grazie al tuo fantastico impegno ho potuto mostrare il mio meglio, spero di essere stata brava per quel tanto che tu possa essere un poco fiera di me. Ma la cosa più bella sai qual è? Di aver creduto sempre in me.

Non è un gesto di gratitudine come tanti, dietro c’è la storia di un accompagnamento svolto con dedizione e pazienza: a Malvina, infatti, è stato riconosciuto un disturbo dello spettro autistico, una diagnosi che sappiamo essere molto complessa. A metà del suo percorso alla scuola primaria, cioè in terza, ha incontrato la maestra Elisa, una presenza che l’ha affiancata e con cui si è creato un legame forte. Elisa Donati è oggi docente di sostegno specializzata alla scuola primaria e lavora all’Istituto Ugo Betti di Fermo. Dopo una prima laurea in Lingue, si è laureata per una seconda volta in Scienze della Formazione Primaria con la specializzazione sul sostegno didattico. Fa parte, dunque, della categoria degli insegnanti di sostegno spesso giudicata col filtro del pregiudizio. L’ho conosciuta al tempo dell’università e resta una delle mie amiche più care: le ho chiesto di raccontarmi il suo percorso con Malvina per offrire uno scorcio particolare, umano e autentico sulla scuola. Tema caldo, caldissimo. Eppure a fronte di tante generalizzazioni sfiduciate e problematiche l’educazione è proprio quello spazio vivo dove la presenza della persona può sempre fare la differenza.


ELIO
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Cara Elisa, vorrei raccontare ai lettori di Aleteia For Her che anche dentro il grande e complesso mondo della scuola ci sono delle boccate di ossigeno. Ed è la storia che ti riguarda in prima persona. L’insegnante di sostegno sembra sempre l’ultima ruota del carro, il mestiere di ripiego. Chi è invece l’insegnante di sostegno? E poi, era il lavoro che sognavi di fare oppure è capitato?

La prima cosa da dire è che l’insegnante di sostegno è un insegnante. Spero che col tempo si arrivi a capire che non siamo presenze scomode, anche se oggi come oggi il nostro ruolo è sempre scomodo dentro la scuola. La nostra presenza viene segregata sempre a un di meno, ostracizzata, eppure il tema dell’inclusione non è solo una parola bella per riempirsi la bocca di progetti meravigliosi. L’inclusione è qualcosa che non riguarda solo i disabili, ma tutti e l’insegnante di sostegno ha proprio un ruolo educativo-sociale che riguarda tutti: è in classe per tutta la giornata mentre gli altri docenti ci sono per qualche ora; pensiamo a quale ampio respiro di osservazione ha, a come può accorgersi delle dinamiche relazionali. Fin da quando facevo le elementari ero stata affascinata da come il mio maestro insegnava e sognavo di diventare come lui. Da 12 -13 anni faccio sostegno nella primaria e sono appassionata del mio lavoro perché credo che la valorizzazione della disabilità debba diventare sempre più visibile nella nostra società. Una presa in carico importante come quella di Malvina non mi era mai capitata.

Ecco che entra in scena lei, la protagonista di questo percorso faticoso ma ricco di belle sorprese. Chi è Malvina?

Dall’anno scolastico 2017-2018 sono entrata nella classe terza della primaria di cui faceva parte Malvina, che aveva 8 anni, con diagnosi di autismo infantile, con particolare gravità nella sfera relazionale e comunicativa. Nel suo profilo c’erano disturbi comportamentali disadattivi e occorreva disinnescare tutto il negativo che le impediva di essere serena nell’apprendimento e nel rapporto con gli altri: la sua ipersensorialità e il suo malessere la portavano a reagire in modo non adeguato e prevaricante sia coi compagni, sia con gli insegnanti e col personale scolastico. Quando sono arrivata, tutti avevano paura di questa bimba e anche io sono stata presa di mira dalle sue spinte e tirate di capelli. Possiamo dire che era la sua modalità «metaldector» per mettersi in guardia da me e poi per conoscermi; era il suo modo di chiedermi: «Sei entrata nella mia vita, che vuoi?». Piano piano, le ho fatto capire che lei non era quella violenza, che quei comportamenti andavano cambiati e trasformati in altro. Oggi, dopo due anni, Malvina abbraccia e sorride.

ELISA DONATI

La Maestra Elisa e Malvina

Da dove sei partita per fare questo viaggio di accompagnamento?

Il percorso che ho fatto insieme a lei è stato orientato a evitare che si arrivasse ai momenti di crisi e quindi per prima cosa mi sono occupata di fare un’osservazione puntuale di tutti i fattori che potevano scatenare dei problemi in lei. Dalla terza l’ho seguita fino a quest’anno, cioé alla fine della quinta: la continuità didattica è un altro elemento da non sottovalutare. Ho creduto e investito nel progetto di questa continuità di rapporto con Malvina.

Infatti uno dei tanti punti dolenti rispetto all’insegnante di sostegno è il suo essere una figura che spesso va e viene, si cambia frequentemente. Quanto è importante la continuità di cui già mi parlavi?

È importante innanzittutto per la conoscenza del bambino: un insegnante deve o dovrebbe aver presente tutto il percorso di evoluzione, o anche involuzione, dei suoi alunni; tutti i bambini, non solo i disabili, vanno incontro a tanti cambiamenti che fanno parte della maturazione fisiologica e globale. Il disturbo dello spettro autistico è un disturbo del neurosviluppo e coinvolge quindi sia l’aspetto fisico sia quello mentale: ad esempio, quando ho conosciuto Malvina, lei si esprimeva solo con vocalizzi che non avevano nessuna intenzionalità e poter lavorare per tutti questi anni con lei passo per passo ci ha portato oggi a vederla capace di esprimere le sue richieste. Nessuno prima aveva provato a tirar fuori il potenziale del linguaggio che lei ha. Aiutandola e stimolandola, lei ha tirato fuori la sua espressività. Come? Per imitazione ad esempio, con l’aiuto dei compagni che interagivano con lei. Parlo di attività semplici come il fare merenda insieme o andare in bagno insieme, o anche costruire un calendario delle attività da svolgere durante il giorno.

Quanto è stato importante per lei stare in classe insieme ai compagni? Lo dico perché c’è sempre lo stereotipo del disabile che fa lezione in una stanza a parte.

Stare in classe con i compagni è stato l’obiettivo primario dei primi mesi di lavoro con lei, ci siamo conquistate il premio che oggi è una routine quotidiana insieme al gruppo classe. L’obiettivo finale è quello che si intende con la parola inclusione, che vuol dire che la bambina accetta se stessa e viene accolta nel gruppo allargato dei compagni. La stanza separata in cui fare un’attività individualizzata può essere utile, ma anche in questo caso si cerca di costruire un piccolo gruppo di lavoro e di evitare che ci sia l’insegnante con l’alunno da solo.

MALVINA, ELISA DONATI

Malvina in classe | Elisa Donati

A quali ricordi con Malvina sei più affezionata?

Uno dei primi ricordi risale all’ottobre del primo anno, l’avevo quindi appena conosciuta e siamo andati a fare un laboratorio chiamato “Mani in pasta” in una scuola superiore. Si trattava in sostanza di imparare a fare i biscotti. Tra me e me avevo il timore della sua irruenza, avevo paura che tirasse in aria tutte le ciotole e il materiale, perché questa era la sua modalità più frequente. Invece è stata un’esperienza molto positiva in cui Malvina ha fatto grandi cose: è stata insieme ai suoi compagni, riuscendo a stare in fila con gli altri e anche a camminare da sola, cosa che le richiede un po’ di fatica. Abbiamo impastato i biscotti, senza tirare lo zucchero ovunque e lì  ho intravisto che cammino insieme a lei era possibile. Da allora è stato un continuo di fatiche e conquiste, per lei e per me.

Un altro episodio significativo è accaduto durante le prove di evacuazione che si fanno a scuola, per esercitarsi in caso di terremoto. Malvina è molto sensibile ai rumori improvvisi e forti, le danno molto fastidio e quella simulazione comincia proprio con una sirena fortissima. Poteva essere una situazione davvero difficile, anche perché ciò rassicura di più le persone affette da autismo è la ripetizione, avere dei gesti strutturati e ripetitivi. L’evacuazione è un’esercitazione improvvisa per tutti. Perciò ho lavorato molto sul racconto: le ho spiegato passo per passo cosa avremmo fatto, le ho descritto a parole cosa sarebbe successo in modo che lo comprendesse. Mi commuovo ancora a ricordare che mi guardava e mi rispondeva: “Sì, sì”.  L’imprevisto spaventa tutti, a dire il vero. Abbiamo fatto la simulazione di evacuazione ed è andata bene; ho guardato a questo piccolo fatto con un grande senso di mistero. Intendo un mistero buono, mi sono come accorta che io ero arrivata vicino a lei in un momento in cui lei era pronta a fare dei passi; insomma, non tutto dipendeva dalle mie capacità, ma c’è anche quell’elemento di mistero che abita in ogni relazione personale.

E cosa mi dici dei suoi compagni?

Il mio sguardo è sempre stato globale, non solo su Malvina. I suoi compagni di classe sono stati una presenza indispensabile per lei; sono stati educati a proporsi a lei in modo collaborativo. E lei è stata un valore aggiunto. Si dice, teoricamente, che valorizzare la diversità valorizza anche la normalità; tradotto nell’esperienza vuol dire che la presenza di chi è diversamente abile accanto agli altri offre spunti educativi molto più stimolanti. L’apprendimento è significativo quando è socialmente costruito, non mi stanco mai di dirlo. E questo non vale solo per chi ha difficoltà, ma anche per il primo della classe, per intenderci.

Immagino quindi che Malvina abbia i suoi amici preferiti e meno preferiti…

Sì, ora che è stata iscritta alla scuola media abbiamo segnalato i nomi a cui si è legata di più. All’inizio per incentivare il legame tra lei e i compagni avevamo stabilito dei turni in cui a piccoli gruppi ogni giorno qualcuno stilava con lei il calendario della mattina, poi spontaneamente questo si è trasformato in un aiuto volontario dei compagni. Alcuni, guarda caso proprio quelli con alcune fragilità emotive, si sono sentiti molto responsabili nei suoi confronti e hanno preso a cuore la sua cura. Anche la condivisione di piccole routine quotidiane è stata fondamentale: prendere la merenda insieme, fare la raccolta differenziata. La grande fatica di noi educatori era quella di accompagnarla progressivamente al cambiamento che sarebbe arrivato con la fine della scuola primaria. E proprio quando eravamo nel pieno di questo lavoro è arrivato l’imprevisto del coronavirus. A quel punto io mi sono detta che non potevo mollare tutto, dovevamo riuscire a portare avanti la scommessa anche a distanza.

E come hai fatto?

Innanzitutto non ho fatto da sola. Ho aderito allo Sportello autismo che è presente in tutta Italia. Grazie a questo servizio mi sono potuta confrontare con una psicologa dello sviluppo che mi ha aiutato a mettere a fuoco i percorsi più adeguati da far fare alla bambina e alla sua famiglia nel tempo della didattica a distanza. La situazione non era affatto facile perché Malvina frequentava un centro riabilitativo pomeridiano che era per lei un ulteriore grande aiuto, ma con il Covid è stato chiuso tutto. Capisco tantissimo il dolore delle famiglie dei disabili che si sono sentite abbandonate in questi mesi. E dunque, in collaborazione con le educatrici e con lo Sportello autismo, il primo passo della didattica a distanza che Malvina ha fatto insieme ai suoi genitori è stato quello di creare delle «storie sociali»: ha scritto un suo passaporto in cui, tramite slides, presentava se stessa ai nuovi professori che avrebbe conosciuto alla scuola media; un’altra storia che ha composto riguardava proprio il racconto di lei che andrà in questa scuola nuova dove gli insegnanti si chiameranno professori e non più maestri, dove ci saranno compagni nuovi, magari anche più simpatici.

Un’attività che ho fatto con lei ha riguardato l’uso della mascherina, perché è sempre stata molto sensibile a tutto ciò che ha addosso. La sua mamma era molto preoccupata perché Malvina non voleva uscire indossando la mascherina. Il percorso che abbiamo fatto insieme è quello di «Sorridi con gli occhi», cioè abbiamo valorizzato lo sguardo e durante le videolezioni di classe i suoi compagni si sono mostrati spesso con la mascherina per farle capire che c’era un virus cattivo e che occorreva sconfiggerlo anche mettendosi addosso la mascherina.

La didattica a distanza è stata l’incubo di tanti docenti, declinarla nell’ambito della disabilità poteva risultare una sfida impossibile a priori. Tu come ti sei mossa?

Visto che durante il tempo della didattica a distanza la famiglia è diventata il centro dell’attività educativa, il mio compito è stato quello di sostenere loro affinché potessero aiutare al meglio Malvina. Abbiamo raggiunto il grande obiettivo di averla presente a tutte le videolezioni; ci sono stati dei momenti di sconforto nella mamma e nel papà perché le prime volte la bimba non ne voleva sapere di stare davanti allo schermo. Ma è bastato affiancare i genitori, motivarli nel proporre la sua presenza alle videolezioni e poi pian piano lei si è aperta alla partecipazione: canticchiava, facevamo dei giochi interattivi che la coinvolgevano. E chi se l’aspettava? Anche io non davo per scontato che tutto procedesse bene, sapevo che poteva avere anche un rifiuto violento del computer.

Un’altra chiave vincente è stata quella di riproporre nelle videolezioni quello che facevamo con lei in classe: io mi collegavo in video con Malvina un po’ prima dell’inizio della lezione e a turno c’erano un compagno o due con cui ripercorrevamo il calendario della giornata. I punti di forza con lei sono la routine e la socialità, ho cercato di preservarli anche se è ovvio che attraverso uno schermo la relazione non c’è. Però si poteva lavorare sull’interazione, e questo è stato l’aggancio fortunato che ci ha permesso di non perderla. La motivazione da parte mia e dei genitori è stata fondamentale: dovevamo crederci, dovevamo puntare tutto anche sul poco che c’era a disposizione. Ci sono stati dei giorni in cui ho dovuto dare una spinta alla mamma, che magari era giustamente titubante perché vedeva la figlia un po’ spenta. Ho insistito dicendole: “Falla collegare al video coi compagni, siamo tutti chiusi in casa e questa è la parte sana della giornata in cui almeno ci vediamo tra di noi”. Se lei si fosse chiusa nel suo guscio, saremmo tornati indietro tantissimo. È importante che ci sia questo scambio profondo con la famiglia, di delega e fiducia reciproca; anche la famiglia ha bisogno di essere accompagnata a capire quali strategie educative funzionano meglio e perché.

ELISA DONATI, MALVINA CAPITANI

Elisa Donati

Con la famiglia, mi pare di capire, hai costruito un rapporto non solo lavorativo ma anche umano?

Assolutamente sì. La famiglia ha bisogno di un sostegno nel vedere tutti i punti di forza dei propri figli e nell’incanalare tutte le energie per valorizzarli. Il disabile non è un quadro immobile ed etichettato una volta per tutte, ha un suo percorso di crescita e potenzialità. Quando i genitori hanno visto che io credevo e sentivo per questa bambina la possibilità di essere una bambina, e non una bambina autistica, anche il loro rapporto con lei è cambiato e si sono liberati dell’etichetta di vederla solo come «speciale». I genitori possono essere aiutati da uno sguardo diverso dal proprio, attento eppure distaccato. È più difficile per chi ha dei figli con difficoltà riuscire a dire: “Io ti seguo con lo sguardo ma ti lascio essere chi sei”. Liberarsi dalla gabbia dell’apprensione è dura. Non che non ci siano state scaramucce anche con la famiglia, ma lo scambio si è fondato sul fatto che entrambi credevamo nella potenzialità di Malvina.

L’hai sentita un po’ come una figlia o no? E adesso che lei comincia un nuovo ciclo scolastico sarà dura separarsi?

No, sinceramente non l’ho sentita come una figlia. Me lo sono chiesta spesso e devo dire che la quarantena mi ha fatto capire che nonostante il filtro affettivo tra noi sia forte, non mi ha impedito di avere il cuore libero nel sapere che era tempo che qualcun altro oltre a me proseguisse la strada con lei. C’è l’affetto, ma non c’è quel genere di attaccamento che degenera in possessività o gelosia. È importante scindere il personale dalla professione, perché il giusto distacco è un aiuto nel sostegno.  La parte positiva, se vogliamo, del lockdown è anche il fatto che Malvina si è liberata dal grande rapporto empatico che aveva come me. Avremmo dovuto separarci in vista della scuola media ed era importante che lei si distaccasse da me. Abbiamo usato il tempo della quarantena per far comprendere a lei che verranno altre maestre Elisa, con un altro nome, cioè che ci sarà sempre qualcuno disposto ad accompagnarla.

Nel mio mestiere bisogna donare molto di sé affettivamente, io scommetto molto sull’approccio che si definisce fading: l’insegnante sta nell’ombra, fa il lavoro dietro alle quinte che permette al bambino di sentirsi al centro della realtà che vive e dei legami che costruisce. Quando guardo le fotografie della classe mi accorgo che io non ci sono mai. Sorrido perché sarebbe bello avere dei ricordi insieme, eppure anche questo è segno del lavoro che svolgo: essere presente, ma nell’ombra. Quello che è necessario a questi bambini è che ci sia una presenza vera accanto, non qualcuno che si imponga e copra completamente il loro orizzonte.