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Leyla, oggi parrucchiera: sono fuggita dai talebani, in Italia è ricominciata la mia vita

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Silvia Lucchetti - pubblicato il 22/06/20
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Costretta ad essere una fuggitiva dall’età di 4 anni, oggi, grazie al Centro Astalli dei Gesuiti, ha potuto studiare e lavora come parrucchiera. Il suo più grande sogno? “Vorrei finalmente sentirmi a casa, al sicuro. Vorrei finalmente essere libera”.Sabato scorso, 20 giugno, è stata celebrata la ventesima giornata internazionale del rifugiato, indetta per la prima volta nel 2001 per commemorare l’approvazione nel 1951 della Convenzione relativa allo Statuto dei Rifugiati da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Già nel 1914 la Chiesa Cattolica aveva istituito la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che dal 2019 si celebra nell’ultima domenica di settembre. Il Corriere della Sera, nell’edizione Buone notizie del 19 giugno riporta la storia di Leyla, una profuga afghana, emblematica del calvario che decine di milioni di persone nel mondo affrontano ogni anno.

“Sono rifugiata da quando ho memoria”

Nata a Wadrak, cittadina rurale dell’Afghanistan, è stata costretta ad essere una fuggitiva dall’età di 4 anni, per cui le sue prime ed indelebili memorie sono relative a questa condizione esistenziale che l’ha accompagnata per buona parte della vita. Il padre era un contadino che coltivava la terra della sua famiglia di stirpe Hazara, una delle minoranze religiose ed etniche più perseguitate nel suo Paese di origine. Questo gruppo nei secoli scorsi costituiva la maggiore etnia dell’Afghanistan, ma a causa delle continue persecuzioni oggi si stima che rappresenti solo il 9% della popolazione, quasi interamente relegato in una zona montuosa dell’Afghanistan centrale chiamata Hazarajat. Di religione sciita, la loro condizione è ulteriormente peggiorata con il dominio dei Pashtun, e con l’arrivo dei talebani e dell’Isis di fede sunnita.

L’irruzione dei talebani in casa sua

Era piccolissima quando i talebani hanno fatto irruzione nella loro abitazione:

Non ricordo quello che successe, so soltanto che il giorno dopo lasciammo la nostra casa e cominciammo un lungo cammino. Pochissimi bagagli e ancora meno spiegazioni. (Corriere)

La meta è Kabul, la capitale, a casa dei nonni materni, ma anche qui non trovano un luogo sicuro.

Abbiamo vissuto lì un anno. Poi anche lì è arrivata la guerra. Ricordo benissimo i colpi di arma da fuoco che si sentivano per tutto il giorno. Ci nascondevamo di continuo in cantina. Non potevamo restare. Era troppo pericoloso. Una notte mamma e papà ci rimettono di nuovo in viaggio. Questa volta la meta finale è il Pakistan. Abbiamo vissuto per 8 anni in dieci persone in una stanza ad Islamabad. (Ibidem)



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A 6 anni cuce tappeti per 12 ore al giorno: mani troppo vecchie per la sua età

Qui lei, ancora una bambina di 6 anni, e i suoi fratelli iniziano a cucire tappeti per 12 ore al giorno, senza essere pagati e nutrendosi solo di pane, zucchero e tè.

Dopo questo periodo, una grande azienda di tappeti ha sistemato nel cortile fuori dalla nostra stanza un telaio per farci cucire. A quel punto riuscivamo a comprare qualcosa in più da mangiare. Di quegli anni mi rimangono dei ricordi e delle mani troppo vecchie per una ragazza della mia età. (Corriere)

Il matrimonio

A 16 anni la svolta della sua vita collegata all’incontro con un ragazzo pakistano di nome Khan, che chiede a suo padre di prenderla in sposa.

Mio padre ha accettato senza riserve. Una bocca in meno da sfamare. (Ibidem)

Il giovane decide di tentare di emigrare in Europa, passando prima per l’Iran e poi per la Turchia. Giunto in Grecia si nasconde sotto il motore di un camion che si sta imbarcando per l’Italia e così arriva mezzo morto ad Ancona. Accolto in un centro per migranti prima come richiedente asilo, e poi come rifugiato, trova infine un lavoro da meccanico in un’officina. A questo punto chiede il ricongiungimento familiare e così Leyla può arrivare in Italia. Qui grazie al Centro Astalli, la struttura dei Gesuiti che si occupa dei rifugiati, è riuscita ad apprendere l’italiano, a studiare, conseguendo la licenza media, e ad imparare il mestiere di parrucchiera che ha iniziato a svolgere.

Oggi la nostra vita è serena. Ci vogliamo bene. Lavoriamo e voglio continuare a studiare. (Corriere)

Il sogno più grande di Leyla

Infatti Leyla ha ripreso gli studi per diplomarsi e poi magari iscriversi all’università: vorrebbe diventare la prima donna laureata della sua famiglia e così “ripagare” i suoi genitori per tutto il peso che in questi anni hanno dovuto sopportare. Ma il sogno più grande è un altro:

Un giorno spero vicino, non sarò più una rifugiata, non tanto nei documenti, quanto nella mia testa. Vorrei finalmente sentirmi a casa, al sicuro. Vorrei finalmente essere libera. (Ibidem)

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