Nell’ottavo anniversario dalla morte di Chiara Corbella Petrillo il papà ci racconta il suo legame con la figlia e i ricordi più intensi. E con una punta di ironia che era anche di Chiara: “Insomma… se anche non fosse diventata santa e rimaneva un altro po’ con noi, non ci sarebbe certo dispiaciuto”.Oggi cade l’ottavo anniversario della nascita al Cielo della serva di Dio Chiara Corbella Petrillo, morta all’età di 28 anni per un carcinoma alla lingua, alla cui storia abbiamo già dato ampio rilievo in passato ma che si rivela continuamente ricca di frutti fecondi tanto che ormai Chiara, come mi disse anni fa il marito Enrico, è sempre un po’ meno “sua” e molto più degli altri. Quest’anno a motivo delle disposizioni relative alla pandemia non ci sarà una celebrazione pubblica ma nella mattinata odierna alle ore 11.00 si potrà partecipare alla recita del rosario in diretta streaming sulla pagina facebook Chiara Corbella Petrillo.
In questa ricorrenza ho avuto la possibilità di intervistare suo padre, Roberto Corbella, che mi ha confidato alcuni aspetti poco conosciuti dal grande pubblico della personalità di Chiara.
Si dice: “Tale padre, tale figlio”, vi assomigliavate?
Eravamo simili forse nell’essere ironici e auto-ironici, amavamo fare battute su tutto, facendo anche un po’ disperare mia moglie. La mattina spesso a colazione non perdevamo occasione di scherzare su ogni cosa e ci divertiva molto. Chiara è sempre stata sorridente, solare, era curiosa, condividevamo il gusto per i viaggi. Stavamo molto bene insieme: uno dei ricordi migliori che ho era la sua abitudine mantenuta anche dopo sposata di sedersi sulle mie ginocchia alla fine del pranzo. Era un momento di condivisione, intima e allo stesso tempo scherzosa. Lo faceva anche quando era ormai moglie e mamma, in questo è rimasta figlia. Mi divertiva rispondere alle sue curiosità quando frequentava l’Università alla Facoltà di Scienze Politiche: una volta mi chiese: “Cos’è il Mattarellum?”. Stava studiando la legge elettorale, per cui su queste cose ci confrontavamo, facevamo commenti insieme. Diversi invece perché lei aveva una profonda religiosità, io sono un cattolico molto all’acqua di rose, scarsamente impegnato, uno di quelli che il Papa ha definito “i cattolici della domenica”. Quindi rispettoso delle regole ma non così coinvolto, mentre Chiara fin da bambina, come sua sorella, ha sempre avuto momenti di preghiera suoi, personali. Si ritagliava almeno una mezz’ora al giorno per parlare con il Signore, in camera sua, in un posto tranquillo, dove andava a raccogliersi. Avrei avuto molto di più da imparare in questo senso. Negli ultimi tempi la accompagnavo a fare tutte le sue terapie, affrontavamo dei lunghi spostamenti in macchina, dalla campagna la portavo a curarsi a Roma e poi rientravamo. Io un po’ scioccamente cercavo di distrarla: quindi scherzavo, dicevo sciocchezze, visto che lei era molto amante di una trasmissione “Il ruggito del coniglio”. Sentivamo la radio insieme, e mentre credevo di distrarla mi accorgevo che era molto più consapevole di me della sua situazione di salute. Ho un po’ il rammarico di aver perso l’occasione di impegnarmi in qualche discorso più profondo, avrei potuto imparare dell’altro ancora, però è andata così.
Chiara com’era?
Sinceramente faccio fatica a trovarle dei difetti, capisco che rischio di essere poco credibile, perché si tende sempre a dire bene di una persona morta, tanto più di una giovane come Chiara dopo quello che ha vissuto. Però la verità è che mi ritengo un genitore fortunato con tutte e due le figlie: non abbiamo mai avuto con loro problemi seri. Le ansie classiche che hanno tutti i genitori, sì, ma niente di più. Pur divertendosi, nella sua gioiosità, è sempre stata molto responsabile. Non ci ha dato pensieri, anche a scuola si impegnava; poi studiava pianoforte, violino, nuoto, ginnastica artistica, atletica: tutte cose che sceglieva di fare, e noi la appoggiavamo senza problemi. Chiara era la figlia da augurare a tutti anche senza pensare a ciò che è avvenuto dopo, a tutto quello che è successo e a quello che sta accadendo. Noi stavamo bene insieme, era bello stare con lei. Andava bene così com’era. Insomma… se anche non fosse diventata santa e rimaneva un altro po’ con noi, non ci sarebbe certo dispiaciuto. La consolazione che abbiamo è il fatto che molte persone traggono grandi benefici dalla storia di Chiara e da Chiara stessa. Questo ci aiuta ad accettare meglio la sua fine prematura. Mi confronto con tanti genitori che hanno perso i figli in condizioni violente, ed è molto più drammatico. Noi in qualche modo ci siamo potuti preparare prima, ed ora questo ci aiuta. Tutto ciò che è nato dopo la morte di Chiara in qualche modo ci fa sentire come se ci fosse ancora. Francesco poi è la fotocopia della mamma, quando era piccolissimo le assomigliava molto anche fisicamente, ora è cambiato. Ma caratterialmente, come sensibilità, capacità manuale, l’amore per il disegno, per i lavoretti, è incredibile come somigli a lei. E grazie a lui la sentiamo vicina.
Come viveva la fede?
Il rapporto di Chiara con il Signore e con la Madonna era molto familiare, da sempre. Si nota bene nella testimonianza che ha reso quando siamo andati a Medjugorje, dopo aver saputo che era malata terminale. Parlava con il Padre Eterno come se fosse un colloquio normale. Raccontava che quando aveva avuto le crisi nel fidanzamento con Enrico e si erano lasciati, era tornata a Medjugorje dicendo: “No, adesso Signore mi devi spiegare perché è andata così, io pensavo che fosse il ragazzo giusto per me. Ho capito male?”. Aveva un vero e proprio colloquio con Dio, sentiva questo rapporto come stiamo parlando noi adesso, in maniera semplice e naturale, anche in romanaccio. Non era un momento di preghiera di tipo bigotto, era molto schietto, si metteva da una parte, rifletteva e spesso disegnava. Chiara era molto brava a disegnare, lo faceva in continuazione, se parlava al telefono, come elemento complementare scarabocchiava, disegnava di tutto. Mi ricordo che per i nostri compleanni non comprava mai i biglietti di auguri commerciali, li realizzava a mano, addirittura tridimensionali. Fin da bambina ha sempre avuto questa passione. Meditava e prendeva appunti di quello che sentiva in questo colloquio con la Vergine Maria e con Gesù. Una fede profonda, ma semplice e naturale. Chiara dal Cielo ci guarda e si ammazza di risate, perché non si prendeva sul serio e persino negli ultimi tempi in cui lei stava male ed eravamo tutti insieme nella casa in campagna, si scherzava e si facevano battute, anche sulla sua malattia. C’era questa atmosfera che chi veniva da fuori faceva fatica a comprendere, la gente arrivava pensando: “vado a trovare una malata terminale, saranno tutti disperati, affranti” e invece qui c’era allegria, si rideva. Poi certo c’erano i momenti in cui Chiara stava molto male, ma lei non lo mostrava mai, quando soffriva molto si ritirava in camera sua e diceva: “non mi sento tanto bene, vado a riposare un po'”. Non faceva pesare il suo dolore, questa è un’altra delle sue caratteristiche. Non si è mai lamentata, nemmeno quando aveva dolori molto forti, nella fase finale quando aveva metastasi un po’ dappertutto, e il sorriso che mostra nella foto che l’ha resa famosa è lo stesso che ha avuto fino all’ultimo giorno. Ciò è bene che venga fuori come testimonianza soprattutto per i giovani, questa sua normalità. Quello che ha fatto lei teoricamente possono farlo tutti. Chiara vestiva jeans e maglietta, amava tanto la musica, aveva praticato molti sport, viveva una vita piena e scherzava. Una cosa che tengo a sottolineare è che pur essendo una credente convinta, non aveva mai un atteggiamento critico nei confronti di chi non aveva fede, tanto che aveva anche amici atei o indifferenti alla religione. Non li criticava né cercava di imporre le sue idee. Testimoniava la sua posizione e questo era più efficace, perché le persone si incuriosivano, cercavano di capire il perché dei suoi comportamenti. Era un modello senza pretendere di esserlo. Non aveva l’arroganza di affermare: “io so quello che è giusto, tu no”. Non era mai aggressiva nei confronti del prossimo, amava dibattere di qualsiasi cosa ma in totale tranquillità, senza mai accapigliarsi, cosa che oggi è molto di moda. Aveva profondamente chiaro il concetto del rispetto ma senza fare sconti. Non assecondava nessuno né nascondeva il suo pensiero: le sue convinzioni ce le aveva chiare e non ne faceva mai mistero. Anzi, quando era necessario, le difendeva però mai con prepotenza, mai attaccando. Un altro aspetto che ricordo di quando era piccola e frequentava le elementari è che si preoccupava molto per i suoi compagni di classe che avevano i genitori separati, per cui appena io e mia moglie avevamo una minima discussione lei ci prendeva e ci costringeva ad abbracciarci: “dovete fare pace”.
È stato difficile per lei accettare le scelte di Chiara ed Enrico?
Era quasi impossibile fare diversamente da ciò che diceva. Il suo modo di proporre le cose era garbato ma forte, quindi sembrava quasi fosse l’unica soluzione possibile, per cui non ci sono state discussioni in famiglia sul da farsi. E poi era ormai sposata e quindi certi argomenti era giusto che li affrontasse con suo marito. Ma lei ci comunicava le sue decisioni e noi la approvavamo perché ci sembrava il percorso più giusto, naturale. Non abbiamo avuto contrasti ma le sfumature sulle nostre reciproche posizioni ci sono state, quello sì. Quando lei ha perso i primi due figli, io riflettendo in maniera razionale come cerco abitualmente di essere, le ho detto: “se hai perso due bambini così, possono esserci dei problemi genetici tra te ed Enrico, quindi sarebbe il caso di fare degli esami per capire…”. Loro non volevano farli, poi però hanno accettato per compiacermi, tant’è che mandarono me a ritirare i risultati che hanno dimostrato che non c’era nessuna incompatibilità. Di fronte alle prime due gravidanze di Chiara che hanno rivelato la presenza di patologie così gravi ma nello stesso tempo completamente diverse, i medici hanno concluso: “un caso su un milione che a una donna possano capitare in due gestazioni problemi così diversi, senza nesso fra di loro, ma entrambi drammatici perché non consentono la sopravvivenza dei nascituri”. Il fatto che non ci fosse incompatibilità genetica tra i due genitori lo dimostra la nascita di Francesco in cui tutto è andato bene. La cosa più importante però è che c’era una sintonia profonda tra lei ed Enrico, cosa che non è così scontata in una coppia che vive situazioni tanto drammatiche. I due hanno svoltato quando hanno partecipato insieme alla famosa Marcia Francescana, ed Enrico poi le ha fatto la proposta di matrimonio. Ricordo che una sera hanno invitato a cena me e mia moglie e ci hanno detto: “vi dobbiamo parlare”. Noi abbiamo intuito ci fosse qualcosa di grande sotto, ma non immaginavamo che ci avrebbero comunicato il posto, il giorno e l’ora delle loro nozze. Per farvi capire come era fatta Chiara e la relazione che aveva con Enrico: avevano già organizzato tutto. E da che durante il fidanzamento c’erano stati scontri, liti, sono invece arrivati al matrimonio tranquilli ed uniti. Il matrimonio di nostra figlia è stato per me e mia moglie una passeggiata. Di solito ci sono tante ansie e preoccupazioni. Chiara era partita che voleva fare il matrimonio francescano, senza organizzare grandi cose. Poi le abbiamo detto: “fai venire parenti ed amici ad Assisi, non puoi mollarli così in mezzo alla strada o dargli un panino”, e quindi ha accettato di offrire il pranzo di nozze. Mia moglie come tutte le mamme sognava di vedere Chiara uscire di casa con l’abito da sposa: invece la notte prima Chiara ha dormito dalle suore ed Enrico dai frati, e quindi la mattina sono andato a prenderla lì per accompagnarla in chiesa.
C’è un ricordo di Chiara a cui è più affezionato?
Non uno, tanti. I momenti migliori erano quelli delle vacanze, abbiamo girato il mondo, facevamo lunghe ferie insieme e vivevamo belle avventure. Chiara e la sorella Elisa amavano gli animali, tutti. Salvavano i bacarozzi, i merli caduti dal nido… una volta Chiara è andata in gita scolastica a San Pietro e ha trovato un piccione ferito. Lo ha raccolto e sistemato dentro la busta delle patatine per non farlo vedere e l’ha portato a casa per curarlo. Cani, gatti, uccellini, comprati, trovati, salvati. Casa nostra era una specie di zoo. Poi Chiara mi ha insegnato quanto tutto sia relativo, ci lamentiamo per cose banali, lei invece ha vissuto situazioni molto pesanti e non si è mai lamentata. Questo mi aiuta molto nei momenti critici a dare il giusto valore alle cose. Per sorridere le racconto una cosa di Chiara da piccola quando andava alle elementari. Io compravo tanti giornali, tipo Panorama, l’Espresso, e all’epoca Panorama in modo particolare metteva delle copertine con foto un po’ osé, e lei me le copriva con i pennarelli. Ritoccava le immagini perché le cose troppo spinte non le andavano bene.
Quali sono state le ultime cose che vi ha detto e fatto prima di morire?
La cosa che ci ha detto è: “vi voglio bene a tutti”. Ce lo aveva già anticipato a Medjugorje, quando lei ha offerto la sua testimonianza davanti a tutti i nostri parenti e agli amici affermando testualmente: considero un privilegio sapere prima di dover morire, per poter dire a tutte le persone “Vi voglio bene”. E l’ultimo giorno della sua vita lo ha fatto individualmente con ognuno di noi. Chiara era molto legata a Medjugorje. La storia con Enrico era nata lì, e quindi è lì che è tornata quando avevano le crisi a chiedere spiegazioni, poi ci è tornata quando ha perso i due figli, poi di nuovo è andata con Enrico a chiedere un altro figlio, e infine ha espresso nuovamente questo desiderio quando ha saputo di essere malata terminale. Lei stava molto male in quei giorni, e abbiamo cominciato ad organizzare il pellegrinaggio con noi genitori, mia figlia Elisa, Enrico, un medico amico che la seguiva, Fra Vito e basta. Infatti mi ero mosso per prendere uno di quegli aereoplani piccoli per fare il viaggio. Però poi la notizia è cominciata a trapelare, ed alcuni amici hanno detto: “vogliamo venire anche noi”. Ad aprile con i collegamenti era molto complicato, bisognava andare con la nave, fare dei giri assurdi. Per cui è nata l’idea di prendere un aereo grande per portare tutti i parenti e gli amici che volessero unirsi. Abbiamo calcolato inizialmente una trentina di persone, e poi invece ho dovuto prenotare un aereo da 160 posti e lo abbiamo riempito tutto: anzi, abbiamo dovuto dire di no a tante persone perché l’aereo era pieno e non c’era posto per altri. Nel giorno di Pasquetta ha mandato un messaggino a tutti gli amici e ai famigliari, dicendo: “organizzo questo viaggio, chi vuol venire me lo faccia sapere”. In un attimo sono arrivate duecento richieste. Chiara ha privilegiato le famiglie con i figli, e infatti sull’aereo c’era una quantità industriale di bambini, tanto che quando ha dato la sua testimonianza l’audio è molto disturbato perché si sente di sottofondo le voci di una marea di bimbi che strillano, parlano, giocano. È stata contentissima Chiara per aver intorno tutta questa compagnia, l’idea originale le sembrava troppo di nicchia, elitaria. Per lei era fondamenta andare a Medjugorje per capire come affrontare quel momento difficilissimo della sua vita, per chiedere la guarigione chiaramente, ma se non fosse stato possibile la grazia di poter affrontare tutto questo. Lei che, finalmente dopo aver perso due figli, aveva avuto la gioia di scoprire che il terzo stava bene, che era innamorata del marito, doveva mollare tutto così… e invece a Medjugorje è riuscita a farsene una ragione. L’ha definita “la grazia di vivere la grazia”, di vivere questo tempo nella maniera migliore, e in effetti così è stato. Anche per me, per la nostra famiglia, è stato uno dei periodi più belli: sembra strano ma è la verità. Uniti, tutti insieme, in campagna, dove venivano a trovarci gli amici e i parenti. Una sera arrivò una persona con il muso lungo e Chiara disse: “non fare quella faccia, guarda che dovrai morire anche tu. Ce tocca a tutti!”. Spesso spiazzava le persone, non solo non aveva il comportamento tipico di chi sta per morire, ma “sfotteva” pure. Mi ricordo quando aspettava la prima figlia Maria Grazia Letizia: aveva un pancione enorme perché la malformazione della bambina provocava una produzione eccessiva di liquido amniotico, e quindi non si poteva non notare. Lei poi era magra magra, solo pancia. Al supermercato una cassiera le fa la solita domanda: “è maschio? femmina? l’importante è che sia sano”. E Chiara che già sapeva che la figlia non stava bene per niente rispose: “e perché, se no?”. La cassiera rimase paralizzata. Se un figlio non sta bene va bene lo stesso: questo è quello che lei voleva intenderle, non faceva sconti a nessuno. Lo dico soprattutto per i giovani perché non ne facciano un santino melenso, e capiscano che era una di loro. Quando ci invitano per offrire la nostra testimonianza su di lei dico sempre: potrebbe essere seduta qui in mezzo e si confonderebbe con voi.
Certamente una di noi, che insieme alla sua nobile semplicità ha avuto la grazia immensa di credere che:
Quello che Dio vuole per noi è molto più bello di tutto ciò che potremmo chiedere noi con la nostra immaginazione. (Chiara Corbella Petrillo)