Julian Carron, presidente del movimento Comunione e Liberazione, erede di Don Giussani ci sollecita a sconfiggere il nichilismo sull’esempio che ci ha lasciato Abramo e il popolo di Dio
«Il nichilismo domina oggi dappertutto, quasi senza che ce ne accorgiamo. Quel vuoto di senso, che incombe costantemente su di noi, per cui tutto si sfuoca e si sfarina – neppure le cose più care sembrano resistere all’urto del tempo – non può essere sfidato con delle parole». Ci vuole ben altro.
Lo sostiene Don Julián Carrón, guida di Comunione e Liberazione, nel quarto volume della serie Bur “Cristianesimo alla prova”, una raccolta di lezioni e dialoghi di don Giussani agli Esercizi della Fraternità di CL. La riflessione è stata pubblicata dal Corriere della Sera (28 maggio) e ripresa da IlSussidiario.net (28 maggio).
Dio sceglie un popolo e vuole la positività
Carron dimostra che il nichilismo si può abbattere solo se si tiene veramente a sé stessi, al compimento di sé, alla pienezza della propria vita, e ci si confronta con un importante e decisivo “antefatto”.
«Il destino si rivela, il destino – cioè il Dio misterioso, il mistero che chiamiamo Dio – parla propriamente, cioè si fa conoscere nella sua definitività attraverso la scelta di un popolo. (…) Dio sceglie un popolo nato da Abramo et semini eius, e il suo seme, i suoi discendenti; sceglie un popolo, perché attraverso esso e attraverso la sua storia Egli ci fa capire meglio che cosa vuole».
È questo il disegno che il destino, Dio, intende realizzare: «Io voglio la positività di tutto». E lo fa «attraverso una storia umana».
Nelle creature non c’è veleno di morte
Il popolo nato da Abramo vive immerso in questa esperienza di positività. La sua esistenza, evidenzia Carron, è un bene per tutti, perché attraverso Israele il Mistero rende presente nella storia il suo disegno, che è destinato a raggiungere ogni uomo: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale».
“Siamo fatti per la gioia”
Giussani commenta così queste parole del libro della Sapienza: il fatto che la vita sia positiva, che la realtà sia positività, che il destino voglia che tutti sperimentino una positività, significa che «siamo fatti per la gioia. Il cuore non può udire, come corrispondente a sé, se non questa parola. Può esserci, prima, un esercito di scoraggiamenti, di “ma”, di “se”, di “però” e di “no”, di negazioni, ma nessuno può rinnegare completamente questa parola che esprime la natura del cuore: gioia, felicità».
Da dove partire? Dall’amore. A prescindere
Ma come può diventare nostra questa esperienza della gioia, della positività? Che cosa è chiesto a noi? «Una disponibilità totale di fronte al Destino, al Mistero, a Dio».
In che cosa consiste? Innanzitutto «in una mia affermazione amorosa dell’essere e della realtà che accade, vita o morte che sia, gioia o dolore che sia, riuscita o non riuscita che sia. L’amore è l’affermazione di una presenza che si rivela attraverso l’istante, nell’istante».
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