Il ritorno di Silvia Romano in Italia dopo la lunga prigionia di 18 mesi in Somalia ha – purtroppo – diviso il web (un po’ meno credo la comunità italiana nel suo complesso, tendenzialmente più assennata e moderata di quanto non si pensi) e le tifoserie politiche, e invece di stringerci attorno a questa figlia o sorella che torna ai suoi affetti dopo una prova che non augureremmo a nessuno, ci siamo affrettati a dover rispondere a questo o quell’eccesso. Che uno di questi eccessi verbali venisse dal pur noto “blastatore di gente”, Enrico Mentana, spiace. Il direttore del TG La7 e patron del quotidiano online Open, notissimo per la sua presenza sui social, ha sparato la sua bordata:
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Non contento ha anche rincarato la dose…
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Eppure qualcosa stride, al punto che comunque l’ambasciata polacca in Italia ci ha tenuto a precisare la questione sulla sua pagina ufficiale di Facebook: “Ė necessario però, sempre e soprattutto, sottolineare che durante quel conflitto globale la Polonia ERA OCCUPATA DAI NAZISTI, quindi ogni affermazione che può suggerire o far presupporre che Auschwitz era stato costruito in Polonia, perché essa era cattolicissima, mettendo quindi in relazioni questi due elementi, è PROFONDAMENTE SBAGLIATO, INGIUSTO e INGIUSTIFICATO”
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Si potrebbe – giustamente – questionare sul tentativo da parte dei nazionalisti polacchi di ostentare una sorta di “verginità” della Polonia, delle sue istituzioni e della sua popolazione, nei confronti della collaborazione col Nazismo, ma la verità storica resta indubitabilmente un’altra: la Polonia venne invasa dalla Germania Nazista e occupata dal regime di Berlino, e non sono mancati i tentativi di resistenza. E non possiamo dimenticare che un amante e difensore della comunità ebraica polacca fu proprio Karol Wojtyla, il primo pontefice ad entrare in Sinagoga dai tempi di San Pietro…
Più importante però è il rapporto tra cattolicesimo e nazismo e anche l’inverso, ovvero: cosa pensava Hitler del cattolicesimo in particolare e del cristianesimo in particolare? Qui ci viene in soccorso lo storico Alessandro Bellino, autore di Il Vaticano e Hitler. Santa Sede, Chiesa tedesca e nazismo (1922-1939) edito da Guerini e Associati (2018) che in una intervista a partire dal suo volume spiega:
[…] dall’analisi della politica religiosa del nazionalsocialismo e dei suoi rapporti con la Chiesa, emerge la complessità della strategia di governo del suo vertice. Per risolvere i conflitti religiosi, Hitler impose programmaticamente al partito un cristianesimo «positivo», adogmatico e non legato ad alcuna confessione. Tuttavia, non eliminando le correnti neopagane, conferì al movimento un’aura soteriologica e al contempo diede avvio a una religione politica che tenesse insieme le varie anime del movimento, riuscendo a non eliminarne in tal modo le potenziali spinte centrifughe. Il cattolicesimo e l’episcopato tedesco si sono posti in modo critico, sin dal suo emergere sulla scena politica, verso il nazismo, il cui fondamentale antisemitismo venne considerato uno dei tratti salienti del suo anticattolicesimo. L’eterogeneità delle diverse componenti del nazismo in ambito religioso ha determinato molte difficoltà di interpretazione anche all’interno del cattolicesimo tedesco: mentre l’ala radicale, fautrice di un contenuto propositivamente dogmatico, era ben riconoscibile e di conseguenza suscettibile di una condanna immediata, le correnti «moderate» – propugnatrici di un «cristianesimo positivo» – non erano immediatamente classificabili e dunque perseguibili per la vacuità intrinseca alla loro natura. Ai vescovi il nazismo apparve di volta in volta eresia, un mix di indifferentismo e relativismo, un orientamento soggetto alla prepotenza delle ali protestanti radicali oppure dei neopagani, un fenomeno intriso di elementi culturali incompatibili con la fede (l’antisemitismo, l’uso della violenza, il culto del sangue e della razza e via dicendo). L’episcopato, discorde al suo interno anche sulle modalità di condanna (quando e in che modo pronunciarsi), fu tuttavia unito nel percepire l’estrema pericolosità per la fede di questo movimento.
Al di là delle frasi di circostanza per Hitler non c’era possibilità di una coesistenza reale tra l’essere cristiani e l’essere tedeschi (e per tedesco Hitler intendeva nazista), la passione per la liturgia e la gerarchia presenti nella Chiesa cattolica, in parte reminiscenza della sua infanzia e della sua cultura di origine, erano comunque soverchiati dal disprezzo per la spiritualità “semitica” e per la “compassione” che sono al centro del messaggio evangelico. Lo storico Franco Cardini lo spiega in un suo articolo del 1985:
[Adolf Hitler] A Hermann Rauschning, con il quale ebbe scambi di vedute di notevole franchezza, egli dichiarava senza ambiguità che non poteva esservi coesistenza tra «una fede cristiano-giudaica con tutta la sua morale della compassione» e «una fede energica ed eroica in Dio e nella Natura, nel Dio che esiste nel suo popolo, nella sua sorte, nel suo sangue stesso». Per cui, «una Chiesa tedesca o un cristianesimo tedesco sono utopie. O si è cristiani, o si è tedeschi».
Queste dichiarazioni sono molto gravi, se le si considera soltanto a livello politico. Esse significano che, tra due posizioni entrambe totalizzanti come l’essere veramente cristiani e l’essere veramente tedeschi (il che per Hitler significava ovviamente essere nazisti), non poteva esservi un accordo se non apparente e condizionato al cedimento di uno dei due elementi all’altro.
Ma la gravità effettiva delle dichiarazioni di Hitler a Rauschning sta nel loro tessuto concettuale: molto al di là quindi della politica. La fede cristiana era «semitica», la sua morale della compassione spregevole. Siamo ben oltre Wagner, il quale alla «compassione» non avrebbe mai rinunziato; e siamo in un ambito molto diverso anche da certe dottrine religioso-filosofiche che per la loro origine «ariana» riscuotevano pur da parte di Hitler una vaga simpatia, come il buddhismo, che sarebbe inimmaginabile senza la morale della compassione. Potrebbe sembrare che la polemica anticristiana di Hitler si ispirasse a Nietzsche, ed è senza dubbio così: ma si trattava di un Nietzsche letto frettolosamente e orecchiato.
Ed ecco quindi che, dalle conversazioni con Rauschning e dai «discorsi a tavola», emerge pian piano il Dio di Hitler. Non era un Dio granché originale: ma certo non aveva nulla a che fare con il Creatore trascendente che al Führer capitava talora d’invocare.
Quello di Hitler era anzitutto un Dio vagamente hegeliano, Weltgeist, «spirito del mondo». Era un Dio che si manifestava nella «natura», nella «sorte», nel «sangue» del popolo. Da una parte esso ricordava certe concezioni settecentesche di marca teistica come l’Ente Supremo di Robespierre (per quanto Hitler detestasse la Rivoluzione francese); ma, per un altro verso, questo «Dio» era una forza immanente e panteistica, fusa con la natura e con le sue leggi. E, per Hitler, le «leggi» fondamentali della natura erano la lotta per la sopravvivenza, la selezione delle specie più forti, l’organizzazione razziale del «genere umano».
Questa fede cieca nella natura e nelle sue leggi razzisticamente interpretate anima le convinzioni più ferme di Hitler, ispirate a un darwinismo abbastanza rozzo ma che aveva il pregio di apparire convincente e di collegarsi a quella continua esaltazione della scienza che, nel nazismo, convive con il mitologismo nordico e con gli impulsi atavici.
Insomma per Hitler Dio non è quello della Bibbia, e certamente non è quello che si fa crocifiggere per la salvezza dell’umanità. Il dio di Hitler è un dio della forza bruta, che riconosce la giustizia nell’esercizio della violenza. Sempre dai suoi discorsi a tavola, ricordiamo il duro pensiero del dittatore tedesco nei confronti del cristianesimo:
La sera dell’11 luglio 1941 Hitler afferma: “Il colpo più duro che l’umanità abbia ricevuto è l’avvento del cristianesimo. Il bolscevismo è figlio illegittimo del cristianesimo. L’uno e l’altro sono una invenzione degli Ebrei. E’ dal cristianesimo che la menzogna cosciente in fatto di religione è stata introdotta nel mondo. Si tratta di una menzogna della stessa natura di quella che pratica il bolscevismo quando pretende di apportare la libertà agli uomini, mentre in realtà vuol far di loro solo degli schiavi… Il cristianesimo è stata la prima religione a sterminare i suoi avversari in nome dell’amore. Il suo segno è l’intolleranza” (Adolf Hitler, Conversazioni a tavola di Hitler, Goriziana, Gorizia, 2010, p. 45).
Come avemmo già modo di dire anche su Aleteia:
l’azione governativa cerca costantemente di limitare l’influenza della Chiesa nella società, di escludere la Chiesa dalla formazione delle coscienze e di ricacciare il fatto religioso nella sfera privata. Ciò si manifesta in particolare mediante la progressiva soppressione di 15mila scuole confessionali, la chiusura di associazioni e di giornali religiosi, l’arresto di più di 1.500 preti e religiosi, il saccheggio di diversi episcopî da parte della Gestapo, nonché da processi scandalistici artificiosamente montati contro il clero.
In questo senso, luminosissima fu la figura del Leone di Munster, il vescovo Clemens von Galen che nella sua lettera pastorale per la Quaresima dell’anno 1934, denunciò il carattere religioso dell’ideologia nazista che qualificò di “nefasta dottrina totalitaria”. Nel 1936, mons. Von Galen espose ai suoi fedeli i limiti dell’obbedienza all’autorità civile e il primato della libertà di coscienza:
Dio vuole darci anche il discernimento e la forza eroica perché mai, per egoismo o per timore degli uomini, acconsentiamo al peccato, insudiciando la nostra coscienza per guadagnare o conservare il favore dei potenti di questo mondo.
Non mancano i santi che conobbero il martirio proprio nei campi di concentramento tedesco come – solo per fare un esempio – padre Massimiliano Kolbe o suor Teresa Benedetta della Croce (al secolo Edith Stein).
Insomma che la cattolicissima Polonia o la parzialmente cattolica Germania fossero naziste a causa del cristianesimo (e non nonostante esso) è qualcosa che si può tranquillamente rigettare, con buona pace degli influencer…