Il 30 aprile il governo di transizione del Sudan ha annunciato che le pratiche di mutilazione a danno di donne e bambine è vietata e diventa punibile penalmente. Sarà aggiunto un nuovo articolo del codice penale. Il reato sarà punibile con tre anni di carcere.
«Subii la mutilazione quando avevo 10 anni. Mia nonna mi disse che mi portavano al fiume per una cerimonia particolare e che dopo avrei ricevuto molto
cibo da mangiare. Ero una bambina innocente e fui condotta, come una pecora, al massacro. Entrate nella boscaglia fui condotta in una casupola buia, e
spogliata. Fui bendata e denudata completamente. Due donne mi trascinarono nel luogo dell’operazione. Fui costretta a sdraiarmi sulla schiena da quattro
donne robuste, due mi afferrarono saldamente ciascuna gamba. Un’altra si sedette sul mio petto per impedire che la parte superiore del mio corpo si
muovesse. Mi ficcarono a forza un pezzo di stoffa in bocca per impedirmi di urlare. Poi fui rasata. Quando l’operazione iniziò, cominciai a lottare. Il dolore
era terribile ed insopportabile. Mentre mi divincolavo fui mutilata malamente e persi molto sangue. […]. Fui mutilata con un temperino spuntato.» – Hannah
Koroma, Sierra Leone (Amnesty International)
Si apre così la scheda didattica disponibile sul sito di Amnesty International dedicata al fenomeno largamente diffuso delle mutilazioni genitali femminili nel mondo (la fonte originale è però l’UNICEF). Risale al 2018 e non poteva ancora vantare una parziale ma importante vittoria. Quella dichiarata al mondo pochi giorni fa dal governo provvisorio del Sudan, succeduto alla destituzione del dittatore Omar Hassan al-Bashir:
Secondo il ministero degli esteri di Khartoum, la decisione rappresenta “uno sviluppo positivo importante”. Il riferimento, sul piano legislativo, con un nuovo articolo nel codice penale, sarebbe al capitolo 14 della dichiarazione costituzionale sui diritti e le libertà approvata nell’agosto 2019. (Rep)
Una goccia in un mare di orrori, se è vero, come è vero che
Sono almeno 200 milioni, secondo l’UNICEF, (l’OMS parla di 140 milioni, NdR) le ragazze e le bambine che hanno subito mutilazioni genitali e, Se le tendenze continuano, il numero delle ragazze e delle donne sottoposte a MGF aumenterà significativamente nei prossimi 15 anni. Le MGF (Mutilazioni Genitali Femminili) sono praticate soprattutto in Africa e in alcuni paesi del Medio Oriente. Vi sono anche casi di mutilazioni in alcune parti dell’Asia, nelle Americhe e in Europa – compresa l’Italia – all’interno delle comunità di migranti. (Ibidem)
ma un cosa indiscutibilmente positiva, una conquista per tutto il consesso umano.
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Le diverse pratiche di mutilazione genitale e la loro diffusione
Già si fatica a pensarci, a cosa possa significare venire mutilate tanto brutalmente nei propri organi genitale esterni; cercare di comprendere le diverse modalità con le quali tale ingiustizia viene perpretata richiede uno sforzo ulteriore di attenzione e contegno.
In un crescendo di crudeltà, diventata costume culturale, esistono tre tipi di mutilazione: la clitoridectomia, l’escissione e la più famosa e peggiore, ovvero l’infibulazione.
(…) la clitoridectomia in cui viene tolta tutta, o parte della clitoride; l’escissione che consiste nella asportazione della clitoride e delle piccole labbra; l’infibulazione, la forma estrema, che prevede oltre alla clitoridectomia e all’escissione, anche il raschiamento delle grandi labbra che sono poi fatte aderire e tenute assieme, così che, una volta cicatrizzate, ricoprano completamente l’apertura della vagina, a parte un piccolo orifizio che servirà a far defluire l’urina e il sangue mestruale. (Ibidem)
Esistono anche altre pratiche, classificate come IV tipo, che raccolgono altre modalità di tortura: puntura, perforamento, incisione, raschiatura e cauterizzazione.
Le vittime di queste pratiche sono sempre bambine o fanciulle molto giovani: l’età va dai 4 anni (sic!) ai quattordici. Ma ci sono agghiaccianti eccezioni, come in Yemen dove sono mutilate anche bambine di pochi giorni.
L'”intervento” radicalmente improprio viene inoltre praticato con strumenti ancora più impropri: vetri rotti, coperchi di lattine, forbici, rasoi o altri oggetti taglienti.
Per la mutilazione vengono anche usati vetri rotti, coperchi di lattine, forbici, rasoi o altri oggetti taglienti. Se ha luogo l’infibulazione, per assicurare l’aderenza delle grandi labbra vengono usate spine di acacia o fili di crine e poi le gambe sono tenute legate fra loro per un periodo di quaranta giorni. Per favorire la cicatrizzazione sulla ferita viene applicata una pasta a base di erbe, latte, uova, cenere e sterco.
Le origini del fenomeno sono poco chiare, e parrebbero pre islamiche. Le motivazioni addotte riguardano il controllo della sessualità femminile, l’aumento del piacere maschile (cosa nei fatti smentita dalle dichiarazioni di uomini intervistati che invece preferiscono avere rapporti sessuali con donne non mutilate), la purezza, la maggiore appetibilità di una donna in vista del matrimonio, la sua sottomissione.
Considerazione personale: senza lo sguardo integrale sull’essere umano sessuato così come la rivelazione giudaico cristiana ci ha insegnato ogni civiltà si sente autorizzata a toglierci qualcosa, a fare fuori parti di noi che non corrispondano all’idea di uomo che tale civiltà coltiva o della quale, sostanzialmente, è la prima vittima
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Diffusione del fenomeno
Le MGF sono praticate soprattutto in 30 paesi africani e in alcuni paesi del Medio Oriente (Yemen, Emirati Arabi). In tre paesi (Egitto, Etiopia, Indonesia) si concentrerebbe la metà delle donne mutilate. Sono 44 milioni le ragazze fino ai 14 anni vittime di mutilazioni.
La più alta incidenza in questa fascia di età si ha in Mali (76%), Gambia (56%), in Mauritania (54%) e in Indonesia (49%). Mutilazioni genitali sono praticate anche in alcune comunità dell’Asia, dell’America Latina e degli Stati arabi. Sono a rischio anche le ragazze che vivono in comunità di emigrati sparse per il mondo. In Europa si stima siano 500.000 le donne ad essere vittime di MGF e, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sarebbero a rischio 180.000 ragazze. Secondo gli esperti, si tratta di stime al ribasso che non tengono conto degli immigrati di seconda generazione o di quelli in posizione irregolare. (Ibidem)
I costi
In termini di sofferenza fisica sono evidentissimi e spesso giungono all’effetto nefasto per eccellenza, la morte.
In termini di sofferenza psichica e potremmo dire spirituale, perché è la propria natura sessuata che è offesa e deturpata radicalmente, sono più difficili da quantificare ma ancora più reali e devastanti. Questo tipo di ferita passa da parte a parte l’essere umano femminile in quanto tale, è violenza di genere per eccellenza.
Non è il fattore principale che possa fare ritenere inaccettabile sotto ogni profilo ogni pratica di mutilazione genitale, ma esiste anche questo: il costo economico.
Le ferite inflitte, le complicanze conseguenti, le patologie annesse, il trauma insuperabile per le donne vittime (che poi forse sono le stesse che diventano future carnefici) hanno un impatto economico sulla sanità enorme:
Secondo un documento dell’Organizzazione mondiale della sanità dal titolo “Fgm Cost Calculator”, diffuso il 6 febbraio in occasione della Giornata internazionale della tolleranza zero per le mutilazioni genitali femminili (Mgf), l’impatto economico globale provocato da questi trattamenti è di 1,4 miliardi di dollari all’anno. Utilizzando i dati di 27 Paesi in cui la pratica è ancora diffusa, i ricercatori hanno simulato i vantaggi economici che deriverebbero dalla rinuncia a una prassi così pericolosa. Se si smettesse ora di eseguire le mutilazioni genitali femminili, entro il 2050 si registrerebbe un risparmio in costi per la salute pari al 60%. Al contrario, se non venisse intrapresa alcuna azione, i costi sanitari sarebbero destinati ad aumentare del 50% nello stesso periodo di tempo, dato l’aumento demografico previsto e il maggior numero di ragazze sottoposte alle mutilazioni. Ogni Paese destina circa il 10% dell’intera spesa annuale in assistenza per le vittime delle mutilazioni genitali, una quota che in taluni casi può arrivare addirittura al 30%. (ASVIS)