La straziante lettera-testamento di un anziano che sta per spirare all’interno della “prigione dorata” di una Rsa per il Covid-19 Su Interris.it è stata pubblicata la lettere di un anziano che, dall’interno di una Residenza sanitaria assistita, vuol far arrivare così l’ultimo commovente saluto ai figli e ai nipoti, consapevole che sta per morire a causa dell’infezione da coronavirus.
Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti… (Ibidem)
Mi mancano le vostre carezze
Queste righe risuonano come una specie di breve resoconto della sua vita – faceva l’avvocato – in cui i ricordi e la riconoscenza più intensi vanno ai genitori e alla moglie morta dopo 60 anni di matrimonio, ma anche alla maestra e al parroco, e come un’amara riflessione sui suoi errori e lucida denuncia sulle condizioni di vita all’interno di una “prigione dorata”. Era con questo termine che il compianto Don Oreste Benzi appellava queste strutture per anziani.
Allora mi sembrava esagerato e invece mi sono proprio ricreduto. Sembra infatti che non manchi niente ma non è così… manca la cosa più importante, la vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno “come stai nonno?”, gli abbracci e i tanti baci, le urla della mamma che fate dannare e poi quel mio finto dolore per spostare l’attenzione e far dimenticare tutto. (Interris.it)
Per me è stato come entrare già in una cella frigorifera
Il rimpianto è quello di aver optato, spinto dall’orgoglio di non lasciare di sé l’immagine di un uomo che aveva perso l’autonomia ed era perciò di peso, per l’esilio in questi luoghi asetticamente e solo apparentemente perfetti, in cui manca la cosa più essenziale: il calore umano, il sentirsi trattato come persona e non come un anonimo numero.
(…) non potevo mai immaginare di finire in un luogo del genere. Apparentemente tutto pulito e in ordine, ci sono anche alcune persone educate ma poi di fatto noi siamo solo dei numeri, per me è stato come entrare già in una cella frigorifera. (Ibidem)
Leggi anche:
Nessuna pubblicità dice che è meglio morire a casa con tuo figlio che solo all’ospizio!
Nel gelo delle relazioni… il sorriso prezioso di un’operatrice
Per fortuna almeno una giovane operatrice nei mesi trascorsi lì gli ha rivolto qualche sorriso, ma da quando è iniziata l’epidemia ne intravede soltanto gli occhi, a testimonianza di un barlume di umanità.
È l’unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po’ di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano. (Interris.it)
Ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito
Un minimo di luce che non ha compensato la mancanza dell’odore di casa, il profumo e i sorrisi dei suoi cari, i loro sguardi quando raccontava passaggi della vita, e le stesse discussioni presenti in ogni famiglia, ma anche questo è Famiglia. Adesso che sente di stare per morire si pente amaramente di non essere rimasto con i suoi fino all’ultimo respiro, e se potesse tornare indietro supplicherebbe la figlia di tenerlo a casa.
(…) ora che sto morendo lo posso dire: mi sono pentito. Se potessi tornare indietro supplicherei mia figlia di farmi restare con voi fino all’ultimo respiro, almeno il dolore delle vostre lacrime unite alle mie avrebbero avuto più senso di quelle di un povero vecchio, qui dentro anonimo, isolato e trattato come un oggetto arrugginito e quindi anche pericoloso. (Ibidem)
È questo morire come un anonimo oggetto arrugginito, privo di ogni dignità e rispetto, che lo uccide prima della morte ormai prossima, gridando però con la flebile voce rimasta che non dovrebbero esistere prigioni dorate. Parole appena sussurrate, ma pesante monito rivolto a coloro che si sono mostrati insensibili, disumanizzando i vecchi con un “numeretto”, i quali rischiano di vedersi riservata la stessa sorte.
Leggi anche:
Dona morte santa
Abbiamo tutti il dovere di ricordare le parole del Cantico dell’anziano di S. Giovanni XXIII:
Benedetti quelli che mi guardano con simpatia
Benedetti quelli che comprendono il mio camminare stanco
Benedetti quelli che parlano a voce alta per minimizzare la mia sordità
Benedetti quelli che stringono con calore le mie mani tremanti
Benedetti quelli che si interessano della mia lontana giovinezza
Benedetti quelli che non si stancano di ascoltare i miei discorsi tante volte ripetuti
Benedetti quelli che comprendono il mio bisogno di affetto
Benedetti quelli che mi regalano frammenti del loro tempo
Benedetti quelli che si ricordano della mia solitudine
Benedetti quelli che mi sono vicini nella sofferenza
Beati quelli che rallegrano gli ultimi giorni della mia vita
Beati quelli che mi sono vicini nel momento del passaggio
Quando entrerò nella vita senza fine mi ricorderò di loro presso il Signore Gesù.