Da Bologna a Nola, due bimbe esemplari: una si è tagliata i capelli lunghissimi per donarli ai pazienti oncologici, l’altra ha fatto un appello vigoroso per chiedere più rispetto per i disabili come lei. Insieme ad altri 23 giovani hanno ricevuto l’attestato d’onore dal Presidente Mattarella.Il ritratto dell’Italia che emerge dai 25 giovanissimi ragazzi a cui il Presidente Sergio Mattarella ha conferito l’attestato d’onore di Alfiere della Repubblica ci rende orgogliosi. Spostare per un attimo lo sguardo dalle molte incognite e ferite aperte dal Covid-19 aiuta a mettere a fuoco un panorama non del tutto desolato, un’ipotesi sul futuro fuori dagli schemi stretti di “fase 1, fase 2”.
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Piccoli semi
Parlando dei tempi di prova e fatica, il Cristo di Guareschi suggeriva a Don Camillo la necessità di salvare il seme (il passo è celeberrimo):
Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede.
Posso allargare questo sguardo, senza storpiarlo? Spero che Guareschi mi perdoni. Il seme più fecondo che innerva tutto il nostro essere è senz’altro la fede. Ma è proprio lo sguardo solerte della fede a spronarci a vedere altri semi che vanno custoditi. E chi se non i piccoli sono chicchi piantati nella terra della vita in attesa di dare frutto? I nostri figli – i giovani in generale – sembrano solo una variabile da tenere a bada in tempo di pandemia; ci sono urgenze che vengono prima, il mondo degli adulti è indaffarato e preoccupato, c’è l’economia da far ripartire, c’è il MES. Eppure non si può archiviare la domanda: come sosteniano e accompagnamo i bambini e gli adolescenti? Come li abbracciamo e li ringraziamo del loro sacrificio che pare invisibile ma non è? (perché ce lo ricordiamo – vero? – quanta è la voglia di uscire e stare con gli amici quando si anno 10-13-16-18 anni?)
Ho scorso le storie dei 25 ragazzi che il Capo dello Stato ha premiato e ci ho visto dei semi che non possiamo correre il rischio di perdere dentro il pandemonio del contagio. E non parlo solo di quelle 25 anime, ma di ciò che è annidato nel cuore di ciascuno dei nostri bambini e adolescenti: in modo così marcato, prepotente e vigoroso è vivo in loro quel bisogno di felicità che può generare così tanto bene se indirizzato e orientato non solo all’egocentrismo. Dare un’occhiata alle storie di questi piccoli nuovi Alfieri della Reppublia è tutt’uno col fare un esame di coscienza, da parte di noi adulti.
Sono 12 maschi e 13 femmine, dai 9 ai 18 anni che da ogni angolo della nostra penisola portano sulla scena il tema della solidarietà e creatività, della compagnia e del sostegno reciproco, incarnati in proposte umane piccole ma decisive. C’è chi come Diego ha fatto la differenza con un gelato (di sua invezione, che può essere mangiato dai malati affetti dal morbo di Crohn); e chi come Loris ha inventato una cintura con sensori a ultrasuoni per non vedenti. Ci sono le scout Sofia e Maria Gabriella che in luoghi diversi dell’Italia colpiti da calamità hanno trovato il modo di valorizzare il territorio. Cè chi porta nel mondo dello sport il valore della disabilità e la forza della collaborazione reciproca; c’è chi come Pietro, semplicemente e meravigliosamente, ha accudito la nonna malata e le ha fatto da insegnante. Ce se sono molti altri e tra loro scelgo di approfondire le storie delle due bambine più giovani che figurano nella rosa dei premiati. Hanno entrambe 9 anni e, in modi diversi, si sono confrontate col paradosso della mancanza, o – se vogliamo – con quell’eco evangelico all’albero potato che porta molto frutto.
Il capelli di Mavì
Per la solidarietà mostrata ai ragazzi e alle persone con malattia oncologica, rinunciando ai suoi lunghi capelli per confezionare parrucche e donarle a chi è reso calvo dalle terapie.
Con questa motivazione il Presidente Mattarella ha applaudito la scelta della giovanissima Mavì Borrelli, di Crevalcore (provincia di Bologna). Senza voler generalizzare, ma con una buona approssimazione, le bambine amano con una giustissima vanità i propri capelli. Trecce, code, riccioli e fermagli sono un bellissimo mondo in cui giocare all’infinito: curare il proprio aspetto è tutt’uno con il guardarsi allo specchio, che è poi il passo inziale per mettere a tema tante domande personali profonde. Mavì non aveva mai tagliato i capelli da quando era nata, ha scelto di farlo dopo aver guardato la serie TV Braccialetti rossi: ha scoperto che curare una malattia grave come un tumore comporta la perdita di ciò che a lei era così caro. Ha deciso che poteva rinunciare alla sua chioma per aiutare chi viveva un’esperienza così dolorosa:
Erano lunghi 80 centimetri, e 70 li ho fatti tagliare per donarli. – racconta la bambina – Quando ho comunicato la decisione i miei genitori erano sorpresi ma era una cosa che volevo fare. A me ricresceranno, e il mio è stato un gesto spontaneo che servirà a fare parrucche per ragazzi e persone che affrontano quella malattia. (da Il Resto del Carlino)
Prima c’era il sogno di farli crescere lunghi e bellissimi, poi c’è stata l’immedesimazione spontanea e completamente sincera con chi pativa un dolore che si manifestava anche nella mancanza dei capelli. Qui il seme da custodire è proprio il buono che nasce dal non vivere come monadi, quella capacità di poter sentire sulla propria pelle cosa ferisce gli altri. Il dono vero non è mai a cuor leggero, comporta un sacrificio che però genera un di più di bene a chi dà e a chi riceve.
La voce di Elena
La tempra partenopea non passa inosservata, sa unire l’ironia e la schiettezza severa. Elena Salvatore ha 9 anni, ma è un tipetto dal piglio deciso. Le parole del Quirinale la ritraggono in modo formale, ma si capisce che è una signorina vispa e con le idee chiare:
Per aver richiamato con forza ed efficacia, attraverso un video, la sua città e la società intera al rispetto di chi ogni giorno è chiamato a superare gli ostacoli posti da barriere architettoniche, e non di rado dall’incuria di concittadini maleducati.
Il riferimento è, appunto, a un video di cui Elena è protagonista in cui mostrando la sua disabilità si rivolge con le armi appuntite della parola ai normodotati assai carenti di rispetto.
I marciapiedi sono pieni di ogni cosa, bidoni, spazzatura, biciclette, macchine, di tutto e di più. La maggior parte dei marciapiedi sono senza lo scivolo per salire e scendere e i pochi che lo hanno sono utilizzati come parcheggio da macchine. Anche una piccolezza del genere per noi è una mancanza di rispetto. La città non è solo vostra anche noi siamo cittadini.
E poi c’è quel suo affondo strepitoso sul mettere in moto la materia grigia, che si può anche sintetizzare con un invito grammaticalmente scorretto, ma chiaro: uscite il cervello!. In fondo il tema delle barriere architettoniche, raccontato secondo il copione solito, ci trova sempre distratti. C’era bisogno della sferzata fresca che viene da una voce schietta e a quanto si capisce per nulla timida. Anche lo stereotipo del disabile malinconico e appartato in un cantuccio si sgretola in questo minuto di video. Non c’è molto da replicare al grido: «noi esistiamo». C’è semmai da lasciarsi scuotere da un vigore così intenso che fa a pugni col torpore dei più. E anche questo è un altro seme da custodire: c’è chi ha un attaccamento così entusiasta alla sua vita – anche segnata dal dolore – da essere … un tempo avremmo detto … contagioso per gli altri. Correggiamoci con un vocabolario umano: chi ha un attaccamento così entusiasta alla sua vita da suscitare un rinnovato vigore in quella altrui.